giovedì 27 agosto 2009

L’Italia di Videocracy

di Santo Della Volpe

Ho visto il film “Videocracy” di Erik Gandini, una proiezione per giornalisti, in anteprima sull’uscita prevista dopo la Mostra del Cinema di Venezia. E sin dalle prime sequenze del film si capisce perché questo film di denuncia, che in tutto il mondo occidentale trasmetterebbero anche in TV, in Italia invece avrà vita difficile. Perché “Videocracy” non è tanto un film su Berlusconi, ma una rappresentazione di quanto la società italiana sia stata corrotta in profondità dalla televisione commerciale che, ovviamente, nel nostro paese è stata inventata e forgiata a modello da Berlusconi.

Il merito del film è di rappresentare, con immagini storiche e le parole dirette dei protagonisti, il motto di Lele Mora (mussoliniano confesso e nostalgico quanto ricco e potente) secondo il quale “ senza televisione non sei nessuno” e che “basta apparire” in Tv per avere successo, indipendentemente da quello che fai o sei. E quindi casalinghe disposte a spogliarsi pur di fare anche solo un provino… la selezione delle veline, come momento cruciale della vita di una ragazza… il modellamento dei programmi di Mediaset sull’idea di società del suo capo e quindi la creazione di un modello sociale-televisivo fittizio, finto ma imposto come modello, prima nei sogni, poi nelle idee, quindi nei comportamenti delle persone, infine nella politica e nella società. Un modello corruttivo dei valori sociali, che ha rotto tabù certo, ma facendo a pezzi anche i sottili fili della morale collettiva e dei valori di una società come quella italiana, ancora fragile, sia nelle istituzioni che nei comportamenti individuali.

Nel film l’esempio di questo modello è Fabrizio Corona che parla anche delle sue vicende giudiziaria, ma soprattutto illustra la sua personale visione del mondo nel quale i comportamenti arroganti, anche ricattatori e criminali, da negativi vengono rovesciati e diventano “mitici”, un modello affermato solo perché imposto da un potere televisivo che lo ha fatto diventare personaggio sin dal momento nel quale esce dalla galera. L’uomo senza morale, così si rappresenta lui stesso, diventa un Robin Hood che, dice “ruba ai ricchi (con qualsiasi mezzo anche illecito, n.d.r.) non per dare ai poveri ma per dare a sé stesso”. E questa filosofia negativa, sfacciata ed arrogante, invece di essere percepita e divulgata come negativa, condannata nella nostra società, diventa invece un modello di successo, perché veicolato in TV, nelle discoteche, nel mondo del commercio con magliette e prodotti non importa se volgari o squalificati.

Questo è il merito di Videocracy: ci fa vedere dall’interno quanto si è corrotta e quanto c’è di marcio nella nostra società, quanto e come si è creato un sistema di disvalori nella nostra collettività; ma non si ferma qui. Fa partire e gestire questa “rivoluzione culturale” cominciata con uno spogliarello per casalinghe in Tv 30 anni fa, dall’uomo che ha inventato la Tv commerciale e quindi una gestione del potere televisivo nella nostra società al punto da cambiarne i connotati più profondi, sino a farli sbarcare nella politica e nel governo del paese. Si chiama Silvio Berlusconi e lui stesso ne ha più volte rivendicato il “merito”.

Il film non va oltre anche se potrebbe. Non tocca ad esempio le responsabilità di chi ha favorito con leggi apposite il far-west dell’etere, chi non ha voluto leggi di sistema e di regolamentazione del conflitto di interessi, chi ha voluto l’affermazione di Berlusconi, che dalla P2 è passato a Palazzo Chigi. Non ne parla, Videocracy, perché questo film è in realtà un documentario ben fatto ed approfondito sulla realtà del nostro paese, non è e non vuole essere un referendum su Berlusconi che lo farebbe scendere in un’agòne che trita tutto riducendo ogni documento sociale a “pastone” politico.

Questo è il suo merito e questo è quel che darà più fastidio di Videocracy, il cui successo è prevedibile più all’estero che in Italia.

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Fonte: http://www.articolo21.info/5737/editoriale/litalia-di-videocracy.html
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