- di Ippolito Mauri -
Nove ore di treno da Palermo a Ragusa, sei ore da Catania. 110 chilometri più lunghi del viaggio a New York. 27 chilometri in 30 anni per costruire un’autostrada lunga 210.
Tanto per capire come vive la gente che al mattino va al lavoro: dopo le fanfare Tv per la prima pietra del primo cantiere dell’opera che il mondo ci invidia, gli uomini del Ponte (Berlusconi e Sacconi) il 23 dicembre dovrebbero salire sul treno per Ragusa, Sicilia Orientale, economicamente la più concreta dell’isola. Alla scoperta della Sicilia che non conoscono. Sei ore tartaruga sperando che le coincidenze non facciano ritardo. Primo trasbordo a Catania, direzione Siracusa. Secondo trasloco a Siracusa. Viaggio col passo assonnato che Elio Vittoriani racconta in “Conversazioni in Sicilia”, Italia 1938. Figlio di una capostazione che scriveva poesie, Vittorini attraversa i ricordi nel piacere di una lentezza che conforta la memoria. Sarebbe ingiusto dire che settanta anni dopo non è cambiato niente. Stazioni ridipinte di giallo e di rosa, ma nessun capostazione sull’attenti come quando passavano i gerarchi della Roma nera. Non per diffidenza politica: i capostazione non ci sono più. Stazioni chiuse. Chiusa anche la biglietteria di Ragusa. L’ultimo impiegato è andato in pensione il primo ottobre. Si va dal tabaccaio, biglietti che valgono fino a Siracusa. Se il viaggio è nel continente bisogna affacciarsi alle lunette di una stazione abbastanza importante per sopravvivere. Dei trenta treni che arrivavano nell’ultima Sicilia, sono rimaste dodici littorine (riassumono lo slancio degli investimenti Trenitalia, proprietà ministero del tesoro). Non sempre il binario unico ferma nelle stazioni vuote. Convogli di un solo locomotore che perde clienti gonfiando ritardi insopportabili. Tratte (linguaggio dei verbali) tagliate e da far morire. Già sostituite da autobus con l’etichetta di compagnie private. Sul modo in cui Trenitalia decide le concessioni, meglio lasciar perdere. Illuso da uno spot di Luca Zingarelli, commissario Montalbano, sono salito sul “treno del barocco”, fantasia di un copywriter per illudere poveri turisti che non sanno. Voglia di una passeggiata nello splendore dei palazzi di Sicli, “si annida con 10 mila finestre in seno a tutta l’altezza della montagna”. Vittorini è cresciuto qui nell’amicizia del figlio del capostazione di Modica, stazione accanto. Si chiamava Salvatore Quasimodo. Ma Sicli è stata cancellata dalle meraviglie del treno del barocco. Spot superato. Diciamo la verità, è un’Italia che non conta, senza palinsesti, escort, barzellette ai comizi. Bisognerebbe tener conto che continua a essere Italia. Ragusa è un bacino per la lavorazione dell’alluminio tra i più importanti. Fabbriche scese dal del nord, centinaia di operai. Arrivano tondini, partono profilati per l’edilizia. Resta il laboratorio che fa concorrenza a Carrara nel taglio del marmo. E dalle campagne di Vittoria viaggiano verso i mercati del continente mille Tir al giorno (al giorno), frutta e verdura delle nostre tavole. In fila su strade costruite nel dopoguerra, tornanti impossibili. C’era il treno senza trasbordi, 9 ore per arrivare a Palermo. Cancellato, ormai solo passeggeri, le merci non viaggiano più. Si sta costruendo l’autostrada Siracusa-Gela: 37 chilometri in trent’anni. Mancano 173 chilometri e non si sa quanti anni per finire i lavori. La Salerno-Reggio Calabria diventa un fulmine. E poi una breve superstrada, ma lo era quarant’anni fa. Adesso è un muro più lento del treno. La verità è che i politici locali contano la metà dei politici di Palermo e meno di un quarto di quelli di Roma. Collettori di voti, dispensatori di piccoli favori. I Berlusconi ragusani, si chiamano Minardo, zio deputato regionale per l’autonomia di Lombardo; nipote deputato a Roma, Popolo della Libertà: Tv, radio, deposito carburante per questa Sicilia. Nell’altra i benzinai si chiamano Cuffaro, famiglia del senatore, ex-presidente della regione, cinque anni di condanna per amicizie mafiose. Soffre Pippo Guzzieri, ferroviere e sindacalista. Vede morire i suoi treni un giorno dopo l’altro. Chi va in pensione non viene sostituito. Fra un po’ scioglieranno i binari “perché la littorina nessuno lo vuole più”. Ma dopo la prima pietra del Ponte, i viaggiatori Berlusconi e Sacconi devono avere in mente un altro luna park. Ancora prime pietre, bandiere e Tv. Se si fa o non si fa conta fino a un certo punto. Per loro.
http://domani.arcoiris.tv/?p=2589
FONTE
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martedì 20 ottobre 2009
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