sabato 15 agosto 2009

I fan scrivono: "ITALIA: Il Governo DEL FARAONE e la DEMOCRAZIA che non c’é"

di Raffaele Langone

C’è nella cultura diffusa del nostro Paese un colossale equivoco, frutto, peraltro, di una propaganda mistificatoria perseguita con costanza dai tanti che vi hanno interesse, per il quale si crede che la democrazia sia solo un luogo nel quale i cittadini scelgono mediante elezioni chi li governa. Da noi la democrazia non è essenzialmente un “metodo di scelta del governante”, ma prevalentemente un “metodo di esercizio del potere” e un “sistema di relazioni fra i consociati”.
La democrazia, è quindi e fondamentalmente, un metodo di esercizio del potere.
L’elenco delle caratteristiche che deve avere un metodo di esercizio del potere per potersi definire democratico è lungo, ma, per brevità, mi limiterò al principio della separazione dei poteri figlio della rivoluzione francese.
Riducendolo all’osso, l’idea è che un gruppo di persone fa le leggi (il potere legislativo), altri le applicano (l’esecutivo, il governo), altri ancora (i giudici) controllano che la legge venga rispettata da tutti.
Riducendo ancora di più, l’idea è che tutti sono soggetti alla legge e che “la legge è uguale per tutti”.
Ai tempi dei faraoni, la legge era solo la manifestazione della volontà del faraone.
La legge era uno “strumento” del potere.
Nella logica della democrazia post rivoluzionaria, invece, la legge è il valore, il potere uno strumento della legge.
Il Parlamento dovrebbe avere per così dire una “antecendenza logica” sul Governo.
Non a caso si parlava di “Parlamento sovrano”.
Il Parlamento dovrebbe decidere cos’è “giusto” e il Governo vi dovrebbe dare attuazione.
Mi sembra che non ci possano essere dubbi sul fatto che oggi in Italia siamo tornati alla situazione che ho indicato come quella dei tempi del faraone.
Il potere non si chiede affatto “cosa è giusto e legale che io faccia”, ma “che leggi debbo fare al più presto per potere fare ciò che voglio fare”.
Dunque, non è lo Stato al servizio della legge, ma la legge al servizio dello Stato.
Oggi il Governo decide quello che vuole e il Parlamento fa una legge che glielo consente.
Una controrivoluzione, che ha sovvertito l’ordine dei valori.
Dal dominio della legge, con il potere che gli obbedisce e gli è sottomesso, al dominio della volontà, del potere, con la legge come strumento.
Insomma, la logica del faraone, con la sola differenza che anziché il potere essere concentrato nelle mani di uno, come allora, è oggi nelle mani di un gruppo di persone. La democrazia, come abbiamo detto sopra, è anche un “sistema di relazioni fra i consociati”.
C’è democrazia in un posto nel quale i cittadini si ritengono titolari di uguali diritti e, soprattutto, sono disposti a riconoscersi reciprocamente questi diritti.
In un paese “democratico” i cittadini rivendicano i loro diritti, ma non si sognano di procurarsi privilegi. E il nostro, sotto questo profilo, è l’esatto contrario di un paese democratico.
Troppi italiani non cercano, non chiedono e non si battono per ottenere il rispetto delle regole e dei diritti di tutti, ma, al contrario, cercano di perseguire il proprio interesse personale “a qualunque costo”. Se si considera quanti italiani non pagano le tasse, quanti realizzano costruzioni abusive, quanti si fanno raccomandare (con ciò ledendo i diritti di chi viene “scavalcato”), quanti non rispettano le regole più diverse, gli obblighi contrattuali, i doveri più vari, quanti frodano le assicurazioni, ci si rende conto di come sia possibile che un’intera classe dirigente non si vergogni dei suoi misfatti.
Il “popolo italiano” non vuole da chi ha potere giustizia, correttezza, rispetto delle regole, ma favori, “risultati”, “vantaggi”. Così stando le cose, ciò che ci sta accadendo non è di essere una società di persone perbene governate male, ma di essere un popolo di “furbi”, di approfittatori, di egoisti, di cinici, di disillusi che esprime, com’è inevitabile che sia, una classe dirigente uguale a se stesso.
Dunque, non si tratta solo di fare una qualche legge che regoli come scegliere chi ci deve governare, ma di lavorare perché la società migliori se stessa, così che anche la sua classe dirigente sia conseguentemente migliore. Così come non verrebbero candidati in Parlamento dei pregiudicati, se non ci fossero milioni di persone che li votano.
La nostra crisi è dunque una crisi grave e profonda. Non è una crisi contingente. Di una sola cosa c’è bisogno e una sola cosa ci potrebbe salvare: un serio recupero di una cultura del rispetto degli altri e delle regole.
Abbiamo il dovere di tentare di cominciare a cambiare il nostro Paese cambiando noi stessi, difendendo, a casa nostra, nel nostro posto di lavoro, fra i nostri amici, l’idea stessa di una vita civile e democratica.
Non si sa se riusciremo ma almeno non saremo stati complici di una epoca buia di degrado e inciviltà.
Quella odierna è l’epoca del “calcolo”: tutti, prima di impegnarsi, vogliono sapere se il loro impegno sarà coronato da successo.
Nessuno è disposto a un impegno che sia un valore in sé.
Non so se ce la faremo o no a cambiare il corso preso dalla nostra storia, ma l’unica possibilità di farcela è decidere che vale la pena di impegnarvicisi senza porre condizioni e di farlo non chiedendoci cosa i “politici”, i “magistrati”, “gli altri” possono fare per noi, ma cosa noi stessi possiamo fare per noi e per il piccolo ambito nel quale ciascuno vive e opera.
Il 30 gennaio scorso è stato il 62° anniversario della morte di Mohandas Karamchand Gandhi. Diceva Gandhi: “Siate voi il cambiamento che volete vedere nel mondo”.
Come potremmo attendere da altri ciò che non siamo disposti a dare noi?
FONTE

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