mercoledì 2 dicembre 2009

I peccati della carne

- di Valeria Palermi -

La provocazione di Jonathan Safran Foer: chi mangia gli animali sceglie il Male. La risposta di alcuni studiosi: attenti perché qui l'etica si fa estetica. Viaggio nell'ultima disputa sui confini del lecito e del proibito

Per essere un non violento, ha fatto una strage. Ma se ti chiami Jonathan Safran Foer, i corsi di scrittura li hai seguiti con Joyce Carol Oates, e a 32 anni hai già messo a segno bestseller mondiali come 'Ogni cosa è illuminata' e 'Molto forte, incredibilmente vicino' (in Italia pubblicati da Guanda), nel momento in cui scrivi un saggio e lo intitoli 'Eating Animals' (Del mangiare animali), l'impatto è enorme. E fa strage. Di luoghi comuni. Di tutti quei rivoli, più o meno onesti, più o meno disinvolti, in cui oggi si va disperdendo il pensiero vegetariano. Che trasformano una scelta etica in una deriva estetica.

IL QUIZ: RISPONDI ALLE DOMANDE E LEGGI IL TUO PROFILO

'Eating animals' è un libro su perché mangiamo animali e perché non dovremmo farlo. Ha anche generato un sito, www.eatinganimals.com. Chi ci entra in questi giorni ci trova per esempio queste domande: visto che stiamo andando verso le feste, avete già pensato al tacchino? Cosa ne sapete? Sapete come e dove è stato allevato, cosa gli hanno dato da mangiare? Come è stato ucciso?

Per Gertrude Stein una rosa è una rosa, è una rosa, ma per Safran Foer un tacchino non è un tacchino non è un tacchino. È un atto politico, e si serve con un contorno chiamato cultura, ovvero la capacità di fare scelte consapevoli. 'Eating Animals' è anche un viaggio nella memoria: la nonna ebrea sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale che passa il resto della sua vita nell'ossessione del cibo, però racconta a Jonathan che nemmeno nei giorni della fame più rabbiosa ha mangiato maiale, perché è proibito, e "se niente più conta, allora non resta più niente da salvare". È il racconto del vegetarianesimo a intermittenza dell'autore, finché la nascita dei figli lo mette di fronte all'obbligo di fare una scelta morale definitiva, "perché il cibo conta, e contano le storie che insieme ad esso sono servite".


Un sasso nello stagno. Che provoca reazioni superiori forse a quello che lo stesso autore immaginava. Il 'New Yorker' ha intitolato il bel pezzo sul suo libro, di Elizabeth Kolbert, 'Flesh of your flesh', carne della tua carne: ma in italiano perdiamo il senso profondo, perché nella nostra lingua 'carne' è sia la nostra che quella degli animali, mentre in inglese (succede anche in francese) quella animale è 'meat', quella umana, appunto, 'flesh', e perché rimanda a citazioni bibliche e mitologiche. Una sfida a considerare meat come flesh, partecipi della stessa qualità ontologica.

E invece proprio in questo momento nell'universo filosofico vegetariano le posizioni si fanno molteplici, e contraddittorie: ci sono flexitarian (non mangiano carne, ma possono fare eccezione per quella bianca, se sicuri della provenienza), demi-veg (vegetariani part time), pescatarian o fishitarian (carne no, pesce sì senza rimorsi), green eaters (si limitano a mangiare prevalentemente 'verde'). Perfino less-meatarian o meat-reducer, per i quali la questione non è risparmiare sofferenze all'animale, ma alimentarsi in maniera più sana e ridurre l'impatto ambientale mangiando un po' meno carne. Un universo caotico, che infatti ha costretto la Vegetarian Society a precisare: "Noi non mangiamo cose morte".

E allora bisogna chiedersi davvero se essere vegetariani sia ancora una questione etica o non stia scivolando verso un'estetica. "Questi sono i mille nuovi rivoli di un fiume che viene da lontano: da Pitagora e da Socrate, che già ai suoi tempi si poneva il problema della sostenibilità dell'allevare animali, ai danni di agricoltura e pace sociale", interviene Marino Niola, antropologo attento ai significati del cibo: "Oggi uno dei rivoli è l'afflato equo e solidale: i legumi sono proteine non violente. Questa non è epoca di grandi, ma di piccoli ideali. Un po' cinicamente direi che siamo passati da 'Give peace a chance' a 'Give pigs a chance'.

L'etica inclina all'estetica e alla dietetica: l'ascesi non è in nome di Dio, ma dell'Io. Il corpo è il nostro orizzonte, l'apparenza ci definisce, la società secolarizzata fa del narcisismo di massa la sua identità. Siamo vegetariani interinali, mobilità e flessibilità sono entrati anche nell'alimentazione". Per questo, prosegue Niola, si dice no alla carne ma sì al sushi: il sushi è un'esperienza estetica. "Piace, anche ai vegetariani, perché è ascetica, apparenza, cibo incorporeo, e smaterializzazione e velocità sono condizioni dell'oggi. L'inconsistenza piace, in un'epoca povera di idee forti. In più il pesce non è 'persona', troppo lontano morfologicamente da noi per suscitare colpa: è insipido e politicamente corretto". La carne, invece, è supremamente scorretta. E, anche per questo, oggetto di certo neoproibizionismo: la carne come le sigarette, piacere maledetto. E per questo tanto più intensamente goduto.

Forse per questo, o forse per saturazione dalle infinite lacrime versate sulla sofferenza animale. Di fatto, se il vegetarianesimo si ibrida e indebolisce, il fronte opposto si fa forte e aggressivo. Una filosofia Neocarnivora inizia a produrre pensiero e cultura. Anima dibattito attraverso riviste di riferimento: per esempio 'Meatpaper', non a caso nato in quella culla delle culture di domani che è San Francisco, 'BEEF!', trimestrale in edicola in Germania da ottobre, 175 pagine e 100 mila copie al prezzo non irrilevante di 9,80 euro. Tra i due, il secondo è il più (filologicamente) sanguigno ed edonistico. 'Meatpaper' si autodescrive come "giornale di cultura della carne", nato per esplorare. Per raccontare "una nuova curiosità, non tanto su cosa c'è in un hot dog, ma come lo è diventato, da dove arriva, e cosa vuol dire mangiarlo".

Sismografo del 'Fleischgeist', ovvero Spirito Carnivoro dei Tempi. Le trentenni fondatrici, Sasha Wizansky e Amy Standen, sono entrambe ex vegetariane, e vegetariani sono anche alcuni dei loro lettori. Paradosso solo parziale, perché filosofia neocarnivora e vegetariana una cosa condividono, ed è la concezione quasi sacra dell'animale. Che nel caso dei carnivori impone una macellazione che si fa rito, e un rispetto del corpo dell'animale sacrificato che esige che nulla ne vada sprecato. Uno dei sacerdoti è Tom Mylan, i suoi corsi sulla macellazione rispettosa, a New York, hanno la lista d'attesa. "La carne è una metafora", chiosa 'Meatpaper'.

"Fleischgeist è un concetto che esprime reazione alla debolezza delle categorie di oggi. Un paradossale ancoraggio a valori forti", spiega Niola: "Se il vegetarianesimo è obiezione di coscienza alimentare, questa è una rivendicazione di 'guerra giusta', che prevede l'onore delle armi all'avversario. Un omaggio allo spirito dell'animale ucciso, che risale a società di cacciatori, a valori persi e rimpianti. Di più: nel rivendicare la profondità della carne e dell'immaginario a essa legato c'è una chiamata a ritrovare i valori della cultura occidentale, trascurati in favore di esotismi da ashram, di orientalismi ascetici da snob. È parte integrante del nostro immaginario religioso: il corpo di Cristo, l'agnello di Dio, Prendete e mangiatene tutti, Carne della mia carne. I simboli che ci portiamo nel profondo rimandano al sacrificio e al consumo del sacrificato. Molta della grande arte occidentale ha a che fare con la carne, e la sua rappresentazione".

Intanto però, mentre i neocarnivori accarezzano preziosi coltelli di ceramica, sta già nascendo la carne del nostro futuro. Non richiederà spargimento di sangue, non esigerà sacrifici né dolore. Sta nascendo in un laboratorio di Amsterdam. Dove la inVitroMeatFoundation lavora a un progetto faustiano: creare carne. Non da animali: dal nulla, o meglio da cellule messe in coltura. Per realizzare un sogno di Winston Churchill, che nel 1932 scrisse, "tra qualche decennio ci sottrarremo alla follia di crescere un intero pollo per mangiarne solo petto o ali, e ne coltiveremo separatamente soltanto alcune parti". Una visione che diventò l'ossessione di un medico olandese, Willem van Eelen. Nel 1999 brevettò il suo metodo per la produzione di carne in vitro, i finanziamenti sono arrivati nel 2005, oggi la Fondazione supporta programmi nel mondo. La carne artificiale risolverebbe il problema delle emissioni di metano del bestiame (secondo il World Watch Institute arriva al 51 per cento dei gas serra annui) e della fame di proteine nobili di nazioni in crescita travolgente come Cina e India.

Creare carne che non provenga da animali forse è hybris, delirio di onnipotenza. Forse invece salverà quel che resta del mondo. Di sicuro, è un logico passo avanti, per la nostra società. "Da tempo abbiamo perso il contatto con la natura. Come nella pornografia, vediamo le parti e non il tutto, il filetto e non l'animale: per questo possiamo pensare a carne che nasca già porzione", conclude l'antropologo: "La materia ci appare volgare, la tecnologia in cui siamo immersi ha reso l'evanescenza possibile, abolito ogni distanza tra realtà e rappresentazione. Siamo passati dal Cogito al Digito ergo sum, tra touchscreen e 3D siamo già quasi ologrammi di noi stessi. Così finalmente entreremo noi stessi nel sogno, e varcheremo lo specchio di Alice".

hanno collaborato Stefano Vastano e Andrea Visconti


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-peccati-della-carne/2115890&ref;=hpsp
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Padrini e condomini

- di Peter Gomez e Marco Lillo -
Il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2009

Nella sua vita Renato Schifani è stato molto sfortunato negli affari. Socio di tre società in decenni diversi, in tutte ha incontrato alcuni soci che (anni dopo) sono stati arrestati. E non è andata meglio con le case: il palazzo di via D'Amelio, nel quale ha abitato per 25 anni è stato sospettato, per colpa di un suo condomino mafioso, addirittura come base logistica della strage Borsellino. Mentre la villa di Cefalù del presidente è stata comprata da un costruttore ora indagato nell’inchiesta riaperta recentemente sui rapporti tra Fininvest e mafia.  
Schifani ha comprato nel 1994 una villa nel residence “Baia dei sette emiri” di Cefalù proprio dalla Progea, la società di Francesco Paolo Alamia (indagato in passato con Berlusconi e Dell’Utri e ora, di nuovo ma da solo) e di Antonio Maiorana (l’imprenditore scomparso con il figlio nel 2006, probabile vittima della lupara bianca). La vendita però è stata impugnata nel 1999 dal curatore subentrato nell’amministrazione della Progea dopo il crack, che ha chiesto di revocarlo perché lo ritiene un depauperamento dell’attivo della società. A leggere la storia di Schifani a volte sembra di esser di fronte a un Forrest Gump dell’antimafia. Si dichiara nemico delle cosche eppure incappa spesso in acquisti di case e quote con persone che poi si riveleranno mafiose. Forrest-Schifani svicola inconsapevole tra questi mafio-imprenditori ma i suoi nemici delle cosche per un gioco del destino talvolta sono suoi soci e talvolta suoi condomini. Uno dopo l’altro poi finiscono arrestati e condannati. Mentre Forrest-Schifani dribbla tutti e corre senza ostacoli da Palermo a Roma fino ad arrivare alla seconda carica dello Stato.

Il 27 novembre scorso abbiamo raccontato la prima parte della storia di Forrest-Schifani, concentrandoci sulla società Sicula Brokers. Ben quattro soci e un vicepresidente della società anni dopo saranno arrestati. Ma lui dichiara: “entrai nella società con una partecipazione simbolica su richiesta del vecchio Giuseppe La Loggia e dopo un anno e mezzo ho dismesso la quota perché non avevo nessun interesse alla società”. Secondo i Carabinieri però tre anni dopo, il 10 giugno 1983, la Sicula Brokers delibera “di cooptare il consigliere Schifani in sostituzione del dimissionario Mandalà Antonino”, poi arrestato come capomafia di Villabate. Non risulta se Schifani abbia accettato ma la cooptazione (almeno tentata) dimostra che era considerato un uomo fidato.
Proprio nel 1983 Schifani lascia lo studio La Loggia e si lancia nella professione da solo. Sceglie un partner più anziano ed esperto: Nunzio Pinelli. Guadagna bene e pensa a mettere su casa. Per fortuna c’è una cooperativa che ha un bel terreno in via D’Amelio e gli Schifani non si lasciano sfuggire l’occasione. Renato e la sorella Rosanna, diventano soci della cooperativa Desio (senza badare troppo a chi c’è nella società) e comprano in via D’Amelio 46 due appartamenti. Nella stessa strada, al civico 19 abitava la mamma di Paolo Borsellino e proprio dopo avere suonato a quel portone il giudice salterà in aria il 19 luglio del 1992 con i cinque agenti della scorta. Ancora una volta le storie di Borsellino e Schifani si incrociano per un palazzo (vedi “Il Fatto Quotidiano” del 24 novembre). Il civico 19 di via D’Amelio, dove abita tuttora la famiglia Borsellino, è un simbolo dell'antimafia. Mentre il civico 46, dove ha abitato per 25 anni la famiglia Schifani, ha una storia diversa.
Partiamo dall'inizio. La Cooperativa Desio ottiene la concessione e accende un mutuo con il Banco di Sicilia. Nel 1980 consegna i primi appartamenti. Alla conservatoria risulta che Renato Schifani è socio della cooperativa Desio che gli assegna l’appartamento nel 1986 per 34,9 milioni di lire. Il presidente ha venduto l’ottavo piano solo a luglio del 2009 mentre la sorella resta proprietaria del secondo piano. Scorrendo l'elenco degli altri 33 soci assegnatari degli appartamenti troviamo cognomi noti a Palermo: Buscemi, Scarafia, Marcianò, Barbaccia.
Al quinto piano c’è l’appartamento di Vito Buscemi, arrestato per l’inchiesta mafia-appalti nel 1993 e condannato a 3 anni e 3 mesi di carcere. Secondo gli investigatori Vito era legato ai cugini più famosi processati per il tavolino tra impresa, mafia e politica e per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Vito Buscemi è entrato in galera nel gennaio del 2007 e ne è uscito nell’aprile scorso. In un rapporto del 1993 il capitano del Ros Sergio De Caprio, alias Ultimo, segnala al pm Ilda Boccassini: “Buscemi Vito è detenuto per una serie di vicende che dimostrano la partecipazione del gruppo imprenditoriale collegato a Totò Riina nella gestione irregolare degli appalti pubblici”. Poi l’uomo che ha arrestato Riina aggiunge: “Buscemi risiede in via D’Amelio 46 e pertanto ha la possibilità di disporre in loco di soggetti di assoluta fiducia”. Ergo, sempre per Ultimo, era “accertata la possibilità da parte della famiglia Buscemi di svolgere una funzione di supporto logistico nelle aree interessate aIle stragi”. Effettivamente il palazzo della Desio vede quello di Borsellino dal quale è separato da un campo verde, il fondo Marasà. L’intuizione di Ultimo è solo una suggestione che nessuno ha mai sviluppato. “Il Fatto Quotidiano” ha chiesto a Gaetano Giambra e Francesco Sanfilippo, ex soci e assegnatari della Desio (come Buscemi e Schifani), di raccontare la storia del palazzo di via D’Amelio 46. Secondo i due anziani condomini: “il palazzo è stato costruito da Gaetano Sansone”. La circostanza non è secondaria: Sansone è stato arrestato nel 1993 e condannato per mafia perché curava la latitanza di Totò Riina, arrestato in una villetta di via Bernini.
Continuando a spulciare gli archivi si scopre poi che tra i soci della cooperativa Desio ci sono Agostino Gioeli e Francesco Barbaccia, due cognati di Salvatore Sansone, arrestato con il fratello Gaetano nel 2000 e poi assolto. In quell’indagine Francesco Barbaccia fu intercettato casualmente mentre parlava con i Sansone e i pm chiesero (ma non ottennero) la sua sorveglianza speciale. Non basta. Tra i soci della Desio che hanno avuto un appartamento come Schifani troviamo Claudio Scarafia, un costruttore che nel 2000 è stato coinvolto nell’indagine sui Sansone e che nell’ordinanza del Gip era considerato una sorta di prestanome di un boss di prima grandezza: Francesco Bonura, arrestato nel 2006 come come capomandamento di Palermo centro. Non basta. Tra i soci-assegnatari della Desio c’era anche un cugino (morto da pochi mesi) dei fratelli Vincenzo e Giovanni Marcianò, arrestati per mafia perché considerati i capi del mandamento di Boccadifalco. “Il Fatto Quotidiano” ha cercato ieri senza successo Renato Schifani per un chiarimento. A persone vicine al suo staff però il presidente ha detto: “è stato mio padre, che abitava lì, a segnalarmi che una persona aveva rinunciato a comprare quell’appartamento. Così sono diventato socio e ho preso il mutuo per comprare e stare vicino a mio padre. Ma non ho mai fatto vita sociale nella Desio. Era solo una cooperativa edilizia”. Nel 2002 l’avvocato Schifani ha difeso la cooperativa Desio davanti ai giudici amministrativi. Il presidente della società è sempre Pietro Gambino. Schifani ha dichiarato: “dal 2001 ho lasciato completamente la professione di avvocato e faccio solo il politico”. Per la Desio ha fatto un’eccezione.
(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)


http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/?r=85823
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La granata di Fini

- di Carlo Tecce -


Grazie, presidente della Camera: “Io gliel'ho detto... confonde la leadership con la monarchia assoluta”.

Gianfranco Fini ha timbrato con il sigillo della terza carica dello Stato un pensiero comune tra milioni di italiani. Quel che si nasconde dietro i taccuini, appare dinanzi ai microfoni accessi in un convegno del “Premio Borsellino” a Pescara. Fini parlava di Berlusconi, del pentito Spatuzza e delle inchieste giudiziarie con il procuratore Trifuoggi.

Una leggera e cordiale chiacchierata - merito o colpa del video - diventa un manifesto politico che spiega le contraddizioni nel Pdl e le revisioni del comunista ex missino. Ecco l'esplosivo: “Il riscontro delle dichiarazioni di Spatuzza, speriamo che lo facciano con uno scrupolo tale da... perché è una bomba atomica”. Trifuoggi: “Assolutamente si... non ci si può permettere un errore neanche minimo”. F: “Si perché non sarebbe solo un errore giudiziario, è una tale bomba che... Lei lo saprà: Spatuzza parla apertamente di Mancino, che è stato ministro degli Interni, e di ... (ndr Berlusconi?). Uno è vice presidente del CSM e l'altro è il Presidente del Consiglio...".

Ecco la miccia: “"No ma lui, l'uomo confonde il consenso popolare che ovviamente ha e che lo legittima a governare, con una sorta di immunità nei confronti di qualsiasi altra autorità di garanzia e di controllo: magistratura, corte dei Conti, Cassazione, capo dello Stato, Parlamento. Siccome è eletto dal popolo...”. A futura memoria: “Ma io gliel'ho detto... confonde la leadership con la monarchia assoluta.... poi in privato gli ho detto... ricordati che gli hanno tagliato la testa a... quindi statte quieto". Che i Bondi e i Capezzone diano fuoco alle fiamme. O alle ceneri.


GUARDA IL VIDEO



http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id;_blogdoc=2391903&yy;=2009&mm;=12ⅆ=01&title;=la_granata_di_fini
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Processo breve con autovelox

- di Bruno Tinti -

Una mia cara amica che fa il giudice civile mi ha chiesto: "Cosa sai di autovelox?". Io che ho un’automobile da tamarro (come dice Marco Travaglio) le ho risposto: "Tutto, ma che te ne frega?". E così ho scoperto che questa poveretta, consigliere di Cassazione (con stipendio adeguato), esperta di diritto societario, di concorrenza sleale e diritto fallimentare; titolare di numerosi processi in materia possessoria (sono cause rognose se mai ce ne sono state) passa un sacco di tempo a trattare gli appelli alle sentenze del giudice di pace in materia di contravvenzioni stradali.

Pensate un po': una multa per sosta vietata, per eccesso di velocità, per aver passato il semaforo con il giallo-rosso invece che con il verde-giallo finisce sul tavolo di questa mia amica; che, tra un processo per responsabilità di consiglieri di amministrazione che hanno deliberato una fusione societaria in presunto conflitto di interessi; e un altro per asserito possesso di beni immobili già appartenuti a ente pubblico; deve stabilire se 30 o 40 euro di multa debbono essere pagate oppure no.

Questo triste destino tocca a tutti i giudici civili italiani: centinaia di migliaia di processi (in grado di appello) sulle sentenze dei giudici di pace in materia di infrazioni stradali. E intanto i processi veri si ammucchiano e le parti si chiedono: "Ma che cazzo fa questo giudice?". A questo punto mi sono ricordato del tempo in cui, da pm, chiedevo decreti penali al gip: guida senza patente, omesso versamento contributi Inps, omessa esposizione della tabella dei giochi leciti e altre decine di minchiate del genere. Tutta roba che aveva il seguente percorso: richiesta al gip di decreto penale per qualche centinaia di euro, decreto emesso dal gip, due o tre tentativi di notifiche andate a male (perché l’imputato si trasferiva e non si sapeva dove andarlo a cercare), quando lo si trovava faceva opposizione, quindi processo in tribunale, poi appello e cassazione. Era una gara con la prescrizione; e vinceva sempre lei. Nel frattempo sulla mia scrivania si ammucchiavano i falsi in bilancio, le frodi fiscali, le corruzioni e le bancarotte.

Poi è arrivato Alfano e ha detto che non era tollerabile che il processo italiano durasse in media 7 anni e mezzo e quindi ci andava il "processo breve": dopo 6 anni tutti innocenti. Può anche essere una buona idea: la giustizia deve essere rapida, se no che giustizia è? Quindi facciamo qualche riforma semplice, non costosa e poi via al "processo breve". In Parlamento ci sono un sacco di magistrati e avvocati che possono spiegare ad Alfano le cose che si debbono fare; qualcuno che può dire ad Alfano che prima di varare il "processo breve" dovrebbe eliminare le sciocchezze che ho raccontato dovrebbe esserci.

Qualcuno che può fargli un elenco dei ridicoli reati di cui si può fare a meno (sono centinaia) e spiegargli che prevedere tre gradi di giudizio più il ricorso al prefetto per le contravvenzioni stradali è una cosa folle dovrebbe esserci. Qualcuno che… Ma a questo punto mi sono messo a pensare: e che farebbero i 170.000 avvocati italiani (in Francia ce ne sono 50.000), privati da un giorno all’altro del loro pane quotidiano? Allora niente "processo breve". Sì ma, e di B. che ne facciamo? Ecco, avete capito cos’è davvero il conflitto di interessi?

da Il Fatto Quotidiano del 27 novembre 2009


http://togherotte.ilcannocchiale.it/
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Attenti ai nuovi crociati

- di Angelo d'Orsi -

Strano Paese, questo chiamato Italia. Che ci si ostina, talora, a definire “bello”. Paese che improvvisamente sta scoprendo come una cifra identitaria la croce: non tanto il cristianesimo, quanto il suo simbolo, simbolo peraltro di sofferenza e morte: la croce, appunto. E la cosa più strana che a riscoprire la croce, generando un vago sospetto di strumentale uso politico, sono coloro che più vicini sono al paganesimo, i leghisti del senatùr, con un corteo di postfascisti, e sedicenti liberali.

Simbolo di persecuzioni subìte, ma anche di persecuzioni inflitte a milioni di esseri umani, la croce è qualcosa di diverso e di più importante, nel bene e nel male, delle disinvolte capriole ideologiche e culturali della Lega e dei suoi alleati. Se fossi ancora un cristiano, sarei molto seccato per questo vergognoso abuso di quel simbolo. Che ora, niente di meno, un personaggio televisivo – divenuto addirittura ministro in passato: sì, uno strano Paese, il nostro – l’ingegner Castelli, ha lanciato la proposta di conficcarlo nel cuore della bandiera nazionale.

E qui lo stupore è duplice. Sapevamo del totale disprezzo della Lega per il Tricolore, che il suo leader Bossi invitava a “gettare nel cesso” non troppo tempo fa. Ora, d’improvviso, diventa importante, se addirittura la si vuole usare come portatrice di un altro simbolo, evidentemente divenuto più importante: perché è chiaro che la bandiera sarebbe un mero strumento per “valorizzare” la croce, e dire al mondo che gli italiani sono cristiani, se ne gloriano e lo vogliono gridare urbi et orbi, in modo da metter in chiaro le cose. Siete avvertiti, dunque, o voi atei, islamici, ebrei, buddisti, induisti, shintoisti e quant’altro. In Italia regna Cristo Re. E la Chiesa di Roma che fa? Può sopportare di veder usata, abusata, la religione di cui essa è istituzione portante, a fini di bassa speculazione politica? C’è stata, è vero, una replica sagace di un alto prelato (“a quando le crociate?”), ma aspettiamo risposte ufficiali, magari ai massimi livelli. La partita è grave. E non si può metterla sul motto di spirito.

E il ministro degli Esteri, l’abbronzato Frattini – che vedrei meglio nei panni di maestro di sci che di rappresentante italiano nei consessi internazionali – se la cava, incredibilmente, definendo “suggestiva” la proposta. E la neutralità dello Stato fra le diverse fedi, il “libera chiesa” (oggi: “libere chiese”, al plurale, dovremmo dire, per necessità di cose) “in libero Stato”, cede il passo a un nuovo cesaropapismo, con una confusione tra spada e tiara, bandiera e croce. Il Paese di Cavour, di cui stiamo per celebrare il bicentenario della nascita! E di cui gli odierni sedicenti liberali si proclamano nipoti, se non figli.

Mentre ancora i leghisti scalpitano, a seguito dell’esito del referendum svizzero sui minareti, ritenendo che il mainstream oggi sia quello e che dunque in esso ci si debba inserire, cavalcando la forma oggi più diffusa di razzismo, quello antislamico.

Sicché, d’improvviso, i seguaci del “dio Po”, il mitico Eridano, a cui si sottomettono, in riti bizzarri nelle montagne del Cuneese, là dove il fiume sorge, ora si dichiarano seguaci di una delle “religioni del Libro”; coloro che insultavano il pontefice, se ne proclamano ora fieri paladini; gli svaticanatori sono divenuti papisti.

Non è certo la prima volta. Basti pensare alla parabola di Mussolini, che passò dall’anticlericalismo al Concordato, e nel contempo lasciando cadere la seconda “pregiudiziale” del movimento dei Fasci: quella repubblicana. Sicché l’ateo divenne cattolico, il socialista si fece liberista e poi corporativista, il repubblicano monarchico, il rivoluzionario reazionario. Anche Mussolini voleva piantare il tricolore nel letame (testuale), e poi si riempì la bocca della parola Italia, che pretendeva fare diventare signora del Mediterraneo, grande potenza, alleata alla potenza germanica, in nome degli immancabili destini di Roma, sui cui colli doveva tornare l’Impero: sappiamo come finì.

Ora i leghisti, e loro manutengoli, affilano le armi: non sono ancora pronti a dichiarare guerra santa all’Islam, ma si stanno preparando: spingendo gli islamici sulla difensiva, magari aiutando un processo di trasformazione di tanti milioni di fedeli di Allah, in militanti della Jihad. Non era stato teorizzato lo scontro di civiltà? L’incompatibilità delle religioni? L’inevitabile clash, per una ragione o per l’altra?

Ebbene, il momento sembra favorevole, ancorché non così prossimo. E tra frizzi e lazzi, nell’indifferenza generale, nella complicità di chi ritiene di sfruttare l’esito della campagna, questi energumeni, per un pugno di voti, sono pronti a scatenare l’inferno (ricordate la maglietta del sorridente Calderoli? Quanti morti provocò? Ebbene, costui oggi è ministro).

Forse un semplice proverbio andrebbe ricordato a lor signori: Chi semina vento, raccoglie tempesta.
Il problema è che se la tempesta si scatena, rischia di travolgerci tutti. Perciò occorre fermare questa genia malvagia e scempia. Prima che sia troppo tardi.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/attenti-ai-nuovi-crociati/
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Comunicato politico numero ventinove

- di Beppe Grillo -

Viviamo una fase storica ineguagliabile. La peggiore dello Stato italiano. Berlusconi è il peggior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni, Napolitano il peggior presidente della Repubblica (un vero outsider che fa rimpiangere anche Giovanni Leone cacciato a pedate), il Pdmenoelle è la peggior opposizione da quando esiste il Parlamento con Bersani maggiordomo di D'Alema, il politico più intelligente e trombato, ma anche trombante, della Repubblica. Voglio essere ottimista. Siamo in fondo al pozzo e possiamo smettere di scavare. Siamo arrivati dall'altra parte. Mi sento come un italiano verso la fine della seconda guerra mondiale sotto le bombe. Sa che non potrà continuare a lungo. Che il cielo tornerà azzurro e potrà uscire in strada, felice come un bambino, a baciare la prima sconosciuta. Il mio ottimismo è ragionato. Lo Stato è fallito, un miliardo al giorno di debito pubblico è insuperabile anche da Tremorti. Milioni di persone hanno perso il lavoro e la casa. La cassa integrazione è vicina al tracollo. Il Parlamento non esiste, è stato espropriato da dei delinquenti costituzionali. La Chiesa comanda. La mafia comanda. La camorra comanda. La 'ndrangheta comanda. Il cittadino non conta nulla. Tutto è perduto e soprattutto l'onore. Italiano e pagliaccio sono sinonimi nel mondo. "Italian fucking clown". Il Consiglio dei ministri è una replica continua di "Oggi le comiche". Qualunque prostituta, qualunque idiota potrebbe diventare ministro in Italia. Questo regime, come a suo tempo il fascismo, non lo può più salvare nessuno. Si è schiantato insieme alla disonestà e indifferenza di molti italiani negli ultimi anni. Come, quando dopo una tragedia, ci si risolleva per necessità, così avverrà nel prossimo futuro. Il MoVimento a Cinque stelle non ha legami con il passato, con nessuno dei nomi marci di corruzione che ci governano. Il MoVimento parte da zero, dal basso, questa è la sua forza. Il MoVimento si presenterà per le regionali in Emilia Romagna, Campania, Veneto e Piemonte, con capolista Davide Bono. Molte Liste a Cinque Stelle si stanno preparando per le amministrative. Lo Statuto è quasi pronto e anche l'iscrizione on line. Il 5 dicembre ho dato l'adesione al No B-day. Non sarò sul palco e non parlerò in quanto richiesto dagli organizzatori. "Per noi è un politico e quindi non parlerà" ha deciso il comitato promotore. Viviamo uno scempio sociale e istituzionale che nessuno avrebbe creduto possibile, io per primo. Siamo ancora nello scantinato, dalle televisioni arrivano le voci di un presente che è già passato, degli Schifani, Gasparri, Dell'Utri, Casini. Così presenti eppure già lontane. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.



Ps: Moratti e Formigoni indagati sull'inquinamento a Milano, il blog c'entra qualcosa?




http://www.beppegrillo.it/2009/12/comunicato_politico_numero_ventinove/index.html
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Indagato il PdL

Roberto Formigoni del Pdl presidente della Lombardia è indagato a Milano per inquinamento.
La sindaca di Milano Letizia Moratti “birichetto” del Pdl, è indagata a Milano per inquinamento ma è già stata anche condannata dalla Corte dei conti per le assunzioni d’oro.

Il presidente della provincia di Milano Claudio Podestà del Pdl, è indagato a Milano per inquinamento.
Rosanna Gariboldi del Pdl, assessore alla provincia di Pavia, è in galera per l’inchiesta sulle bonifiche che sembra mancare Formigoni soltanto di un soffio.
Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella dell’euroPdl, è in libertà vigilata fuori dalla Campania accusata di truffa, falso, concussione, abuso d’ufficio e associazione per delinquere in un’inchiesta su appalti e raccomandazioni.

La parlamentare Linda Savino del Pdl, è indagata a Bari in un’inchiesta di riciclaggio.

Il presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro del Pdl, teme di essere arrestato per possibili accuse di associazione mafiosa nell’inchiesta che coinvolge Nicola Cosentino del Pdl.
Anche il vicecapogruppo alla Camera Italo Bocchino del Pdl è indagato nell’ambito della stessa inchiesta.
Silvio Berlusconi leader maximo del Pdl, è imputato di corruzione in atti giudiziari a Milano e imputato anche nel processo Mediaset. E’ in attesa di sapere se sarà rinviato a giudizio anche a Napoli per compravendita di senatori e rischia un’indagine per concorso in strage.

Marcello Dell’Utri del Pdl, è imputato nel processo d’appello di concorso esterno in associazione mafiosa dopo una condanna in primo grado a nove anni. Anche lui rischia un’indagine per concorso in strage.
Il ministro Altero Matteoli del Pdl doveva essere imputato di favoreggiamento a Livorno ma il pdl ha negato ai magistrati l’autorzzazione a procedere nei suoi confronti.
Anche nei confronti del sottosegretario Alfredo Mantovano del Pdl le indagini non sono continuate perché il Pdl ha negato l’autorizzazione a procedere.

Il ministro angelino alfano del Pdl è indagato a Bari per abuso d’ufficio.
Il ministro Raffaele Fitto del Pdl è imputato a Bari in due processi per corruzione e turbativa d’asta.
I due ministri del Pdl sono indagati insieme anche a Roma per abuso d’ufficio, accusati di aver rallentato la designazione del magistrato che doveva indagare Fitto del Pdl. L´indagine è nata da un´intercettazione telefonica.
Un assessore e due consiglieri regionali della Liguria, tra cui Nicola Abbundo del pdl, sono indagati a Genova per corruzione, turbativa d’asta e truffa nella spartizione di 30 milioni di euro di fondi europei.

Il sottosegretario Nicola Cosentino del Pdl è indagato perché ritenuto referente dei casalesi da alcuni camorristi pentiti. Anche per lui niente arresto come richiesto dal magistrato.

Mi fermo qui perché rischio di perdermi. Oltre che di perdere il conto (per difetto) delle magagne dei furbetti del Pdl. Fermo restando che nessuno di questi Pdl risulta dimesso dalle cariche istituzionali. In Italia non fa più notizia. Fa soltanto ridere.




http://www.danielemartinelli.it/2009/12/01/indagato-il-pdl/
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Wto: l'unica certezza è che il modello (perdente) non si cambia

- di Maurizio Gubbiotti -

GINEVRA. La fine della WTO, tante volte decretata, quante respinta e negata. E così le Ministeriali si continuano a fare, senza troppa passione e con sempre meno pubblicità, ma sempre con il pericolo che qualche infausta decisione passi sopra la testa delle popolazioni aggravandone di più la già pesante situazione.

Su quest'ultima in anticipo ci si è affrettati a dire che non si sarebbe negoziato nulla, ma poi invece nella conferenza stampa d'apertura hanno dichiarato di volere una conclusione "rapida e di successo" per il ciclo di negoziati "dello sviluppo" lanciato dalla Wto nel 2001 a Doha, ma anche che il contenuto di sviluppo si è annacquato nei testi in discussione, e che ad esso è appeso, però, il risultato finale delle trattative.

Sono giunti a Ginevra oltre 2.700 delegati, di cui solo 139 su 153 membri dell'organizzazione, 350 giornalisti e circa 500 rappresentanti della società civile, e dopo la giornata di sabato dedicata ad una manifestazione antiWTO con anche alcuni dei protagonisti della "Battaglia di Seattle", che si è snodata per la città con tanto di trattori, ed imbarcazioni dei pescatori trasportate su dei carri - ma purtroppo anche preceduta da un po' di bande giovanili più casseurs forse che veri black bloc, che hanno fatto razzia di vetrine ed auto parcheggiate - domenica invece e' stata utilizzata dai ministri al commercio di Brasile, Argentina, Sudafrica, e alcuni tra gli Stati emergenti più influenti del G20, che in ambito Wto guidano il raggruppamento del G33, per "posizionarsi" rispetto a Europa e Stati Uniti in vista dell'apertura.

I Paesi in via di sviluppo affermano infatti di voler tenere in vita questo ciclo di negoziati e volerlo concludere presto e con successo, specificando però che per successo intendono che lo vogliono amico dello sviluppo. La Wto, ha il peccato originale di essere nato come club dei Paesi ricchi che negli anni è anche molto cambiato, il Doha round infatti è stato lanciato per aiutare i paesi poveri a migliorare le proprie condizioni attraverso un commercio più libero, ma il processo è lungo e resta ancora tanta strada da fare nel negoziato perché questo proposito diventi realtà.

Sembrerebbe esserci un accordo chiuso all'80% secondo lo stesso segretario generale Pascal Lamy, ma rimangono grandi differenze, su come esattamente i membri taglieranno le proprie tariffe sui prodotti agricoli e industriali, elimineranno i sussidi in agricoltura e apriranno il mercato dei servizi.
Il gruppo dei G20 in ambito Wto, coordinato dal Brasile, sostiene la necessità di una maggiore apertura dei mercati agricoli a Nord ma anche a Sud, e ha lanciato in direzione della ministeriale un documento nel quale ha affermato che l'agricoltura deve essere tema centrale in ogni accordo per via di come i sussidi dei Paesi ricchi stanno schiacciando i più poveri fuori dal mercato.

Un altro comunicato dei G33, gruppo coordinato dall'Indonesia che combatte per assicurare che i Paesi più poveri siano protetti in qualche modo dagli effetti più destabilizzanti dell'apertura dei mercati, hanno chiarito però in un proprio documento che ogni accordo debba proteggere i mezzi di sussistenza dei piccoli produttori soprattutto agricoli. Ma il negoziatore statunitense al commercio Ron Kirk, prima della partenza per Ginevra, ha chiarito che il suo Paese si sente impegnato, insieme ad altri, a giocare un ruolo di leadership nella Wto per spingere le esportazioni americane e far crescere il numero dei posti di lavoro ben pagati che gli americani vogliono e di cui hanno bisogno.

Un posizionamento chiaro che da solo getta un'ombra di grande incertezza sulla ministeriale che si apre in questi momenti.
Questo è pure un vertice diverso da tutti gli altri perché arriva in piena crisi economica, finanziaria, sociale ed ambientale, ma mentre nelle riunioni di G8 e G20 i leaders globali fanno a gara per mettere faccia e firme sotto proposte di ri-regolazione di borse e mercati finanziari, qui non si presentano e quasi alla chetichella tentano di chiudere un nuovo pacchetto di liberalizzazioni che ha perso tutti i suoi contenuti di riequilibrio Nord-Sud, che rischia di rafforzare il predominio di pochi interessi forti, a Nord come a Sud, alle spese dei diritti di tutti gli altri.

La Wto si è arenata da anni nell'esame di 17 diversi trattati, un pugno dei quali si occupa davvero di barriere doganali, tariffe e protezionismo, mentre la maggior parte cerca di limitare la capacità degli Stati di sostenere le produzioni "pulite" e i piccoli e medi produttori agricoli e manifatturieri, di vietare la costruzione di fondi nazionali di stimolo alla ripresa, che aiutino le imprese e i lavoratori del proprio Paese, di fissare parametri di gestione dei servizi pubblici perché siano prevalentemente in mano ai privati senza che i Parlamenti nazionali possano dire niente al riguardo.

L'ultima crisi economico finanziaria ha dimostrato l'insostenibilità di un sistema dove la finanza ed i capitali si sganciano dall'economia reale, dove persino il cibo diventa oggetto di speculazione finanziaria condannando alla fame oltre un miliardo di persone e questa crisi complessa ha dimostrato come i fallimenti del mercato siano alla base dei peggiori squilibri del pianeta, e come le ricette per curare questi disastri non possano essere le stesse proposte e riproposte da quasi trent'anni.

La soluzione alle attuali crisi alimentare, produttiva e climatica richiede un profondo e radicale spostamento da un'agricoltura e un modello energetico, industriale, produttivo, di distribuzione ed orientato all'esportazione, verso un'economia attenta ai bisogni del territorio, a Nord come a Sud. Non è più il momento di stare a guardare, è a rischio la stabilità e la sopravvivenza di intere comunità per gli anni a venire.


http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id;=2219&mod;=greentoscana
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E adesso un babà sulla bandiera

- di Jean-Léonard Touadi -

Nel nostro paese i politici cambiano idea con grande facilità: tra i casi di trasformismo quello dei dirigenti leghisti occupa i primissimi posti. I figli del Dio Po, votati ad ogni sorta di neopaganesimo, da un po’ di tempo si sono proclamati massimi esponenti dell’integrità cristiana. In linea con questa conversione, proprio ieri Castelli ha lanciato l’idea di piazzare una bella croce al centro della bandiera italiana.
Che dire, una proposta fantasiosa che però rischia di comprimere l’anima federalista della Lega, pertanto, consentirei alle diverse realtà territoriali di affiancare la croce ad altri simboli locali: ad esempio i veneziani potrebbero metterci una gondola, i napoletani un babà, i romani il Colosseo, i siciliani uno scacciapensieri? Immagino che Castelli sarà saltato sulla sedia quando domenica scorsa un rappresentante di quel mondo eversivo, perché solidale verso gli stranieri, ha addirittura affermato che anche Cristo era un migrante! Certamente il Viceministro accuserà questo signore di eresia e tradimento dei principi della Santa Romana Chiesa in salsa leghista. Inviterei Castelli a contattare il suo collega Maroni, affinchè quest’ultimo emani entro il 25 dicembre una circolare diretta ai Prefetti per verificare la cittadinanza di quelli che interpreteranno Gesù nei presepi viventi.

Le idee leghiste in quanto a fedeltà ai principi del cristianesimo sono direttamente proporzionali alla fedeltà di Giuda in occasione dell’Ultima Cena. L’inquietante idea di considerare lo straniero come nemico da respingere è totalmente opposta a quella espressa nel Nuovo Testamento ove Cristo afferma: «ero forestiero e mi avete ospitato». Nell’ultima settimana i leghisti hanno promosso diverse campagne mediatiche dichiaratamente discriminatorie, penso all’iniziativa «Bianco Natale» e all’emendamento sul limite di sei mesi alla cassa integrazione per i migranti, ora Castelli, con la sua proposta, corona questo crescendo di «stronzate» (giudizio analogicamente desumibile dalle parole del nostro Presidente Fini). Invito Castelli a pregare molto, senza dimenticare che il sacrificio di Cristo non ha bandiera e per un vero cristiano vale per tutti gli uomini indipendentemente dal loro credo. Cristo in croce parla a tutta l’umanità, è il segno d’amore di Dio per tutti.
Infine mi rivolgo alla mia parte politica: dobbiamo riprendere in mano la questione immigrazione che finora si sta articolando in un dibattito tutto interno alla maggioranza e che trova da parte nostra risposte incerte e frammentarie. Abbiamo bisogno di elaborare una nostra narrazione sull’immigrazione, con contenuti simbolici da accreditare nell’immaginario collettivo del nostro paese.


http://www.unita.it/news/commenti/92044/e_adesso_un_bab_sulla_bandiera
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I furbetti dello scudino

Il presupposto ufficiale per quel vero e proprio schiaffo agli italiani onesti denominato “scudo fiscale”, è che il provvedimento serva a far rientrare in Italia capitali freschi capaci di dare ossigeno alla nostra economia. Tremonti è uso a mentire platealmente; in genere si può dire lo stesso del governo Berlusconi in generale e a smentire la giustificazione ufficiale c'era già il dettaglio per il quale i capitali “scudati” possono restare all'estero; dettaglio che, unito all'assoluta riservatezza e al condono tombale sulle tasse non pagate, fa temere il peggio e rivela la vera natura del provvedimento: quella di uno sfacciato condono di classe offerto a chiunque abbia sottratto montagne di denaro alla fiscalità nazionale.

Sono passati pochi mesi e il timore è già diventato realtà, i soldi dello scudo fiscale non rientreranno in Italia e andranno a beneficio di altri mercati e altre economie. Era prevedibilissimo, perché se non c'è nessun obbligo per il rientro reale dei capitali, questi naturalmente si dirigono verso le offerte d'investimento più appetibili e non è che il nostro paese brilli in questo senso. Parlando di soggetti già abituati a gestire grossi traffici economici a cavallo delle frontiere è ovvio che indirizzeranno l'investimento dei capitali “puliti” dove si prevedono maggiori rendimenti e rischi minori.

La classe dirigente italiana non ha mai brillato per acume finanziario o per originalità e così anche buona parte della platea degli evasori scudati si muove in branco in occasioni come questa. E’ quindi abbastanza facile accorgersi al volo di cosa stia succedendo, un riscontro in tempo reale, un feedback che nel mondo globalizzato ci mette pochissimo a trasformare strategie riservate in un segreto di Pulcinella.

Dicono i media britannici che gli italiani si stanno comprando Londra: in contanti, niente mutui e niente lungaggini, “cash buyers” come si dice da loro, clienti da tenersi stretti e che stanno dando respiro al mercato immobiliare londinese, asfittico e travolto dalla crisi. Una valanga di soldi che preferisce gli immobili più pregiati, metà degli acquisti di case di lusso (categoria oltre i dieci milioni di sterline) da parte di europei sul mercato di Londra è opera di italiani secondo Bloomberg, mentre altre fonti riportano percentuali anche più elevate. Si arriva fino all'80% della domanda totale del mercato a Kensington e al 70% a Knightsbridge, zone di pregio destinate a rimanere tali ancora a lungo, per i capitali finalmente puliti si cerca un posto al sole .

Che la richiesta si affolli sulle case da oltre dieci milioni di Sterline ci dice che gli evasori miracolati da Tremonti hanno evaso parecchio, ma che la loro riconoscenza nei suoi confronti non arriva abbastanza in alto da spingerli a investire in Italia se pensano che Londra sia meglio. Il mercato che ha visto le follie dei magnati arabi, indiani e russi è ora scosso dall'improvviso afflusso di acquirenti italiani; i prezzi tornano a salire per la prima volta da tempo e gli inglesi se ne stupiscono, anche se i media hanno spiegato che il merito del boom è dello “scudo fiscale” made in Tremonti. Capiscono il meccanismo, ma si stupiscono che il governo italiano sia il responsabile di una follia del genere, uno smaccato favore ai ricchi che hanno infranto la legge, perché il premio offerto dallo scudo è proporzionale alle cifre nascoste al fisco e ai reati commessi per accumularle.

Le ragioni di tale affollamento di facoltosi italiani sul Tamigi sono facilmente intuibili: in tutto il mondo i prezzi delle case sono crollati e ancora di più per le case di lusso, ma la Gran Bretagna offre anche una provvidenziale svalutazione della Sterlina ( da 1.5 Euro per Sterlina nel 2007 a 1,1 oggi), pur rimanendo un paese parte della UE e offrendo quindi una serie di garanzie di sistema sconosciute ad altri paesi alle quali aggiunge una tassazione più soft di quella italiana.

Chi compra in Gran Bretagna compra quindi a prezzi relativamente bassi e paga in una valuta che è già affondata. Nella logica relativa che governa questo genere di cose, molti sperano così che alla rivalutazione dell'investimento si aggiunga anche quella della moneta e intanto sono già contenti di aver diversificato investendo in un mercato maturo e prestigioso, che è nella UE, ma fuori dall'Euro.

Il che ci porta all'amara conclusione per la quale, con lo scudo fiscale, il nostro paese ha offerto una provvidenziale amnistia a una banda di grandi evasori che ora, con i soldi “ripuliti” da Tremonti, stanno portando capitali e sollievo al mercato immobiliare londinese. Non occorre quindi aspettare la fine dell'anno per pronosticare che i capitali che rientreranno grazie allo scudo fiscale saranno molti di meno dei quelli previsti dal governo e che tutte le fantasie sul futuro impiego di queste somme a favore della nostra economia, si riveleranno l'ennesima illusione del nostro mago dell'economia. Quello che si veste da Robin Hood per rapinare meglio i poveri e poi farsi quattro risate con i ricchi ai quali consegna il bottino.


http://www.altrenotizie.org/politica/2855-i-furbetti-dello-scudino.html

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domenica 22 novembre 2009

Continuate ad avere paura

- PIOVONO RANE di Alessandro Gilioli -

«Fare da sentinella nei quartieri delle città. Annotare targhe di macchine sospette, affacciarsi se un cane abbaia o se nei pressi dell’appartamento del vicino si aggira qualche faccia poco rassicurante, o denunciare la presenza di un clandestino nel vicinato


La sperimentazione è partita a Caronno Pertusella, nel varesotto, nel cuore delle terre leghiste. Dove Gianfranco Caccia ha dato vita al sito www.controllodelvicinato.com e creato il logo che sarà utilizzato in tutta la regione». (da Repubblica).


Mi raccomando, continuate ad avere paura.



State chiusi in casa, doppia mandata, col taccuino pronto se dalla finestra vedete un’auto sospetta o uno con la faccia da clandestino. Guardate solo la tivù e diffidate di Internet che è piena di pedofili. E meno male che fuori c’è chi pensa alla nostra sicurezza.




http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/11/22/continuate-ad-avere-paura/
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Le mani su Cose nostre. Se la mafia ricompra i beni sequestrati

- di Maria Zegarelli -

Si chiama «Verbuncaudo», c’è chi dice si estenda per 150 ettari e chi ne aggiunge altri 90 del terreno confinante. Si trova vicino a Polizzi Generosa, Palermo, Sicilia. Michele Greco, il «Papa» di Cosa nostra, lo acquistò dalla società Sat: un colpaccio perché quel feudo era il simbolo, l’ennesimo, dello strapotere del boss dei boss.

C’era un’ipoteca, importante, e la questione andava risolta. Subito. La pratica fu seguita direttamente dal clan dei Croceverde che chiamarono i Salvo e detto fatto ne ottennero in quindici giorni la sospensione, con decreto del ministero delle Finanze. Poi, quando il «Papa» fu arrestato, il potere temporale sui suoi beni andò a farsi benedire e Verbuncaudo fu confiscato. E assegnato al Comune di Polizzi nel 2007, che lo accettò a patto che venisse destinato ad un’associazione impegnata nel sociale. Si individuò la Cooperativa «Placido Rizzotto Libera Terra», ma ecco che rispunta l’ipoteca. La cooperativa non può pagarla, il Comune neanche. Verbuncaudo rischia di essere venduto, malgrado sia stato assegnato perché mancano i soldi per l’ipoteca.

C’è già chi è pronto ad acquistarlo, gente potente. Si tratta dei familiari di Greco. Sono cinque anni che fanno pressione con i loro avvocati. Ma se alla Camera non viene cassato l’emendamento alla Finanziaria votato al Senato - presentato da Maurizio Saia, (ex An) quello che Gianfranco Fini definì «un imbecille», quando accusò di lesbismo Rosy Bindi ministro della Famiglia - sono 3213 i beni confiscati alla malavita e non ancora assegnati che rischiano di finire sul mercato. Le cosche sono pronte. Perché rimettere le mani su quella «robba» attraverso prestanome è facile, e perché farlo equivale a confermare che i tentacoli si spezzano ma sono pronti a ricrescere. E dove non arrivano le casse dello Stato e degli enti locali arrivano quelle di Cosa nostra.

Il «cassiere» della Banda della Magliana, Enrico Nicoletti, a Monte San Giovanni, nel Frusinate, possedeva un fabbricato a cui tiene ancora parecchio. È la casa natale dei genitori, legami affettivi che non si spezzano mai. Anche quello potrebbe tornare sul mercato. Idem per l’azienda bufalina con terreno, 8 ettari e oltre 2000 capi di bestiame fino al 2005, a Selvalunga, nel Grazzanise, dove Walter e Francesco Schiavone (Sandokan, boss dei Casalesi) hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Don Luigi Ciotti ha l’elenco pronto di tutti gli immobili. «a rischio»: li venderà simbolicamente martedì mattina a Roma alle ore 11 presso la Bottega della legalità «Pio La Torre» in via dei Prefetti 23. Batterà lui stesso l’asta, perché a volte devi ricorrere a questi gesti simbolici se vuoi scuotere coscienze che basta troppo poco per riaddormentarle. Saia con il suo emendamento al Senato ha fatto sì che se passano 90 giorni dalla confisca senza assegnazione tutto torna sul mercato.

«Con l’approvazione di questo emendamento è tradito l’impegno assunto con il milione di cittadini che nel ’96 firmarono la proposta di legge sull’uso sociale dei beni confiscati alla mafia - dice Don Ciotti -. Se la Camera confermasse la decisione di vendere all’asta gli immobili sarebbe enorme il rischio di restituirli alle stesse organizzazioni criminali». Virginio Rognoni, cofirmatario della legge Rognoni-La Torre è incredulo: «Venderli è una sconfitta per lo Stato, l’emendamento è un atto molto grave che non ha giustificazioni».

Nella sua relazione presentata al governo nel novembre 2008 il commissario straordinario, Antonio Maruccia, magistrato di Cassazione, diceva, tra l’altro: «Le proposte conclusive del Cnel si sono concentrate, avuto riguardo alla destinazione dei beni, nella indicazione della necessità di vietare la vendita dei beni, per evitare che possano essere nuovamente acquistati, tramite prestanomi, dagli stessi soggetti a cui sono stati sottratti». Inoltre, il Cnel, nelle «osservazioni e proposte» del 29 marzo 2007 ribadiva la necessità di «affidare a una nuova struttura, specializzata ed avente solo tale funzione, il compito di gestire il transito dei beni dalla confisca alla collettività, dotando la stessa di poteri, finanziamenti e personale tecnico e specialistico necessario».

Stesse conclusioni nella Relazione approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie nel novembre 2007, relatore Giuseppe Lumia, che si occupò proprio dei beni confiscati. Si legge: «Il punto critico attiene proprio alla particolare origine dei beni, che sono divenuti demaniali per effetto dell’azione di prevenzione; tale origine determina la continua pressione della criminalità destinataria dei provvedimenti, tesa al recupero dei beni o, quantomeno, a renderli inutilizzabili, in un’ottica che suona come aperta sfida alle istituzioni incaricate di affermare la sovranità delle ragioni democratiche». Per questo, secondo la Commissione, è necessario non far rientrare la gestione e la destinazione di quei beni alle competenze generali dell’Agenzia del Demanio. Sarebbe molto più indicata un’ Agenzia centrale, ribadisce il documento, anche sulla base di tutte le audizioni effettuate durante l’indagine. Ma l’Agenzia centrale non è mai nata. L’emendamento, invece, sta lì, in attesa di essere definitivamente licenziato alla Camera.


ARTICOLI CORRELATI:


http://unita.it/news/italia/91608/le_mani_su_cose_nostre_se_la_mafia_ricompra_i_beni_sequestrati
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Dialogo di condominio

- di Marco Travaglio -

Se Dio (anzi Silvio) vuole, riparte il “dialogo sulle riforme”. Il pizzino di Schifani ha sortito gli effetti sperati, Fini s’è messo paura e Bersani ancor di più: se si vota subito, sono spacciati entrambi. Bastava vedere il berlusconiano Quagliariello, la finiana Perina e la bersaniana Bindi l’altra sera ad Annozero: tre zuccherini. La finocchiariana Finocchiaro ha sentito profumo d’inciucio e, da esperta del ramo, ci si è fiondata: ha proposto un’“agenda delle priorità condivise” (il dizionario inciucesco non è mai stato così ricco di modulazioni).

Indimenticabile la scena di due primavere fa, quando il noto senatore di Corleone fu candidato alla presidenza del Senato e il Pd, non trovando uno statista del suo calibro da contrapporgli, si astenne sul suo nome (mentre Di Pietro votava Borrelli) e lo applaudì appena eletto. La Finocchiaro, ritenendo riduttivo un banale applauso, lo baciò con trasporto. Poi un giornalista andò da Fazio e ricordò che Schifani era stato socio di due tipetti poi condannati per mafia. Prim’ancora che Berlusconi avesse il tempo di difendere Schifani, provvidero per lui la Finocchiaro, Violante e D’Avanzo (oltre al solito poveraccio con le mèches che, frequentando pregiudicati e latitanti, si scandalizza se un giornalista frequenta magistrati perbene).
Ora, grazie a Marco Lillo, si scopre che il presidente del Senato con cui fissare l’agenda delle priorità condivise non solo assisteva come avvocato alcuni fra i più noti mafiosi di Sicilia (questo si sapeva, ma non è mica un problema, no?). Ma si adoperò pure per “sanare” un famigerato immobile di Palermo eretto abusivamente da un costruttore mafioso con metodi mafiosi per ospitare mafiosi e rampolli di mafiosi: la figlia di Bontate, i killer latitanti Bagarella e Brusca, il medico mafioso Aragona. Chissà le assemblee di condominio, che spettacolo. L’amministratore, Frank Tre Dita (impossibilitato per ovvi motivi a votare su delega per più di due assenti), dava il via alla discussione dando la parola al signor Ciccio. Il quale però veniva subito interrotto da Bagarella che, senza fiatare, poggiava delicatamente il kalashnikov sul tavolo. Al che il signor Ciccio preferiva fingersi afono, a beneficio del signor Leoluca. Questi proferiva la parola “minchia”. Poi si passava alle varie ed eventuali in un clima di perfetto dialogo, sia pure muto.

Un giorno Brusca e Bagarella litigarono perché non era opportuno trascorrere entrambi la latitanza nello stesso palazzo: l’inconveniente fu risolto con un’agenda delle priorità condivise, latitando un giorno per uno. Ogni tanto fra i Bontate, i Bagarella e i Brusca scoppiava una lite per le cantine: la donna delle pulizie dimenticava sempre qualche ossicino di bambino sciolto nell’acido o nella calce viva. Una volta il fuochista addetto al riscaldamento confuse i bidoni dell’acido con quelli del cherosene, danneggiando l’impianto centralizzato. Ma alla fine le delibere erano sempre all’unanimità: i condòmini non votavano per millesimi, ma secondo i rispettivi ergastoli. E, da regolamento, solo chi ne aveva almeno due poteva interloquire.

Qualcuno ricorda quando un nuovo inquilino, il signor Gigi, ignaro di tutto, lamentò certi rumori sospetti provenienti da casa Brusca, tipo urla disperate di esseri umani. Brusca replicò con una frase smozzicata e incomprensibile. Nella successiva assemblea la vedova del signor Gigi, ancora in gramaglie per il recente lutto, raccontò che il marito era finito inavvertitamente in un pilone di cemento armato del garage, e comunque quei rumori sospetti se li era sognati. Notizia accolta con sollievo dall’intera assemblea. Quando poi il giardiniere, zappettando nell’aiuola delle ortensie, rinvenne una ventina di tibie e teschi umani, l’avvocato del condominio, un omino col riporto, si precipitò a rassicurarlo: “Ma lo sa che siamo capitati proprio sopra una necropoli etrusca?”. Ecco, è lì che il nostro futuro statista forgiava la sua alta sensibilità istituzionale. In vista dell’agenda delle priorità condivise.
(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)




http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/?r=85820
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Gradisca Presidente: le verità di una donna, le bugie del premier

- di Peter Gomez -

Chi lo acquisterà, e saranno in molti, andrà subito a leggere le pagine più hard: quelle in cui Patrizia descrive la sua notte di sesso a Palazzo Grazioli. Un racconto che noi de Il Fatto Quotidiano abbiamo però deciso di non pubblicare perché Gradisca Presidente, l’autobiografia della D’Addario, scritta a quattro mani con la brava collega del Corriere della Sera, Maddalena Tulanti, è un libro che deve spingere a riflessioni di carattere politico. Ragionamenti che ruotano tutti su cosa è accaduto prima dell’ingresso della escort di Bari nella camera da letto di Silvio Berlusconi. E su cosa è successo dopo. Non durante.

Sfogliando le pagine del libro si ha infatti l’impressione di scivolare a poco a poco in un noir ambientato non a Bari o a Roma, ma a Caracas o Bogotà. Metropoli decadenti dove i politici si controllano comprandoli (o ricattandoli) con festini e ragazze a pagamento. Città dove le vite degli uomini e delle donne non valgono niente, e quelle delle prostitute ancora di meno. Gli esempi in Gradisca Presidente si sprecano: Patrizia, non appena svela alla sua amica Barbara Montereale, un ex billionarina più volte ospite del premier, e al suo ex protettore di essere in possesso delle ormai celebri registrazioni degli incontri con il Cavaliere, comincia ad essere minacciata. Prima con telefonate anonime d’insulti (tutte incise su nastro). Poi con vere e proprie aggressioni. Sua madre viene presa a pugni; un Suv, sotto gli occhi di due testimoni, tenta di buttare l’auto della escort fuori strada; un cliente che si qualifica come ex carabiniere le mette a soqquadro la casa e tenta di violentarla. Quindi arrivano i (presunti) servizi segreti. Patrizia non ha ancora testimoniato davanti ai magistrati, non è ancora stata intervistata dal Corriere, ma un signore l’avvicina per strada e mostrandole un tesserino le dice: “Ministero dell’Interno. Hai mai conosciuto politici importanti negli ultimi tempi?”.

Da quel giorno si moltiplicano le strane visite (tutte denunciate in tempo reale) di energumeni che tentano di farsi aprire la porta di casa qualificandosi come appartenenti alle forze dell’ordine o addirittura presentandosi in divisa. Infine l’ormai celebre furto, avvenuto durante la campagna elettorale in cui la escort era stata candidata al comune dal centrodestra, nella lista La Puglia prima di tutto del ministro Raffaele Fitto.



Un colpo da professionisti. Spariscono computer, diari, vestiti (vengono rubati persino gli slip), ma viene lasciato un nuovo e costosissimo televisore al plasma. È a quel punto che la donna capisce di star rischiando la vita. E quando la security non l’ha fa entrare a una manifestazione elettorale alla quale partecipa anche il Cavaliere, lei, sempre più impaurita, prima si rivolge a un giornalista di Oggi e poi si trova un avvocato.



Quella di Patrizia è insomma un’allucinante escalation del terrore. Una storia da paura sulla quale oggi sta ancora indagando la magistratura, ma di cui dovrebbe occuparsi prima o poi anche il Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, giusto per fugare il sospetto che dietro alle violente pressioni sulla super-testimone ci siano ambienti istituzionali. Di materiale per mettere Berlusconi alle corde, del resto, la D’Addario ne aveva molto. Non per niente , pagina, dopo, pagina, vengono a galla tutte le bugie utilizzate dal Cavaliere in questi mesi per fronteggiare lo scandalo.

“Era una festa organizzata dai club Forza Silvio e Meno male che Silvio c’è” dice, per esempio, Berlusconi, a Bruno Vespa nel libro Donne di cuori, quando si tratta di parlare della prima cena a cui partecipò la escort barese assieme ad altre venti ragazze venti. Non è vero ribatte lei, ricordando una frase pronunciata da due sue colleghe bisex: “Silvio, qui non si batte chiodo, c’è crisi in giro e noi che lavoriamo in coppia la sentiamo di più”. Certo, ripensando all’ottimismo rispetto alla situazione economica del paese che Berlusconi in quei giorni (autunno 2008) continuava a professare, c’è quasi da sorridere. Solo che il set sul quale il premier si muove non è quello di un film con Alvaro Vitali, ma è l’interno di una residenza di Stato.

Per questo Gradisca Presidente è davvero un libro politico. Perché spinge a chiedersi, come ha fatto sua moglie Veronica, quale sia lo stato di salute mentale di un leader che mette a rischio la sicurezza sua e del Paese pur di essere di continuo circondato da belle ragazze a pagamento. Perché accende i riflettori sull’ipocrisia di un potere che emana leggi per vietare agli altri ciò che invece è permesso alle elite (dalle norme contro i consumatori di droghe anche leggere fino a quelle, poi ritirate, contro i clienti delle prostitute). Perché ci racconta come Berlusconi abbia fatto di tutto per rendersi ricattabile. E come, per uscire dall’impaccio, abbia poi manipolato l’informazione, a partire da quella televisiva, grazie ai giornalisti di corte. Gente che per la carriera ha venduto il cervello. Un organo che, a pensarci bene, dovrebbe valere molto di più rispetto alle pur straordinarie mercanzie offerte da Patrizia.



da Il Fatto Quotidiano del 22 novembre 2009



http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id;_blogdoc=2385427&title;=2385427
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ACQUA DI COLLEFERRO : UN SILENZIO ASSORDANTE

In questa lettera parlerò di fatti, incontrovertibili, su un argomento che ci dovrebbe vedere combattere tutti nella stessa direzione. L'ACQUA. L'acqua e l'inquinamento sono e dovrebbero sempre essere un ossimoro. Non a Colleferro.

L'acqua è un diritto di tutti.
Pur vivendo a Trondheim, dove l'acqua del rubinetto si può bere e dove la gente non sa cosa significhi comprare l'acqua al supermercato, mi trovo a scrivere di nuovo per la triste situazione venutasi a verificare nel comune di Colleferro, in provincia di Roma, mia città natale, dove tutt'ora vive la mia famiglia. Partiamo da una premessa doverosa.
Colleferro è proprio quella cittadina di cui molti hanno sentito parlare nei TG, quella cittadina dove furono sequestrati i termovalorizzatori, perché invece del CDR venivano bruciati rifiuti normali, copertoni e rifiuti tossici. Colleferro è quella cittadina dove nelle falde acquifere è presente il betaesaclorocicloesano, scarto di lavorazione del periodo in cui nel territorio veniva prodotto il lindano (insetticida), sostanza nociva scoperta dopo i controlli della Centrale del Latte di Roma nel 1999 e comunicata alla popolazione soltanto 8 anni più tardi. Quando ormai le persone erano state contaminate. A Colleferro c'è il cementificio dell'Italcementi (memorabile il film di Vittorio De Sica “Lo chiameremo Andrea” dove le scene riferite all'inquinamento della fabbrica furono girate proprio a Colleferro); a Colleferro c'è l'inquinamento pregresso della B.P.D., insediamento industriale intorno al quale nacque la cittadina stessa, che negli anni interrò tonnellate di fusti sotto il terreno creando due vere e proprie colline di rifiuti; Colleferro è stata commissariata tre anni orsono causa la percentuale di polveri sottili presenti nell'aria costantemente sopra il limite consentito; Colleferro è anche quella cittadina dove esplose la fabbrica della Simmel Difesa, che produceva esplosivi. Insomma stiamo parlando di un territorio già contrassegnato da malagestione e da problemi ambientali mai risolti, in cui i cittadini hanno contribuito in modo sostanziale a determinare lo stato attuale delle cose. Coloro che manifestarono contro i termovalorizzatori, ora nei termovalorizzatori vi lavorano, coloro che si fecero incatenare ora sono dirigenti del consorzio che li gestisce. A questo aggiungerei una beffa che in pochi conoscono; lo stesso sindaco che autorizzò la costruzione dei termovalorizzatori contro il parere dell'ASL RM/G, siede ora in Parlamento e chiede finanziamenti statali (che quindi pagano tutti) per la bonifica del territorio. Cornuti e mazziati insomma. Ometto volontariamente il settore malattie. Ce ne sarebbe da parlare per ore. Il Sindaco mandò a casa dei cittadini un opuscolo per dire che le malattie dal 2001 in poi non sono aumentate. Caro Sindaco nell'opuscolo bisognava anche metterci i dati prima della contaminazione e non soltanto quelli degli anni successivi. Colleferro è soltanto la seconda città più inquinata d'Italia, che sarà mai. Bisognerà impegnarsi per raggiungere il primo posto.
Ma dicevamo dell'acqua. Non ricordo a memoria di aver mai potuto bere l'acqua del rubinetto di Colleferro, perchè Colleferro non ha l'acqua potabile da un decennio almeno.
In data 8 Novembre una mia conoscente mi contatta su Skype dicendomi di alcuni manifesti affissi nella cittadina in cui il Sindaco in un comunicato stampa diceva di aver vietato l'USO dell'acqua (vietato persino lavarsi le mani) per alcuni giorni a scopo precauzionale, per un problema risolvibile in pochi giorni. Andai sul sito del Comune vedendo il sopracitato comunicato stampa che a tutto serviva tranne che ad informare. Decisi così di vedere cosa ci fosse dietro perchè non potendo utilizzare l'acqua ci doveva essere una valida spiegazione che trovai nell'ORDINANZA N. 351 DEL 30 OTTOBRE 2009 del comune di Colleferro http://www.comune.colleferro.rm.it/aggiornamenti/redazione/ordinanze/ord351-09.pdf in cui si parlava di contaminazione batterica!!! Data del primo controllo fuorinorma 26 ottobre!!! Dopo un paio di telefonate ai numeri giusti seppi che il danno era stato causato dalla rottura di una fogna e che l'acqua della fogna era penetrata nel pozzo 7 che è quello che fornisce acqua alla zona più grande di Colleferro, interessando una utenza di 20000 persone. Scrissi e pubblicai in data 9 Novembre, cioè dopo due settimane dai controlli fuorinorma, una nota su Facebook per informare quanta più gente possibile della gravità di una situazione di emergenza idrico-sanitaria, vista la mia impossibilità a farlo in modo pratico, vivendo a 4000 km da Colleferro. Il titolo fu : ACQUA DI COLLEFERRO : IL DELITTO PERFETTO (COME FAR CREDERE CHE TUTTO VA BENE IN CASO DI EMERGENZA). http://www.facebook.com/notes.php?id=602566574#/note.php?note_id=168831710668 La gente non era stata adeguatamente informata e per giorni aveva continuato ad usare l'acqua come aveva sempre fatto nonostante nell'acqua ci fosse finita quella che noi comunemente chiamiamo MERDA!!! L'acqua di Colleferro è ricca di coliformi, escherichia coli ed enterococchi, basta cercare su google per capire che si parla di batteri fecali!!! Non voglio neanche sapere se ci sia un rischio epidemia o se ci sia la possibilità di contrarre malattie infettive, quello che mi preme è rendere noto quello che il sindaco pidiellino di Colleferro Mario Cacciotti ha detto in data 10 Novembre, interpellato da due cittadini miei amici che andarono ad informarsi, dopo aver letto la mia nota su Facebook: “...mi è stato consigliato di non dire nulla sulla contaminazione, ma solo di far bollire l'acqua, per non allarmare i cittadini.”
La stessa cosa che consigliò la Commissione Grandi Rischi al sindaco dell'Aquila prima del terremoto del 6 Aprile.
Non credo servano commenti ad una situazione indecente come questa. Non credo serva neanche arrabbiarsi, quando membri del PDL di Colleferro commentano sotto la mia nota che il loro sindaco non ci poteva far nulla. Il Responsabile per l'Ambiente dei Giovani Democratici, peraltro mio amico, scrisse una nota da comizio politico il giorno seguente alla mia, con una sua bella foto in calce. A casa mia si chiama campagna elettorale. Un rappresentante di una associazione, che ha il dono della preveggenza ha dichiarato sul Tempo che lui aveva previsto tutto da due anni. Ma i giornali li ha chiamati 20 giorni dopo. Sono anni che prevede quello che succederà sempre dopo che è successo. Durante una manifestazione ha rischiato il linciaggio. Questo ai giornali non lo dice. A casa mia si chiama pubblicità. E a casa mia una persona così o porta sfiga o è un incapace. Il bello è che tutto viene fatto a spese della salute dei cittadini. Intanto quel “PROBLEMA RISOLVIBILE IN POCHI GIORNI", come da comunicato stampa comunale, dopo la bellezza di 24 giorni è ancora presente. La gente compra l'acqua al supermercato per lavarsi, per cucinare, per bere. Nonostante ora oltre alle merda dal rubinetto esca acqua con più cloro di quella di una piscina. L'Italcogim, ente gestore dell'acqua, avrà sicuramente anche il coraggio di far pagare l'acqua alla merda... già è tanto che l'acqua condita non te la fanno pagare di più. In un paese normale si sarebbe detto alla gente che era interdetto l'uso dell'acqua. Invece di attaccare 10 manifesti, avrebbero dovuto mandare lettere (come in campagna elettorale) o girare per Colleferro con macchina e altoparlante (come in campagna elettorale). In un paese normale la gente doveva scendere in piazza, prendere il Sindaco di peso e fargli bere l'acqua inquinata, visto che lui a Colleferro neanche ci vive; se qualcuno deve prendere una malattia è giusto che la prenda anche lui. In un paese normale non era compito dei cittadini chiamare il Comune per elemosinare acqua, ma doveva essere l'ente gestore a portare acqua potabile a tutti i cittadini. Non si è fatto. Evidentemente la salute è meno importante dei voti. Come sempre.

P.S. Credo che alla luce di quanto successo sia doveroso oltrechè necessario da parte di Sindaco e dirigenti comunali predisporre accertamenti sanitari GRATUITI per tutti coloro che hanno subito questa situazione e questa mala-informazione. Dal comunicato-farsa del 30 ottobre, non ne sono seguiti altri. Sul sito del Comune i comunicati stampa parlano di inaugurazioni per 30 alberi piantati, dopo che ne hanno sradicati migliaia. Sul sito del Comune si parla di bilancio 2009. Hanno risolto il problema dell'acqua. NON PARLANDONE.

Francesco Recchia, cittadino colleferrino in esilio
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Il mondo degli uomini senza qualità

- di EUGENIO SCALFARI -

IL PIU' bello, il più intenso, pieno di significati che vanno al di là dell'epoca in cui fu scritto è il dialogo di Diderot che si intitola "Le Neveu de Rameau". Il protagonista è un tipo umano che l'autore delinea in tutte le sue sfumature facendolo parlare di sé per 150 pagine. Non è neppure un dialogo perché l'interlocutore che formula le domande e che è lo stesso Diderot si limita a sollecitare le risposte. Il protagonista non si fa pregare, è perfettamente consapevole di sé, del suo modo di vivere, dei suoi vizi, della sua intelligenza, della sua disumanità. Anzi: della sua amoralità. Non è immorale ma appunto amorale. Ha perso ogni cognizione della morale, ha cancellato il bene ed il male dal suo orizzonte mentale. I suoi vizi li usa quando sono utili al proprio interesse, altrimenti li tiene a guinzaglio, li reprime. Si maschera. Si presenta al mondo che lo circonda così come il mondo lo vuole. La dominante del suo carattere è l'utile, l'utile per sé.

Questo tipo umano, l'ho già detto, va molto al di là dell'epoca sua. Infatti è stato più volte raffigurato, con qualche differenza rispetto al prototipo che deriva dalle diversità di scrittura degli autori che sono rimasti affascinati da quel tipo umano che ha fatto della disumanità la sua divisa.

Dostoevskij fece qualche cosa di simile scrivendo "Memorie del sottosuolo", dove il personaggio appare ancor più simile al prototipo, ma con un tratto di malvagità in più rispetto all'originale.

Infine se ne occupò anche Rilke nei suoi "Quaderni di Malte Laurids Brigge", dove racconta che l'uomo dispone di molti visi. Esiste da qualche parte un deposito di visi. Quando una persona ha consunto il suo viso e desidera indossarne uno nuovo e diverso, va in quel deposito e ne trova uno che meglio si adatti ai suoi desideri e ai suoi bisogni. Alcuni ne cambiano molti nel corso della loro vita; altri ne consumano meno. Altri ancora, ma sono pochi, restano fino alla morte col proprio viso. Non è detto che siano i più fortunati.
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Nessuno degli autori di questo genere di letteratura ha però raggiunto l'eleganza letteraria e la profondità filosofica di Diderot e la ragione credo sia questa: Diderot sapeva che la morale non è scolpita una volta per tutte ma è un prodotto dell'epoca e quindi relativa. Sapeva anche che l'uomo ha scoperto il bene e il male nel momento stesso in cui ha perso l'innocenza in cui vivono tutti gli altri esseri viventi.

Il "Nipote di Rameau", così l'uomo del sottosuolo, si disumanizzano e in questo modo riacquistano l'innocenza nel senso che perdono la cognizione del bene e del male. Non resta loro che l'istinto della sopravvivenza ed è questo soltanto che guida i loro comportamenti.

Diderot aveva chiarissimi questi elementi conoscitivi ed è questa la ragione per cui il suo dialogo è un pezzo letterario di ineguagliabile potenza espressiva.

* * *

I miei lettori si domanderanno perché ho citato ancora una volta il "Neveu de Rameau" (m'è accaduto di farlo in altre occasioni) e quale pertinenza esso abbia con l'attualità della quale dovrei occuparmi.

A parte il fatto che la nostra attualità è da qualche tempo trita e ritrita e non presenta eccezionali novità, sta di fatto che il tipo umano (disumano) delineato da Diderot sta diventando al giorno d'oggi sempre più numeroso. È un settore della società in crescita esponenziale. Nella classe dirigente, ma anche nei ceti sottostanti. Del resto l'uomo del sottosuolo non fa parte della classe dirigente se non in funzione servile.
Servile, ma essenziale: ne riecheggia i desideri, ne soddisfa i bisogni, si incarica di condurre a termine le operazioni abiette, è la controfigura dei potenti quando si tratti di questioni troppo delicate e rischiose. Funge anche da buffone di corte; per divertire il suo signore e ricordargli qualche spiacevole verità. Rigoletto è un altro tipico uomo del sottosuolo che però, se offeso nel profondo, riscopre la sua dignità e sa anche vendicarsi. Perciò servirsi senza il senso della misura di personaggi di tal fatta comporta anche qualche pericolo.

Bisognerebbe chiedersi la ragione per cui la popolazione di quel tipo umano (disumano) sia tanto in crescita. La risposta è già stata data molte volte: insicurezza, paura del futuro, ripiegamento sul presente, percezione rachitica della felicità scandita sull'attimo d'un presente fuggitivo senza proiezioni verso l'avvenire, indifferenza diffusa verso la sorte degli altri, gelosia verso le fortune altrui, sopravvalutazione dei meriti propri. Furbizia nell'elusione delle regole. Cortigianeria. Crollo (apparente) delle ideologie in favore d'un pragmatismo diventato a sua volta ideologico.

Vi basta? Molti di questi elementi psicologici fanno parte da gran tempo dei connotati italici. Ma in certi segmenti della nostra storia diventano dominanti e questo è uno di quei momenti. Ecco perché quel tipo umano (disumano) è diventato moltitudine. Con qualche picco rappresentativo.

* * *

Voi pensate a Silvio Berlusconi, ma vi sbagliate di grosso. Berlusconi non è un uomo del sottosuolo, al contrario. Ha un senso pronunciatissimo della propria personalità. Non è affatto appiattito sulla felicità presente, anzi ha costruito un impero e una delle sue maggiori preoccupazioni è quella di conservarlo, accrescerlo e capire a chi dovrà lasciarne il controllo dopo di lui.

È vero che ama travestirsi per ottenere il pubblico favore, ma questo è proprio di tutti quelli che fanno politica, anche i migliori. Figuriamoci lui.

Non so neppure se abbia letto il "Nipote di Rameau" ma una cosa è certa: Berlusconi ha fatto e fa di tutto per far crescere quella genia, l'ha chiamata in servizio, la usa, la riempie di benefici, se ne serve come d'una massa gelatinosa che lo ripara dagli urti esterni, arrotonda gli angoli, devia i colpi e soprattutto fa mostra di credere sempre e dovunque al verbo che emana dalle sue labbra.

Non sto parlando di chi crede veramente in lui. Ce ne sono, avendo bisogno d'una fede profana l'hanno trovata e se la tengono stretta. Ma sto parlando della sua truppa, della coorte palatina che lo circonda, lo protegge, esegue i suoi ordini e anticipa i suoi desideri. In quella coorte non c'è nessuno che crede alle sue parole, ai suoi disegni, alle sue strategie. Sanno che è il più bravo dei comunicatori. Sanno che la loro felicità dipende da lui. Sanno che lui funziona a meraviglia in situazioni di emergenza. Perciò fanno in modo che l'emergenza ci sia e duri il più possibile. Quando non ci sarà più, saranno tempi duri per lui ma soprattutto per loro.

Vi pare che in un paese normale uno come Schifani diventerebbe presidente del Senato, seconda carica dello Stato? Uno come Gasparri ministro prima e capogruppo dei senatori poi? Uno come Bondi ministro e coordinatore del partito? Con le poesie che scrive? Uno come Minzolini direttore del Tg1? Uno come Tarantini, amico di casa? E uno come Cosentino membro del governo?

Di gente così ce n'è in tutti i partiti ed anche nel mondo degli affari, ma una concentrazione di talenti analoghi a quelli descritti da Diderot c'è soltanto
attorno al Cavaliere.

Quelli del suo giro che non hanno analoga caratura non vanno bene per lui. Fini non va bene. Casini non va bene. Tremonti non va bene. Scajola così così. Ma il suo ideale è Belpietro, un alano da riporto. Non so se ne esistono in natura, ma lui lo è ed è prezioso.

* * *

Qualche giorno fa Pierluigi Battista ha scritto un succoso pezzo sul Corriere della Sera dove si domandava: quando Berlusconi non ci sarà più (politicamente s'intende) che faranno tutti quei giornalisti e uomini politici abituati a vivere parlando male di lui a getto continuo? Per loro saranno guai. Riciclarsi non sarà facile. Dovranno adattarsi ad una difficile vecchiaia quando l'indignazione moralistica non avrà più corso.

La tesi di Battista non è peregrina. Qualche rischio c'è, ma è minore di quanto egli pensi. Non so per i politici, ma per i giornalisti. Li conosco meglio e so che molti di loro erano bravi assai prima dell'era berlusconiana. Vorrei però porre anch'io una domanda a Battista: che faranno, quando Berlusconi scomparirà, quei giornalisti e politici che si sono specializzati nell'agitare flabelli al suo passaggio, a inventare false notizie, a deformare quelle vere e soprattutto ad omettere, omettere e ancora una volta omettere? Che faranno i revisionisti di mestiere, gli specializzati a sostenere che il problema è un altro, che le questioni serie sono altre e chi parla male di lui peste lo colga?

E i terzisti, caro Battista? I terzisti avranno ancora qualcosa da scrivere? Vorrei esser tranquillizzato su questo punto. Comunque un posto a tavola non si nega a nessuno che abbia una buona scrittura; c'è sempre la rubrica di "Come eravamo" che può essere un dignitosissimo "pied-à-terre" per i terzisti in disarmo.


http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/politica/scalfari-editoriali/22novembre/22novembre.html
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Ma i beni pubblici di chi sono?

- di Luigi De Magistris -

Il Governo privatizza l’acqua. Non è un bene di tutti, non è una risorsa primaria. Quando si rubano acqua ed aria si ha il furto di Stato ed il messaggio è chiaro: la sete la debbono governare le multinazionali. Coloro i quali hanno il governo dell’economia decidano sulla vita e la morte delle persone. Ancora una volta il Governo approva una legge in violazione della normativa europea, come avevo già evidenziato con il deposito di un’interrogazione alla Commissione.
Per la politica degli affari l’acqua è un business ed anche molto redditizio. Numerose inchieste giudiziarie, svolte anche in epoca recente, hanno evidenziato gli interessi criminali che ruotano nella gestione dell’acqua. Operano spesso le solite società miste pubblico-private – del tipo di quelle che nel settore dei rifiuti hanno coinvolto per fatti di mafia il Sottosegretario PDL Cosentino - divenute perfetta sintesi tra la lottizzazione partitocratica e la borghesia delle professioni dominanti, con presenza, talvolta, di personaggi contigui alle mafie e magari, per offrire una forma di apparente legalità, inserendo nella compagine sociale magistrati in pensione oppure, per scongiurare controlli di legalità, parenti e affini in un incrocio tracotante tra controllori e controllati in un conflitto d’interessi permanente. Il costo dell’inserimento della borghesia mafiosa nella gestione dell’acqua viene pagata dai soliti noti: gli utenti, il popolo. Che pagano ancora di più per avere quello che dovrebbe essere gratuito. Il controllo della gestione dell’acqua significa appalti e sub-appalti per miliardi di euro, nella potabilizzazione e depurazione delle acque, nella realizzazione delle reti idriche, nelle convenzioni con le multinazionali predatorie. E volano le mazzette di Stato, stile scudo fiscale.
Le multinazionali non investono denari per realizzare reti idriche in Africa in maniera tale da scongiurare il dramma dell’assenza di acqua che costringe alla fuga migliaia di migranti, ma colludono con i governi dell’opulenza senza regole per eliminare l’acqua quale bene pubblico. Avere il controllo dell’acqua vuol dire anche condizionare la vita di milioni di esseri umani. L’acqua è come l’aria dicevano gli antichi. Beni primari. Tutto, ormai, vogliono toglierci: l’acqua, la salute, la natura. La violenza di questa politica affaristica non sembra avere uguali nell’era della democrazia: è la forma più deteriore della plutocrazia dei mercanti che governa, in una corsa verso la distruzione del globo, il destino degli uomini. Dimostriamo che esiste ancora chi sogna un mondo diverso in cui l’amore per il prossimo sia la bussola dell’agire politico e la natura una risorsa di tutti e per tutti. Questo Governo sta realizzando il suo percorso autoritario e predatorio dei servizi e beni pubblici in spregio ai diritti ed utilizzando le norme in modo illegittimo. Distrugge le Costituzioni ed il diritto naturale con la legge. Nulla di più devastante anche sul piano morale.


http://unita.it/news/commenti/91621/ma_i_beni_pubblici_di_chi_sono
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Ronda condominiale.

- di Rita Pani -

Ancora Milano, ancora razzismo, patetico ma cinicamente divertente, come riesce ad essere spesso la propaganda di questo governo imbecille. Non si era ancora spenta l’eco dell’operazione “Bianco Natale” che ora arrivano “Le ronde del vicinato”. La nuova operazione “sicurezza” invita i cittadini a tenere sotto controllo il territorio antistante la finestra di ciascuno, il proprio cortile, il proprio pianerottolo. Si consiglia al cittadino di affacciarsi quando un cane abbaia, segnalare le targhe delle auto sospette, non restare chiusi in casa quando suona un allarme. Quel che invece non è scritto, ma sott’inteso nel volantino di propaganda razziale, è che d’ora in poi si potrà attuare la delazione essendo premiati anziché puniti.

Avete un vicino indiano che d’estate vi riempia casa con l’olezzo di una cucina troppo speziata? Quello sotto casa vostra è arabo e tiene il volume della televisione troppo alto, quando canta il muezzin? Peggio, alla porta accanto alla vostra abita un rumeno? Chiamate con fiducia il nucleo cacciatori clandestini e inventatevi un problema, uno qualunque, e lo risolverete.

Avete presente l’Italia? È quel paese in cui quando muore ammazzata la signora del tredicesimo piano, di un condominio qualunque, i vicini intervistati di solito rispondono che no, non la conoscevano, che magari in dieci anni l’avranno incontrata sì e no due volte in ascensore, la signora che ora giace in una pozza di sangue, al massimo ti risponderanno con una domanda: “La signora che pisciava il cane tutte le sere alle sette?” L’Italia è quel paese in cui, quando tuo marito ti massacra di botte, ti chiedi perché proprio in quel momento la pettegola del terzo piano, che vive ogni momento della sua giornata alla finestra, proprio in quel mentre stia chiudendo tutte le imposte. L’Italia è il paese del senso civico al contrario; dell’omertà radicata da Palermo a Bolzano, dove vige la regola che per vivere a lungo sia necessario farsi i cazzi propri.

Milano però dice basta: "Questa è una zona sotto il controllo del vicinato" o "Attento, in questo quartiere c’è chi ti osserva ed è pronto a chiamare la polizia".

La Polizia è quell’ente che pare tornare attivo solo quando si tratta di pestare gli operai col manganello, perché per il resto è abbandonato dallo stato che a furia di tagliare bilanci, non consente nemmeno più il normale controllo del territorio. La Polizia è quella che per indagare deve lavorare gratis, o pagare le spese di tasca propria. La Polizia è ridotta così male che i poliziotti devono usare i “personal computer”, nel senso che i computer sono davvero personali. Me li figuro contenti come agnellini pasquali, ora che dovranno rispondere alle telefonate del cittadino che ha appena visto una macchina sospetta posteggiarsi sotto casa sua, o ha sentito il figlio della signora di sopra che rientra sbronzo alle quattro del mattino cantando il ritornello della canzone di Caparezza “Vieni a ballare in Puglia”, che anche Puglia a Milano, sembra sospetta.

Quindi l’ennesima trovata geniale dell’intellighenzia politica milanese potrebbe sembrare una minchiata. Invece no. Milano non è solo la città dell’infiltrazione razzista, è da sempre la città degli affari, e infatti la delazione sarà gratis solo per i cittadini che dimostreranno un riacquistato e snaturato senso civico. Per la politica anche questa è una questione d’affari, visto che in cambio, le amministrazioni che aderiranno al progetto, otterranno dal Pirellone un punteggio maggiore nell’assegnazione delle risorse sulla sicurezza. Che tra il 2003 e il 2008 sono state pari a ben 90 milioni di euro.

(Onde evitare … FORTUNATAMENTE molti cittadini di Milano pensano, come me, che questa sia l’ennesima minchiata.)

Rita Pani (APOLIDE)


http://guevina.blog.espresso.repubblica.it/resistenza/2009/11/ronda-condominiale.html
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COPENAGHEN NON INVERTIRA' IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Guarda il video: Una terra da salvare

Jubenal Quispe

Da decenni, scienziati “pazzi” e attivisti “apocalittici” annunciano quello che sarebbe successo se non si surclassava il modello di vita della “civiltà” occidentale. Ma l’avarizia di alcuni pochi ha potuto di più della sensibilità per il destino del pianeta. Il desiderio di guadagno in un certo senso ha avuto la meglio sulla sussistenza della vita.

Un bambino scalzo e piagnucolante contempla impotente la sua squallida mucca moribonda per terra, il cui sguardo, fisso verso la sorgente (quasi senza acqua) alla quale non è potuta arrivare. Migliaia di chilometri sul livello del mare, un uomo dal viso segnato dal sole e dall’aria e dita quasi senza unghie, ammira il tramonto ardente, e con il suo sguardo afflitto ci dice: bisognerà fuggire da qualche parte, perché la pioggia non ritornerà.

Queste non sono due immagini dell’ Africa Sahariana. Sono sgarranti realtà che stanno accadendo in Bolivia, quinta potenza mondiale di riserve di acqua dolce registrate. Mentre succede questo, scienziati altamente qualificati dell' ONU, sul cambio climatico, ci annunciano i primi frutti delle loro ricerche in Bolivia: meteo irregolare, ritiro forzato dei ghiacciai, siccità, desertificazione, foreste, ecc. Questo lo sappiamo da tempo a causa dalla nostra esperienza quotidiana.

Allo stesso tempo, i leader del mondo si “preparano” per la 15° Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che si terrà a Copenaghen dal 17 al 18 dicembre di quest'anno. In questo iper-evento pubblicizzato cercheranno di negoziare quanta spazzatura (gas contaminanti) in più buttare nell’atmosfera, i criminali del pianeta.

Inoltre, ai paesi poveri e meno criminali diranno per quanti dollari puliranno i loro boschi dalla spazzatura che altri emettono. Copenaghen non toccherà le cause dell’inferno globale, embrione della modernità. Nè tanto meno renderà giustizia alle vittime che oggi guardiamo verso tutti gli orizzonti per fuggire dalla pazzia climatica.
Da decenni, scienziati “pazzi” e attivisti “apocalittici” annunciano quello che sarebbe successo se non si superava il modello di vita della “civiltà” occidentale. Ma l’avarizia di alcuni ha potuto più della sensibilità sul destino del pianeta.

Il desiderio di guadagno in un certo senso ha avuto la meglio sulla sussistenza della vita. E qui siamo: intrappolati in un circolo vizioso di ripercussione immediata. Siamo pericolosamente ignoranti della nostra stessa ignoranza e poche volte riusciamo ad avere una visione globale delle cose. Abbiamo e stiamo abusando della Madre Terra (gli andini la chiamiamo Pachamama), che comincia a ribellarsi e minaccia alzando la sua temperatura ai livelli che ha avuto cinquant’anni fa.

La Terra, come un superorganismo vivo, controlla la sua temperatura come qualsiasi essere vivente in funzione del suo benessere, e lo fa da quando è cominciata la vita, più di tre mila milioni di anni fa. Ma, infelicemente gli esseri umani, vittime dell’inganno delle filosofie umaniste, si sono autoproclamati signori della Terra e l' hanno ferita a morte.
Quello che è più insolito è che sapendo che il clima impazzisce, che la Pachamama è ferita a morte e che comincia la vendetta della Terra, persistiamo con i “panni d’acqua fredda” come grande soluzione alla sconfitta verso la quale ci incamminiamo.

Abbiamo assunto come panacea l’invenzione interessata delle società soddisfatte e energivore dello “Sviluppo Sostenibile” (crescita economica, benessere sociale e tutela ambientale, senza colpire le generazioni a venire) quando sta dimostrando l’insostenibilità del sistema – mondo- capitalista del progresso.
Avere fiducia nello sviluppo sostenibile è come sperare che un malato di tumore ai polmoni si curi semplicemente fumando di meno. O come i marinai che bruciano la legna delle loro navi per proteggersi dal freddo. Se non ci prendiamo cura della Madre Terra, lei si prenderà cura di se stessa facendo in modo che noi non saremo più i benvenuti.

Ci siamo avvicinati a uno di quei punti di svolta, ed il nostro destino è simile a quello dei passeggeri di un piccolo yacht che navigano tranquillamente accanto alle Cascate del Niagara senza rendersi conto che il motore è sul punto di rompersi. Di fronte a questa situazione è nostra responsabilità denunciare che gli accordi di Copenaghen (come saranno) non saranno altro che vandalismo organizzato in nome di una ideologia suicida e ecocida. E per giustizia dobbiamo esigere ai principali criminali del pianeta il pagamento del debito ecologico.

Solo così il bambino contadino del Chaco Boliviano, adesso quasi senza bestiame, e l’agricoltore andino, senza piogge e senza orizzonti, potranno sopravvivere un po’ di più. Ma perché Madre Terra riacquisti il controllo della sua temperatura, è urgente superare non solo il modello del capitalismo selvaggio e dello sviluppo sostenibile (ambi fondati sul mito del progresso infinito), ma pensare anche all’ energia nucleare(*), la vita rurale ed il consumo rispettoso come alternative inevitabili.
A questo punto penso che noi siamo i tossicodipendenti che moriranno, se continuiamo con la nostra droga (mito del progresso), ma moriremo comunque se la lasciamo di colpo. Quello che resta è la ritirata sostenibile, come dice J. Lovelock.

Fonte: http://www.ecoportal.net/content/view/full/89671

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa
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