giovedì 27 agosto 2009

Il buco nero nella bella Napoli

In agosto molte persone che conosco cercano di prendere una pausa dalle questioni più impegnative. Meglio rimandare a settembre, dicono. Io ho la netta convinzione che non serva a niente, e sotto il sole d’agosto ho deciso di prendere il treno verso una città che adoro: la bella Napoli (era anche il nome della mia pasticceria preferita in corso Vittorio Emanuele, a Roma, finché il locale non ha lasciato il posto all’ennesima filiale di una banca).

Preferiamo rimandare a settembre. Come se certe questioni avessero una scadenza stagionale. La criminalità organizzata, per esempio, non va in ferie. Ci pensavo mentre fantasticavo sul vassoio di sfogliatelle ricce che mi preparava ogni domenica la mia amica romena, commessa alla Bella Napoli.

Seguendo la scia fragrante e miracolosa delle sfogliatelle, come la madeleine di Proust, sono arrivata alla mostra fotografica Gomorra on set, al Palazzo delle arti. Se l’asfalto di Napoli è incandescente, ancora di più bruciano gli scatti di Mario Spada, che a settembre pubblicherà un libro con la casa editrice Postcart.

Mi hanno colpito alcune parole che accompagnano gli scatti di Spada: “Gomorra vista dal nord è un buco nero. Comodo, pratico, conveniente. Perché dentro un buco nero ci puoi buttare di tutto: puoi infilarci quello che il nord non vuole più vedere, non vuole più mangiare e soprattutto non vuole più respirare”. Tanto nel buco nero nessuno si lamenta, nessuno viene a chiederti il conto.

Ecco forse perché qualcuno ha pensato che le questioni dell’immigrazione clandestina e della criminalità organizzata possano essere “impacchettate” in una sola legge sulla sicurezza. Insieme, come un vassoio di babà e di sfogliatelle.

Ero da sola alla mostra, unica ospite della giornata. Salvatore, un mio amico napoletano, ha cercato di convincermi che per lui non era il caso di entrare. “Tu sei straniera”, mi ha detto. “Per te è diverso”.

La normalità e la paura
Tra le foto mi rimangono in mente quelle di palloni gonfiati da bambini seminudi nei quartieri controllati dalle cosche criminali. Sono scatti simili a quelli raccolti nel libro Zadar 1991. La guerra all’improvviso del fotografo croato Robert Marnika, che cercava la normalità dietro l’orrore e la paura. Dentro di sé si cerca sempre la normalità. Anche queste cartoline napoletane sono frammenti di un ordine assurdo: i campi coltivati vicino alla spazzatura, i bambini con le armi, le donne con l’immagine di padre Pio e i vestiti firmati che sbucano come le macchie di una società che tutto converte in vite di scarto.

Cerco di far capire al mio amico perché debba vedere la mostra. Non ci riesco. “Ma guarda te”, mi bisbiglia, “una croata che vuole a tutti i costi farmi vedere una mostra sulla camorra”. Il libro di Roberto Saviano non l’ha letto fino alla fine, non c’è l’ha fatta, confessa. Gli dico che sono in tanti a dirmi la stessa cosa, ma non importa. I libri non scadono, mica sono sfogliatelle. Poi mi è venuto in mente che il mio Salvatore potrebbe diventare l’eroe di un libro non scritto, dal titolo Leggere Gomorra a Napoli.

Il motto di Salvatore, napoletano doc, è che la migliore pasticceria è quella che non conosci. Ecco, forse la vera natura di questa città è proprio come i dolci che cerca Salvatore. Quelli che ti vengono offerti.

Siamo finiti nel suo quartiere, a Soccavo, nel rione Traiano. La pasticceria è un appartamento di due stanze: in una ci vivono, l’altra è un laboratorio artigianale. Il vassoio me lo prepara una ragazza ucraina e me lo passa dalla finestra. Che coincidenza, ho pensato.

Sarah Zuhra Lukanic

(Sarah Zuhra Lukanic è una scrittrice nata in Croazia nel 1960. Vive a Roma dal 1987)

Fonte: http://www.internazionale.it/home/?p=5594
FONTE

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