domenica 30 agosto 2009

L’autunno nero del Cavaliere. L’assenza nel PD di una proposta di riforma fiscale rivoluzionaria.

di Gianni Rossi

Il “Patriarca” d’Italia si avvia rancoroso e stizzito verso un autunno dalle tinte fosche, mentre attorno a sé il panorama politico, economico e morale l’opprime come mai gli era successo nella sua ultradecennale carriera imprenditoriale-politica.

Ci sarà la sentenza della Corte Costituzionale sul “Lodo Alfano”, la legge che lo tiene al riparo da qualsiasi guaio giudiziario, che probabilmente lo vedrà soccombere. Ci sono poi le inchieste giornalistiche in Italia e all’estero che già gli fanno sognare “sorci verdi” per le sue “scappatelle amorose”. Arriverà il momento topico della intricata telenovela del divorzio dalla moglie Veronica Lario con il contrastato corollario della divisione dell’enorme patrimonio azionario, immobiliare e finanziario, che già sta mettendo contro i 5 “fratelli coltelli”, nati dal primo e dal secondo matrimonio ( a chi andrà il controllo della Mondadori? E che fine farà la compagine azionaria di Fininvest-Mediaset-Publitalia? E la cassaforte assicurativo-bancaria di Mediolanum?).

Ma i guai per il Cavaliere non si fermano alla sfera pur sempre personale, anche se pubblica e quindi politica. C’è il ritorno nelle fabbriche, la riapertura al lavoro del mondo produttivo ferito mortalmente dalla crisi mondiale, che in Italia mostrerà la faccia più feroce, rispetto al resto d’Europa. Gli ultimi dati sull’aumento esponenziale della disoccupazione, delle richieste di cassa integrazione, dei fallimenti societari, dei crediti bancari negati ai piccoli e medi imprenditori, la caduta dei prezzi alla produzione, l’aumento ormai ingombrante delle merci nei magazzini, la caduta libera dei consumi sempre più ridotti: tutte avvisaglie, insieme all’inflazione ormai a livello Zero, come anche il rendimento dei titoli di stato, che suonano come deflazione e recessione.

Cresce la povertà delle famiglie col raddoppio in dieci anni degli italiani che sono scesi sotto la soglia della sussistenza (i dati agghiaccianti della Caritas e dell’Istat, oscurati da TV e gran parte dei media, sono incontrovertibili e minacciosi per la stabilità sociale). E’ salita ancora la pressione fiscale, arrivata ormai ai livelli della Scandinavia, senza però il welfare state generoso di quei paesi.

Pesano sulle casse dello Stato la diminuzione del PIL, ormai oltre il 5%, e l’aumento del rapporto Deficit/PIL che ha superato i limiti del Trattato di Maastricht, così come il debito pubblico si avvia verso il 120%, il che fa precipitare l’Italia verso la bancarotta finanziaria rispetto agli altri paesi più industrializzati. Per non parlare del peso sempre più oneroso della spesa pensionistica (complice anche il forte ricorso ai prepensionamenti per mascherare i licenziamenti).

In tutto questo calvario economico e sociale spicca proprio l’assenza da parte della sinistra, e specialmente del PD impegnato nel dibattito congressuale per scegliere il nuovo vertice e la propria identità, il progetto di una riforma fiscale rivoluzionaria, cosa che al suo esordio, alla sua “discesa in campo” Berlusconi si vantò 15 anni fa di voler attuare con l’aiuto del suo fido super-ministro dell’economia Tremonti: tre aliquote da 0 a 23 fino al 33%. Una riforma in salsa americana, alla Bush padre e figlio, succubi delle ricette iperliberiste dettate dalla fallimentare Scuola di Chicago, basate sulle teorie monetariste del Premio Nobel Friedman (grazie alle quali abbiamo assistito ai crac che dal 2007 al 2008 hanno terremotato i mercati finanziari americani, prima, e quelli di tutto il mondo poi, con esborsi di circa dieci mila miliardi di euro da parte degli stati sovrani!).

Sta qui, da quella promessa mai concretizzata, sulla quale poggiano i piedi di argilla del Patriarca onnipotente di Arcore. Berlusconi ha governato meno di un anno nel 1994 e utilizzò la leva fiscale per salvare le sue imprese e iniziare una serie di condoni pazzeschi, che poi reiterò nel suo secondo periodo di governo dal 2001 al 2006 con l’aggiunta degli sconti fiscali per il rientro dei capitali fuggiti all’estero (altra invenzione del ministro Tremonti/Treconti), e che ora ripete per l’ennesima volta (errare humanum est, perseverare diabolicum!).

Ma come gli ha fatto notare pochi giorni fa sulle pagine del Corriere della Sera, uno dei suoi più autorevoli editorialisti, l’ economista Francesco Giavazzi (uno di quelli che raramente si è esposto contro i suoi governi e che insieme ad altri suoi colleghi ha sbagliato anche le previsioni negli ultimi anni, mentre non ha mai lesinato aspre critiche ai governi Prodi), la maggiore sconfitta del berlusconismo si basa proprio sulla “bugia mediatica ed elettoralistica” del taglio delle tasse.

Berlusconi ha accampato mille scuse per non abbassare la pressione fiscale, quasi sempre addossandone le colpe alla cattiva gestione dei conti pubblici da parte dei governi di centrosinistra e, da ultimo, agli effetti perversi della crisi economica e finanziaria mondiale. Ma sa di aver mentito con sé stesso, il suo elettorato e con tutto il paese. La sua politica fiscale si basa solo su condoni, più o meno mascherati, e su lievi incentivi a banche, gruppi finanziari e imprese per lo più di grandi dimensioni, oltre ad indebolire i controlli fiscali su alcuni settori commerciali più propensi a votare per il centrodestra e a ridurre l’efficienza della lotta all’evasione e all’elusione fiscale.

Giavazzi è stato bacchettato, anche se non facendo il suo nome, prontamente dal superministro Temonti/Treconti dal Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, tacciando tutti gli economisti di essere dei “maghi” che sbagliano previsioni e ingarbugliano anche le ricette. “Meglio che stiano zitti per due anni!” ha sentenziato il fiscalista principe del Patriarca.

Ma l’attacco del Corriere suona come una sentenza inappellabile per il futuro della politica economica e fiscale del governo: senza una drastica riduzione della pressione fiscale, il nostro paese rischia l’asfissia e la rivolta giacobina delle piazze.

Brilla per l’assenza nel dibattito precongressuale del PD proprio questo argomento, che invece è, come si usa dire oggi, “dirimente”. Certo incombe la tragica mannaia della censura e della normalizzazione su tutto il sistema dell’informazione: ormai il servizio pubblico è diventato MediaRai; non esistono più spazi liberi di informazione e i palinsesti sono infarciti di programmi sempre più di bassa qualità. Gli attacchi a quel che resta della libera stampa sono degni di uno stato assolutista. Il regime da molti paventato e da alcuni, anche da sinistra, ironizzato, è ormai una realtà. Ma non si tratta di un regime autoritario “para-fascista, dittatoriale sudamericano”, ma di un sistema moderno di autocrazia mediatica, che pone l’Italia fuori dal consesso della Comunità Europea e dal novero degli altri stati liberi e più industrializzati. Un virus politico-istituzionale, che potrebbe comunque estendersi nel resto del nostro continente, se non si porranno adeguate contromisure sociali, istituzionali e politiche in Italia e in Europa.

Eppure, il vulnus della mancata riforma fiscale è per Berlusconi più di una spina nel fianco, perché sa che tra le tante bugie mediatiche, personali e politiche, questa è la più pesante, quella che tutto l’elettorato da destra a sinistra non perdonerà mai (Prodi perse quasi tutto il suo vantaggio sul Cavaliere alle precedenti elezioni, proprio perché inciampò sulle tasse e nel 2008 questo fu un tema vincente per il centrodestra all’ultima tornata elettorale).

Le condizioni per inchiodare da subito questo governo, partendo dal dibattito in Parlamento sulla prossima Finanziaria, ci sono tutte: l’inflazione a livello zero, i salari reali più bassi del 30% rispetto alla media europea, gli incentivi defiscalizzanti alle aziende, la forte contrazione dei consumi, il basso costo dei tassi d’interesse. Una riduzione dalla pressione fiscale, oggi intorno al 48/49% reale dei redditi da lavoro dipendente (quelli che pagano davvero le tasse, insieme ai pensionati!), con 3/4 livelli di aliquote, fino al max del 39%, già a partire dalle dichiarazioni dei redditi del 2010, può innescare il circolo virtuoso di ripresa dei consumi e maggiore gettito fiscale indiretto. Andrebbero inoltre ridotte le trattenute fiscali sui salari, TFR e Fondi pensione e messo un tetto ai redditi dei supermanager, a partire da quelli pubblici e dai banchieri (negli USA la soglia, seppure contestata, è sui 500 mila dollari, in Germania sui 500 mila euro). E poi, inserire finalmente il quoziente familiare (tanto caro all’UDC di Casini, ma reclamizzato in campagna elettorale anche da alcuni esponenti della sinistra): la pressione fiscale va ridistribuita sul numero dei componenti del nucleo familiare, accompagnata alla deducibilità dell’IVA sui consumi, oggi impossibile, sulla falsariga del fisco americano.

A questa “rivoluzione fiscale”, liberale e keynesiana, andrebbe professata una politica per favorire aumenti indicizzati dei salari, fino ai redditi di 150 mila euro, abolendo l’assurda e antistorica inflazione programmata, per almeno due,tre anni. Certo, in questo modo entrerebbe in giro molta più carta moneta rispetto al rapporto deficit/debito pubblico, sprigionando una specie di svalutazione indotta e controllata dell’euro e, inoltre, facendo risalire il tasso d’inflazione verso il 2/3%. Sono piccoli rischi da correre, se si vuole far girare di nuovo la ruota della ripresa dei consumi interni e delle esportazioni verso i paesi più forti economicamente di noi: Germania, Stati Uniti, Giappone e paesi asiatici emergenti.

Ma sarà capace il PD, coinvolgendo anche l’opposizione, a far fronte comune su questo terreno, ormai scivoloso per Berlusconi? Sarà capace, proprio in questo autunno nero per la vita del Patriarca di scoccare l’affondo decisivo al cuore della politica ingannatrice del centrodestra, che da oltre 15 anni ciurla nel manico delle riforme strutturali?

Occorrerà che la politica, quella di ampio respiro, torni al centro del dibattito congressuale del PD, che il partito nuovo della sinistra riformatrice italiana guardi oltre la siepe del proprio egocentrismo e ritorni a pensare in grande, sfidando l’attuale egemonia autoritaria che sta precipitando il nostro paese nel baratro economico-sociale nel declino etico e culturale.


fonte: http://www.articolo21.info/5757/editoriale/lautunno-nero-del-cavaliere-lassenza-nel-pd-di.html
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