domenica 2 agosto 2009

Berlusconi e il ricatto

Claudio Fava parla del ricatto a Berlusconi e al governo messo in piedi da Lombardo e dei rapporti consolidati fra pezzi dello Stato, Cosa nostra e comitati di affari.


«Siamo davanti a uno scambio da bassa politica da 4 miliardi di euro», esordisce Claudio Fava, ex europarlamentare dell’Arcobaleno ed esponente di Sinistra e libertà commentando la “microcrisi” aperta Lombardo in Sicilia e risolta a colpi di miliardi di euro da Berlusconi nonostante i malumori di pezzi della maggioranza. Una crisi che si è chiusa ieri con l’ennesimo voto di fiducia sul Ddl anti crisi. «Soldi sottratti ad altre voci di spesa e rifinanziando cose già ampiamente finanziate – prosegue – quindi nulla di nuovo se non questa idea molto plebea del partito della spesa pubblica come partito meridionale. Questa forma di assistenzialismo indotto è servita solo a disinnescare Lombardo e a evitare che si perdano altri voti, contatti e collegamenti. Non solo si finanzia ciò che è stato ampiamente finanziato prima ma si continuano ad alimentare le vecchie clientele, a illudere tutto quell’esercito di precari che sono stati assunti, come ad esempio gli operai forestali siciliani, la metà di quelli a livello nazionale».

Secondo Fava quello che è accaduto in Sicilia in queste ultime settimane è «un ricatto di Lombardo verso il governo centrale», per alimentare il sistema di clientele messo in piedi, sempre secondo Fava, «dal governatore, un sistema di dimensioni mai viste». Quindi questo progetto di partito del Sud è tramontato? «Non è mai esistito».

Ma non è solo sulla politica che la Sicilia, in questo periodo, sembra essere entrata in fase di ebollizione. C’è la questione, devastante, delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino che riapre, insieme ad altre voci come il pentito Spatuzza, il capitolo delle stragi del ’92 e l’intreccio fra mafia, pezzi dello Stato e comitati d’affari. «Era ora che si riaprisse questo capitolo, un’iniziativa dovuta e tardiva al tempo stesso, e che la politica si facesse carico di questa vicenda dopo più di diciassette anni con la richiesta di una commissione di inchiesta specifica sulle stragi del ’92». L’ex eurodeputato spiega come da tempo esistessero sospetti che «ci fosse un patto indicibile e innominabile fra pezzi dello Stato e Cosa nostra – prosegue Fava -. Questo patto, questa la mia valutazione, è andato in parte a buon fine. Non è storia di oggi, è storia di un sospetto più che di una sensazione che si trascina da sedici anni, da quando è stato arrestato Riina e hanno lasciato per settimane la sua casa incustodita e accessibile ai suoi complici. E ancora le fughe improvvise di Provenzano poco prima della sua cattura quando era stato individuato in alcuni dei suoi rifuggi. È la storia di alcune cose che anche sul piano legislativo e normativo sono accadute: la legge sui pentiti che obiettivamente è stata ammorbidita, il 41bis si è ridotto nella sua funzione ed è stato possibile che dall’isolamento c’è chi è riuscito ad inviare lettere ai giornali che le hanno puntualmente sui giornali. Insomma mi pare che di questo patto, della trattativa, non se ne parlasse a caso». Fava critica anche le ultime dichiarazioni di uno dei presidenti storici della Commissione antimafia, Luciano Violante, sui suoi contatti con Mori e la richiesta da parte di quest’ultimo di organizzare un incontro riservato con Vito Ciancimino proprio all’epoca della “trattativa”. «Sarebbe stato interessante che invece di tenersi fino ad oggi la sua piccola verità sul suo incontro mancato con Ciancimino avesse raccontato queste cose ai magistrati 17 anni fa e non alla stampa oggi – attacca Fava -. Tre incontri che gli furono sollecitati di Mori che ricordiamo è un alto ufficiale dei carabinieri sotto processo per la fuga sospetta di Provenzano».

Poi, inevitabilmente, il discorso si sposta sulla vicenda del pignoramento della casa del padre di Fava, Giuseppe, direttore dello storico giornale I Siciliani ucciso dalla mafia a Catania nel 1984. «Quel debito così ridotto è quasi una gratificazione per noi, perché avere chiuso con solo 30 milioni di debiti dopo cinque anni di gestione senza aver mai avuto neanche mezza pagina di pubblicità o aiuto istituzionale è un risultato incredibile, vuol dire che siamo stati davvero bravi – spiega Fava -. Ora, dopo che il nostro direttore venne ucciso, pignorare la sua casa per ottenere 100mila euro in contanti da consegnare entro settembre a più di vent’anni dalla chiusura di quell’esperienza è un segnale chiaro e tremendo». Ma anche la possibilità di far emergere quella che rimane una società civile attiva e impegnata che si è attivata con una sottoscrizione nazionale che sta raccogliendo centinaia di adesioni.

di Pietro Orsatti su Terra - 2 agosto 2009

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18398/78/
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