lunedì 24 agosto 2009

"ItalianSS"

Una delle cose che mia ha fatto più vergognare e che di conseguenza mi sta tolto in questi giorni la voglia di scrivere è l' Italia. L'Italia e la sua lotta all'immigrazione. Certo, il problema è serissimo, ma le soluzioni che si stanno attuando sono veramente di un livello che va al disotto di ogni dignità umana. Corpi in mare, barche respinte, persone ignorate e un continuo scaricabarile all' Europa o agli altri stati limitrofi. Persone che vedevano passare navi, fino a dieci addirittura, ma che nessuna di esse si fermava a soccorrerli. Gente che invece è riuscita a salvarsi ma che ora rischia l'incriminazione per la vergognosa legge sulla permanenza e sull'immigrazione clandestina, con i procuratori che si dichiarano costretti ad applicare questo “crimine”.

Intano sono morte altre 73 persone, ma a nessuno è fregato niente. Il Governo fa il gioco che più gli porta voti, avendolo chiaramente imparato dalla Lega Nord. É il clandestino il nemico del popolo. Il popolo lo ha oramai imparato, grazie anche alla continua campagna mediatica. Straniero che stupra , prima pagina o prima notizia del TG. Italiano al suo posto? Trafiletto sul quotidiano e neanche un secondo in TV. L'esempio mediatico nel periodo dello stupro della Caffarella ne è uno dei più lampanti.

La Chiesa intanto accusa una cecità delle istituzioni e del popolo simile a quella avvenuta durante la Shoah. Un'affermazione durissima, che trova vergognosa risposta nel capo del Carroccio, Umberto Bossi, sempre pronto a dimostrare la sua ignoranza. Il figlio del Senatur , provando cosi anche la veridicità del suo DNA, è risuscito a beccarsi una denuncia per istigazione all'odio razziale. Con la consueta ironia di famiglia, ha creato su Facebook un gioco degno dei migliori lager nazisti. “Rimbalza il clandestino”, cioè fare punti nell'affondare le barche degli immigrati.

Il Pd, partito di opposizione , partito di sinistra, parla di indignazione, di vergogna, ma non fa niente. Cosa serve per mobilitarvi? I morti innocenti non bastano. Per chi non lo avesse capito, al Partito democratico va benissimo la politica di immigrazione del governo. Le loro parole senza fatti a seguire, dimostrano la validità del mio pensiero.

Poi si leggono i giornali esteri, dove la Lega viene definita per quello che è: “Xenofoba”, l'Italia per quello che fa: “ Razzista”. Ma loro sono invidiosi, ecco perché parlano male di noi... Lo credete veramente? Non è l'invidia che li spinge, , come molti cercano di far passare, ma la serietà, l'umanità. Nessuno ci invidia. Tutti ci biasimano. Ci credono un popolo di corrotti, di svergognati, di immorali, di razzisti.

L'italiano della “pizza , mafia e mandolino “ sembra oramai un bel ricorso, perchè oggigiorno siamo riusciti a fare ancora di meglio.

Risvegliarti Italia!

Riporto la testimonianza di “collega” ganese . Apriamo gli occhi!
Cuoco e prigioniero dei trafficanti libici:"Così nascondono e fanno partire i migranti”


Dormiva a terra avvolto in un lenzuolo. Si svegliava all'alba e iniziava a cucinare, ogni giorno chili e chili di pasta. Non sapeva a chi fosse destinato quel cibo. Non poteva chiederlo agli uomini che passavano a ritirarlo perché non era permesso rivolgergli parola. Glielo avevano detto subito: non doveva fare domande, solo lavorare in silenzio senza lamentarsi e senza alzare gli occhi.

Alhassan Iddrisu, ghanese di 24 anni, per due mesi è stato rinchiuso in una fattoria a mezz'ora di strada da Tripoli, in balia dei trafficanti di persone, cuoco per i migranti in attesa d'imbarcarsi per l'Italia. Ha visto le case dove i clandestini vengono ammassati in attesa della partenza, ha aspettato in spiaggia sotto il controllo di uomini armati di bastoni. E' salito su un gommone ed è arrivato in Italia ignorando che fosse quella la destinazione del viaggio.

Non sapeva nulla del diritto all'asilo politico, non immaginava di poterlo chiedere, lavorava gratuitamente non per pagarsi un passaggio per l'Europa, ma solo per lasciarsi alle spalle la sua città. Doveva mettere quanti più chilometri possibili tra se e Yendi, il villaggio al confine con il Togo in cui era cresciuto. Se fosse rimasto avrebbe fatto la fine degli altri maschi della sua famiglia, ammazzato per strada.

"Mio padre partecipò agli scontri tra i gruppi Andani e Aboudow, perse la vita in seguito alla sommossa che nel 2002 depose e uccise il re Yaan-Naa Yakubu Andani II. Allora io avevo solo 17 anni. Mio fratello maggiore fu accusato di avere partecipato ai disordini e incarcerato, lo rilasciarono perché innocente ma nell'aprile del 2008 fu ucciso per strada da alcuni uomini della fazione Andani. Mia madre mi ordinò allora di scappare e due giorni dopo lasciai il villaggio con i soli vestiti che indossavo". Non aveva soldi e neppure documenti, non poteva andare a chiederli alle autorità, aveva troppa paura e poco tempo. "Mi ha aiutato l'autista della ditta per cui trasportavo sacchi. Mi ha fatto superare il confine e mi ha affidato a un uomo a cui credo abbia dato dei soldi. Non so se sia stata mia madre a pagare, da allora non ho più sue notizie, si è allontanata dal villaggio senza lasciare recapiti".

Alhassan ha oltrepassato diversi Paesi nascosto in un camion, ha attraversato il confine con la Libia a piedi e ha raggiunto Tripoli. Non sapeva dove nascondersi e come sopravvivere, era un clandestino senza denaro, senza un progetto, senza una via di fuga. Fino a quando non ha incontrato per caso alcuni trafficanti di uomini. "Hanno detto che mi avrebbero aiutato, dovevo lavorare e non fare mai domande. Mi hanno portato in una fattoria a mezz'ora di strada da Tripoli". Qui ha vissuto per due mesi insieme ad altri due uomini provenienti dall'Africa subsahariana, cucinando chili e chili di pasta ogni giorno. "Un giorno sono venuti a prendermi e mi hanno portato in un'altra fattoria dove c'erano una ottantina di persone, tutte di colore. Ho capito che era per loro e per persone come loro che avevo cucinato. A mezzanotte ci hanno caricato su un camion e portati su una spiaggia. Eravamo sorvegliati da quattro uomini con i bastoni in mano e alla vita cinture di proiettili". All'alba hanno consegnato a lui e ad altre 26 persone un gommone e una bussola. "Quando eravamo in alto mare ho chiesto dove stavamo andando. Ho saputo così dell'Italia. Eravamo senza cibo e acqua, ma abbiamo avuto fortuna: dopo quattro giorni una nave militare italiana ci ha raggiunti e portati a Lampedusa".

E' passato un anno, era agosto 2008. Adesso Alhassan sa in che mani era finito. Ha seguito in televisione l'ultima tragedia del mare e sa che le 75 vittime erano potenziali richiedenti asilo. Come lui che oggi si appella alla giustizia italiana. "La commissione gli ha rifiutato l'asilo politico - spiega Angela Tiraferri, referente del progetto di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati presso la Provincia di Rimini - perché con se non aveva documenti né prove in grado di dimostrare la persecuzione personale. Ha fatto opposizione al diniego e tramite un sacerdote di Yendi stiamo cercando di recuperare in Ghana i suoi documenti. Il certificato di nascita è già arrivato, su un sito Internet abbiamo trovato articoli che raccontano degli odi tribali nella regione chiamata Dagbon, dove si trova il suo villaggio. Stiamo cercando maggiori informazioni su suo padre e suo fratello. Non ci sono dubbi che se torna a casa rischia la vita".

In Italia, invece, studia e lavora. Ha appena concluso un corso di lingua italiana e tutti i pomeriggi svolge un tirocinio come magazziniere in un supermercato di Misano Adriatico. La sera alla televisione vede le immagini dei barconi al largo delle coste siciliane, i corpi scheletrici e disidratati di chi è andato alla deriva nel Mediterraneo. "Mi chiedo - dice - quante delle persone per cui ho cucinato siano riuscite ad arrivare qua".

fonte: http://2piu2uguale5.ilcannocchiale.it/post/2317404.html
FONTE

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