domenica 30 agosto 2009

L’autunno nero del Cavaliere. L’assenza nel PD di una proposta di riforma fiscale rivoluzionaria.

di Gianni Rossi

Il “Patriarca” d’Italia si avvia rancoroso e stizzito verso un autunno dalle tinte fosche, mentre attorno a sé il panorama politico, economico e morale l’opprime come mai gli era successo nella sua ultradecennale carriera imprenditoriale-politica.

Ci sarà la sentenza della Corte Costituzionale sul “Lodo Alfano”, la legge che lo tiene al riparo da qualsiasi guaio giudiziario, che probabilmente lo vedrà soccombere. Ci sono poi le inchieste giornalistiche in Italia e all’estero che già gli fanno sognare “sorci verdi” per le sue “scappatelle amorose”. Arriverà il momento topico della intricata telenovela del divorzio dalla moglie Veronica Lario con il contrastato corollario della divisione dell’enorme patrimonio azionario, immobiliare e finanziario, che già sta mettendo contro i 5 “fratelli coltelli”, nati dal primo e dal secondo matrimonio ( a chi andrà il controllo della Mondadori? E che fine farà la compagine azionaria di Fininvest-Mediaset-Publitalia? E la cassaforte assicurativo-bancaria di Mediolanum?).

Ma i guai per il Cavaliere non si fermano alla sfera pur sempre personale, anche se pubblica e quindi politica. C’è il ritorno nelle fabbriche, la riapertura al lavoro del mondo produttivo ferito mortalmente dalla crisi mondiale, che in Italia mostrerà la faccia più feroce, rispetto al resto d’Europa. Gli ultimi dati sull’aumento esponenziale della disoccupazione, delle richieste di cassa integrazione, dei fallimenti societari, dei crediti bancari negati ai piccoli e medi imprenditori, la caduta dei prezzi alla produzione, l’aumento ormai ingombrante delle merci nei magazzini, la caduta libera dei consumi sempre più ridotti: tutte avvisaglie, insieme all’inflazione ormai a livello Zero, come anche il rendimento dei titoli di stato, che suonano come deflazione e recessione.

Cresce la povertà delle famiglie col raddoppio in dieci anni degli italiani che sono scesi sotto la soglia della sussistenza (i dati agghiaccianti della Caritas e dell’Istat, oscurati da TV e gran parte dei media, sono incontrovertibili e minacciosi per la stabilità sociale). E’ salita ancora la pressione fiscale, arrivata ormai ai livelli della Scandinavia, senza però il welfare state generoso di quei paesi.

Pesano sulle casse dello Stato la diminuzione del PIL, ormai oltre il 5%, e l’aumento del rapporto Deficit/PIL che ha superato i limiti del Trattato di Maastricht, così come il debito pubblico si avvia verso il 120%, il che fa precipitare l’Italia verso la bancarotta finanziaria rispetto agli altri paesi più industrializzati. Per non parlare del peso sempre più oneroso della spesa pensionistica (complice anche il forte ricorso ai prepensionamenti per mascherare i licenziamenti).

In tutto questo calvario economico e sociale spicca proprio l’assenza da parte della sinistra, e specialmente del PD impegnato nel dibattito congressuale per scegliere il nuovo vertice e la propria identità, il progetto di una riforma fiscale rivoluzionaria, cosa che al suo esordio, alla sua “discesa in campo” Berlusconi si vantò 15 anni fa di voler attuare con l’aiuto del suo fido super-ministro dell’economia Tremonti: tre aliquote da 0 a 23 fino al 33%. Una riforma in salsa americana, alla Bush padre e figlio, succubi delle ricette iperliberiste dettate dalla fallimentare Scuola di Chicago, basate sulle teorie monetariste del Premio Nobel Friedman (grazie alle quali abbiamo assistito ai crac che dal 2007 al 2008 hanno terremotato i mercati finanziari americani, prima, e quelli di tutto il mondo poi, con esborsi di circa dieci mila miliardi di euro da parte degli stati sovrani!).

Sta qui, da quella promessa mai concretizzata, sulla quale poggiano i piedi di argilla del Patriarca onnipotente di Arcore. Berlusconi ha governato meno di un anno nel 1994 e utilizzò la leva fiscale per salvare le sue imprese e iniziare una serie di condoni pazzeschi, che poi reiterò nel suo secondo periodo di governo dal 2001 al 2006 con l’aggiunta degli sconti fiscali per il rientro dei capitali fuggiti all’estero (altra invenzione del ministro Tremonti/Treconti), e che ora ripete per l’ennesima volta (errare humanum est, perseverare diabolicum!).

Ma come gli ha fatto notare pochi giorni fa sulle pagine del Corriere della Sera, uno dei suoi più autorevoli editorialisti, l’ economista Francesco Giavazzi (uno di quelli che raramente si è esposto contro i suoi governi e che insieme ad altri suoi colleghi ha sbagliato anche le previsioni negli ultimi anni, mentre non ha mai lesinato aspre critiche ai governi Prodi), la maggiore sconfitta del berlusconismo si basa proprio sulla “bugia mediatica ed elettoralistica” del taglio delle tasse.

Berlusconi ha accampato mille scuse per non abbassare la pressione fiscale, quasi sempre addossandone le colpe alla cattiva gestione dei conti pubblici da parte dei governi di centrosinistra e, da ultimo, agli effetti perversi della crisi economica e finanziaria mondiale. Ma sa di aver mentito con sé stesso, il suo elettorato e con tutto il paese. La sua politica fiscale si basa solo su condoni, più o meno mascherati, e su lievi incentivi a banche, gruppi finanziari e imprese per lo più di grandi dimensioni, oltre ad indebolire i controlli fiscali su alcuni settori commerciali più propensi a votare per il centrodestra e a ridurre l’efficienza della lotta all’evasione e all’elusione fiscale.

Giavazzi è stato bacchettato, anche se non facendo il suo nome, prontamente dal superministro Temonti/Treconti dal Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, tacciando tutti gli economisti di essere dei “maghi” che sbagliano previsioni e ingarbugliano anche le ricette. “Meglio che stiano zitti per due anni!” ha sentenziato il fiscalista principe del Patriarca.

Ma l’attacco del Corriere suona come una sentenza inappellabile per il futuro della politica economica e fiscale del governo: senza una drastica riduzione della pressione fiscale, il nostro paese rischia l’asfissia e la rivolta giacobina delle piazze.

Brilla per l’assenza nel dibattito precongressuale del PD proprio questo argomento, che invece è, come si usa dire oggi, “dirimente”. Certo incombe la tragica mannaia della censura e della normalizzazione su tutto il sistema dell’informazione: ormai il servizio pubblico è diventato MediaRai; non esistono più spazi liberi di informazione e i palinsesti sono infarciti di programmi sempre più di bassa qualità. Gli attacchi a quel che resta della libera stampa sono degni di uno stato assolutista. Il regime da molti paventato e da alcuni, anche da sinistra, ironizzato, è ormai una realtà. Ma non si tratta di un regime autoritario “para-fascista, dittatoriale sudamericano”, ma di un sistema moderno di autocrazia mediatica, che pone l’Italia fuori dal consesso della Comunità Europea e dal novero degli altri stati liberi e più industrializzati. Un virus politico-istituzionale, che potrebbe comunque estendersi nel resto del nostro continente, se non si porranno adeguate contromisure sociali, istituzionali e politiche in Italia e in Europa.

Eppure, il vulnus della mancata riforma fiscale è per Berlusconi più di una spina nel fianco, perché sa che tra le tante bugie mediatiche, personali e politiche, questa è la più pesante, quella che tutto l’elettorato da destra a sinistra non perdonerà mai (Prodi perse quasi tutto il suo vantaggio sul Cavaliere alle precedenti elezioni, proprio perché inciampò sulle tasse e nel 2008 questo fu un tema vincente per il centrodestra all’ultima tornata elettorale).

Le condizioni per inchiodare da subito questo governo, partendo dal dibattito in Parlamento sulla prossima Finanziaria, ci sono tutte: l’inflazione a livello zero, i salari reali più bassi del 30% rispetto alla media europea, gli incentivi defiscalizzanti alle aziende, la forte contrazione dei consumi, il basso costo dei tassi d’interesse. Una riduzione dalla pressione fiscale, oggi intorno al 48/49% reale dei redditi da lavoro dipendente (quelli che pagano davvero le tasse, insieme ai pensionati!), con 3/4 livelli di aliquote, fino al max del 39%, già a partire dalle dichiarazioni dei redditi del 2010, può innescare il circolo virtuoso di ripresa dei consumi e maggiore gettito fiscale indiretto. Andrebbero inoltre ridotte le trattenute fiscali sui salari, TFR e Fondi pensione e messo un tetto ai redditi dei supermanager, a partire da quelli pubblici e dai banchieri (negli USA la soglia, seppure contestata, è sui 500 mila dollari, in Germania sui 500 mila euro). E poi, inserire finalmente il quoziente familiare (tanto caro all’UDC di Casini, ma reclamizzato in campagna elettorale anche da alcuni esponenti della sinistra): la pressione fiscale va ridistribuita sul numero dei componenti del nucleo familiare, accompagnata alla deducibilità dell’IVA sui consumi, oggi impossibile, sulla falsariga del fisco americano.

A questa “rivoluzione fiscale”, liberale e keynesiana, andrebbe professata una politica per favorire aumenti indicizzati dei salari, fino ai redditi di 150 mila euro, abolendo l’assurda e antistorica inflazione programmata, per almeno due,tre anni. Certo, in questo modo entrerebbe in giro molta più carta moneta rispetto al rapporto deficit/debito pubblico, sprigionando una specie di svalutazione indotta e controllata dell’euro e, inoltre, facendo risalire il tasso d’inflazione verso il 2/3%. Sono piccoli rischi da correre, se si vuole far girare di nuovo la ruota della ripresa dei consumi interni e delle esportazioni verso i paesi più forti economicamente di noi: Germania, Stati Uniti, Giappone e paesi asiatici emergenti.

Ma sarà capace il PD, coinvolgendo anche l’opposizione, a far fronte comune su questo terreno, ormai scivoloso per Berlusconi? Sarà capace, proprio in questo autunno nero per la vita del Patriarca di scoccare l’affondo decisivo al cuore della politica ingannatrice del centrodestra, che da oltre 15 anni ciurla nel manico delle riforme strutturali?

Occorrerà che la politica, quella di ampio respiro, torni al centro del dibattito congressuale del PD, che il partito nuovo della sinistra riformatrice italiana guardi oltre la siepe del proprio egocentrismo e ritorni a pensare in grande, sfidando l’attuale egemonia autoritaria che sta precipitando il nostro paese nel baratro economico-sociale nel declino etico e culturale.


fonte: http://www.articolo21.info/5757/editoriale/lautunno-nero-del-cavaliere-lassenza-nel-pd-di.html
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Omofobia e media, il cammino difficile ma necessario tra chi odia ciecamente e chi vuole aprire gli occhi all’Italia

di Daniele Priori

L’omofobia ha sfondato il muro del silenzio. Le luci dei riflettori si sono più che mai accese su quelle persone, come chi scrive, che di fronte a gesti di violenta arroganza hanno deciso di sollevare il capo e parlare. E se i troppi episodi di sopraffazione e delinquenza contro tanti cittadini inermi, purtroppo, non sempre riescono a superare il confine, talora angusto, della cronaca locale, subire invece angherie e poi una aggressione per un motivo futile quale può essere un parcheggio condominiale, può scatenare, come è accaduto a chi scrive, una protettiva selva mediatica, tutta intenta a raccontare e, in qualche caso addirittura filmare, testimonianze evidentemente legate a un fenomeno, una colonna sonora, forse fin troppo nota ma mai mostratasi con tale sfrontata evidenza.

Parliamo ovviamente del sottofondo rappresentato dalla cieca ignoranza omofoba. I giornalisti, la stampa, gli inviati a raccontare i mille mondi che vivono e fanno, nel bene e nel male, il nostro Paese, stavolta, hanno deciso di scandagliare con attenzione il ventre dell’Italia per mettere alla berlina tali indecorosi bassissimi istinti che, pure, il Codice italiano ancora non riconosce con il proprio vero nome e le relative sanzioni, applicate invece in molte altre nazioni europee, su tutte la vicina Francia.

Ora, essere presi a pugni in faccia senza ragione, o meglio, con l’unica ragione di essere annientati nel profondo dell’animo, credetemi, è una sensazione davvero brutta, dolorosa, che svuoterebbe chiunque facendogli girare in testa molti perché sul senso della vita, su quello di chi vive attorno e, posto che vi sia una civiltà comune, sulla diversa interpretazione e attuazione che persone della stessa nazione, della stessa cultura (forse), della medesima etnia ma di differente orientamento affettivo e sessuale (unica differenza) possono darne.

La fortuna, però, di essere militanti, quindi appartenenti e a una comunità culturale e politica quale è anche (sia pure troppo debole) quella viva all’interno del movimento gay italiano, oltre alla vera e propria barricata di civiltà alzata dagli interventi dei mezzi di comunicazione, hanno fatto sì, per me e il mio compagno Ciri Ceccarini, che la forza si sia ritrovata presto, il vigore e gli affetti siano raddoppiati dalle manifestazioni di solidarietà e amicizia vera, al punto da riuscire a cacciar via i brutti pensieri, ripulendo la mente dalla fotografia degli occhi cattivi di chi non esita a usare pugni e schiaffi contro chi, a suo giudizio, viola il decoro di una “civile” palazzina condominiale.

Queste le scuse addotte con false, diffamatorie e volgari dichiarazioni, anche di fronte alle domande della stampa, da persone che, evidentemente, nella progredita Rimini, hanno ancora in uggia avere come vicini dei ragazzi omosessuali tranquilli, tutt’altro che esibizionisti eppure accusati da queste persone di mettere in scena chissà quale chiassosa piéce teatrale en travestì sul balcone di casa. Accusando da ultimo chi scrive e il proprio compagno, vista la rilevanza mediatica acquisita dal fatto, ovviamente, di volerci fare pubblicità. Neanche avessimo attratto pugni e schiaffi con una calamita.

Questo è niente, tuttavia, di fronte alla avvilente e sfrontata difesa di Svastichella, il potenziale omicida accusato di avere ferito quasi a morte Dino, il ragazzo marchigiano di trent’anni, a Roma per lavoro, colpevole di aver abbracciato e forse baciato il suo compagno di vita o di una sera, poco importa, in mezzo a una pubblica via capitolina, all’uscita del Gay Village. Ancora più grave evidentemente secondo l’aggressore, l’ennesimo padrone del mondo, già noto alla giustizia per risse e danneggiamenti del patrimonio pubblico, aver reagito di fronte allo scherno, comunque violento, di una irridente bottigliata in testa al suo amico.

Non a caso la linea difensiva dell’aggressore sta puntando, incredibilmente, sulla provocazione che l’innocuo e pacifico Svastichella (anche il soprannome parla da sé…) avrebbe subito dai due omosessuali che, stando a questa versione, forse erano addirittura armati di coltello (!!!), visto che il 40enne dall’angelico nomignolo ha detto di non avere con sé alcuna arma da taglio.

Evidentemente tutti sanno che il Gay Village (presto visitato anche dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno) è popolato da violentissimi omosessuali abituati a girare armati. Suvvia!

La verità probabilmente è un’altra. Ci troviamo in un frangente storico-sociale in cui, secondo questi nostri violentissimi concittadini e in assoluta controtendenza rispetto a quanto invece, con sempre maggiore frequenza fortunatamente capita, l’omosessuale, così come le donne e tutte le cosiddette “categorie a rischio” dovrebbero continuare a tenere la testa bassa e la coda tra le gambe, prendendosi tutto. La lama del coltello o la violenza cieca di un pugno in faccia, infatti, scattano nel momento in cui vedono che lo sporco frocio di merda di turno, non ci sta alle loro angherie, ai loro bullismi, non ha più paura e si ribella. Gli omofobi più insopportabili chiamano tutto ciò “provocazione”, quelli più raffinati, invece, utilizzano nelle interviste un termine non meno odioso e insostenibile: ostentazione.

Un movimento per i diritti civili maturo dovrebbe, invece, utilizzare l’unico termine utile: presa di coscienza, non ideologizzata ma piena di fiero buon senso.
Tra le trame di queste orribili storie di bieca sopraffazione razzista potrebbe esserci, infatti, il filo di Arianna di un nuovo ’68. Di gente pronta finalmente ad alzare il capo e reagire.

I media pare l’abbiano capito stavolta prima degli altri (addirittura in anticipo su molti gay) e sono pronti a prestare le penne, i taccuini, le telecamere a una battaglia giusta e necessaria non solo a far crescere l’Italia, avvicinandola all’Europa e sottraendola al buio ma, di più, utile a svegliare finalmente le coscienze della gente comune, semplice ma perbene e, non da ultimo, a preservare la sicurezza di tante persone che, ancora, per i più disparati motivi non hanno la forza di denunciare ciò che invece va gridato con razionale veemenza. Alla comunità gay l’onore, l’onere e il senso di responsabilità di saper tenere accesi i riflettori su casi troppo gravi per essere ignorati dalla cronaca ma che, alla pari, per non essere strumentalizzati contro gli stessi gay, necessitano ancora di riflessioni sociali, sociologiche, giuridiche e politiche approfondite. Così da non sbagliare nemmeno un passo nel lungo cammino appena iniziato e mirato ad aprire gli occhi all’Italia.


fonte: http://www.articolo21.info/5754/editoriale/omofobia-e-media-il-cammino-difficile-ma.html
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DENUNCIA ALLA POLIZIA DI STATO

ATTENZIONE NON SEGNALATE SU FACEBOOK, INVIATE LA MAIL!!!!

Desidero segnalare il link:

http://www.facebook.com/group.php?gid=126109942076&ref;=mf

Un gruppo di simpatzzanti

della pedofilia presente nel

social network Facebook.

Già nelle motivazioni della

creazione del gruppo, dopo

lo slogan "L'amore non ha

età..." si adducono deliranti

giustificazioni affermando "che

non ci sia niente di

sbagliato nell'amare un

bambino consensiente e farci

sesso...".

Nell'invito ad iscriversi al gruppo, dichiarandosi stufi

dei "pregiudizi e luoghi comuni della gente", si sostiene

che "non si può stabilire un età sotto la quale non poter

aprire i nostri cuori...".

Segue, poi, una mistificazione di una frase di Gesù

Cristo ("AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO") per

rafforzare il concetto.

Ritengo la costituzione di questo gruppo molto

pericolosa per i Bambini, la loro incolumità ed i loro

Diritti inviolabili, oltre che vergognosa offesa per la

Comunità.

Chiedo, pertanto, l'immediata cancellazione del gruppo

e l'eventuale sanzione per il fondatore.

Richiedo inoltre, per il futuro, un maggior controllo e

monitoraggio di tali fenomeni.

Ettore CORDIANO

MANDARE UN'EMAIL ALLA POLIZIA DI STATO

E DENUNCIARLI:

IO LI HO DENUNCIATI.

poltel.rm@poliziadistato.it


Di Ettore Cordiano
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Iniziamo a riconoscerci, ne ha bisogno il Paese

di Tania Passa

Parliamoci chiaro, non poteva non sapere il Presidente del Consiglio del duro attacco che il “ suo” giornale avrebbe sferrato a Dino Boffo, a cui va tutto la nostra solidarietà di giornalisti.

Se sapeva dunque, sarebbe bello capire la motivazione di un attacco così basso al direttore del giornale della CEI, ma la realtà è che se ci fosse un forte partito d’opposizione questo Governo sarebbe già caduto da mesi, e forse il Vaticano sta cominciando a fare pressioni per delle dimissioni oramai inevitabili.

E così il Presidente di Videocracy ha scelto la solita linea, quella cioè di ribaltare la situazione attraverso i massmedia, come ha sempre fatto con tutti quelli che non gli piacevano, solo che il Vaticano non è un partito di opposizione debole e confuso, ed il giochetto non ha funzionato.

Era evidente che la linea fosse quella di ribaltare la situazione già dagli scorsi giorni, con gli attacchi della Lega al Vaticano, ma forse ognuno di noi in fondo non ha creduto possibile l’applicazione della solita demolizione mediatica dell’avversario, anche contro il Vaticano .

Forse in questi anni, mentre venivano picconati mediaticamente tutti , ma proprio tutti, quelli che si opponevano a Berlusconi & Co., siamo stati troppo zitti.

Non abbiamo capito che ogni demolizione era un tassello di Videocracy e li abbiamo lasciati fare, ora però che l’obiettivo è il Vaticano forse un rigurgito di coscienza viene a tutti, magari anche a loro.

In Italia non c’è uno stato sociale degno di questo Paese, ed è la Caritas che sfama ‘gli ultimi’, l’attacco è alla dignità di chi è sempre stato accanto agli ultimi.

Come ci disse Padre Fabrizio Valletti solo la solidarietà potrà abbattere i muri di gomma, e forse è proprio così.

Tutti stretti e vicini, con gli stessi valori , e con le stesse picconate addosso ci riconosceremo tutti dalla stessa parte alla fine, solo che la solidarietà la dobbiamo lanciare un attimo prima di essere distrutti , sennò non resterà nessuno con i nostri valori a ricostruire il Paese.


fonte: http://www.articolo21.info/5755/editoriale/iniziamo-a-riconoscerci-ne-ha-bisogno-il-paese.html
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La degna opposizione di un indegno governo

E' questa l'Italia. Paese diviso a metà tra inquisitori e inquisiti. Paese di moralisti senza morale.
Un paese ricco di puttanieri che odiano vedere prostitute per strada "sennò i bambini si scandalizzano", di chi vorrebbe rimandare gli stranieri a calci in culo nel proprio paese dopo averli però opportunamente sottopagati nelle proprie fabbriche nel nordest o nei campi di pomodoro nel sud d'Italia, di chi disquisisce dell'omosessualità come pratica innaturale e poi molesta o violenta bambini, di chi parla di pace con un cingolato alle proprie spalle, di chi scende nella trincea della Chiesa Cattolica a giorni alterni.

E' questa l'Italia, quella in cui un giorno l'opposizione fronteggia a ranghi sparsi la Chiesa ed il governo sull'ora di religione cattolica e quello successivo si ritrova a difendere la prima contro il secondo quando si parla dei vizi del premier o dei linciaggi mediatici lanciati da un giornale di famiglia.
E' l'Italia in cui le forze "progressiste" spendono la propria opposizione difendendo la sacralità del matrimonio, i costumi morigerati dell'uomo di Stato, le missioni militari all'estero, la detassazione degli stipendi mentre le forze "conservatrici" al governo affrontano il divorzio come fosse una pratica qualunque, difendono i costumi libertini nel privato, discutono sull'opportunità e sui tempi del ritiro delle truppe e parlano di partecipazioni dei lavoratori agli utili aziendali.

Siamo il paese in cui le barricate sono sempre due. Due fronti di guerra sempre più simili. Quello di Feltri ed Il Giornale da una parte e quello dei vescovi dall'altra, in questo caso. E bisogna fare una scelta di campo necessaria. Perché stare nel mezzo e non difendere nessuna delle due parti significa esporsi al fuoco incrociato.
Critica entrambe le fazioni in guerra e ti ritroverai a combattere da solo. E sarai uno dei tanti Luttazzi, Guzzanti, Biagi, Montanelli.
Una vittima del fuoco amico (sempre che esita) e di quello nemico. Privato anche dell'onore delle armi che si concede al vero avversario.

Lo scontro tra l'Avvenire ed il Giornale, tra la Chiesa Cattolica e la maggioranza di governo, tra i moralisti cattolici e quelli berlusconiani, tra gruppi di personaggi pronti al j'accuse dei costumi altrui mentre nascondono montagne di scheletri nei propri armadi, sta divorando la curiosità e l'attenzione dei media e degli italiani.
E ancora una volta questo genere di scontri, l'annullamento della presenza del premier alla Perdonanza aquilana ultima delle conseguenze, riesce ad indebolire l'esecutivo più di ogni altro attacco.
E così inizia a montare quel desiderio di usare ogni arma possibile per colpire il dittatore. Possibilmente quella che genera più scalpore mediatico, anche se sembra essere la meno seria e la più spuntata delle armi.

E la conseguenza è sotto i nostri occhi, sempre che la si voglia vedere: gli attacchi più duri rivolti al nostro premier (e quelli meglio organizzati) affondano le radici sulla conoscenza di ragazzine minorenni, sul divorzio dalla seconda moglie, sull'utilizzo finale di prostitute più che sui possibili reati connessi, sulle polemiche "moralistiche" con la Chiesa, sulle gaffes durante i vertici.
Mentre temi ben più forti come la guerra in Afghanistan, le mancate politiche anti-crisi del governo, l'assenza di politiche sociali, la scellerata ricostruzione in Abruzzo, la riduzione progressiva dei fondi FAS per il sud, l'avversione al riconoscimento di pari diritti per l'universo omosessuale, leggi sull'immigrazione al limite della deportazione sommaria, lodi ministeriali salva-criminali, la gestione della pubblica istruzione finiscono per essere recepiti come argomenti marginali, quasi insignificanti, da parte degli stessi detrattori del governo.

L'indignazione della presunta opposizione è talmente forte quando si scopre che il Presidente del Consiglio ha un ingiustificato ed inspiegato rapporto con una ragazza appena diciottenne, che quando questi avvia un piano di occupazione generalizzato dei mezzi di informazione, dalle due reti RAI filo-governative a quella presunta oppositrice, dai tre canali radio alla straordinaria Rainews24, arrivando a querelare Repubblica e i quotidiani di mezzo mondo e a portare il proprio interesse imprenditoriale ed editoriale su quotidiani come El Pais, possibile vittima pregiata di scalate economiche arcoriane, finiscono per mancare le parole necessarie per mostrare il pericolo anti-democratico a cui si sta andando incontro.

E l'indignazione sembra essere la stessa utilizzata per una vicenda Noemi. O per certi versi anche minore.
Le liaisons dangereuses del premier finiscono per tenere banco più delle scelleratezze pubbliche e politiche operate dal suo governo. Compresi gli attacchi ai fondamenti democratici del paese. E non perché lo voglia Sua Maestà, ma perché lo vuole anche e soprattutto la presunta opposizione.

Un'opposizione che tardi, troppo tardi, finirà per accorgersi di essere diventata la copia del proprio avversario. Non nell'atto pratico, ma nella mentalità. Quella che non si sradica in pochi giorni.

http://alessandrotauro.blogspot.com/2009/08/la-degna-opposizione-di-un-indegno.html
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Su Boffo una velina che non viene dal Tribunale

di GIUSEPPE D'AVANZO

Su Boffo una velina che non viene dal Tribunale

LA "nota informativa", agitata dal Giornale di Silvio Berlusconi per avviare un rito di degradazione del direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, non è nel fascicolo giudiziario del tribunale di Terni. Non c'è e non c'è mai stata. Come, in quel processo, non c'è alcun riferimento - né esplicito né implicito - alla presunta "omosessualità" di Dino Boffo. L'informazione potrebbe diventare ufficiale già domani, quando il procuratore della Repubblica di Terni, Fausto Cardella, rientrerà in ufficio e verificherà direttamente gli atti.

Bisogna ricordare che il Giornale, deciso a infliggere un castigo al giornalista che ha dato voce alle inquietudini del mondo cattolico per lo stile di vita di Silvio Berlusconi, titola il 28 agosto a tutta pagina: "Il supermoralista condannato per molestie/ Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell'accesa campagna stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione". Il lungo articolo, a pagina 3, dà conto di "una nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del tribunale di Terni il 9 agosto del 2004". La "nota" è l'esclusivo perno delle "rivelazioni" del quotidiano del capo del governo. L'"informativa" subito appare tanto bizzarra da essere farlocca. Nessuna ordinanza del giudice per le indagini preliminari è mai "accompagnata" da una "nota informativa". E soprattutto nessuna informativa di polizia giudiziaria ricorda il fatto su cui si indaga come di un evento del passato già concluso in Tribunale.

Scrive il Giornale: "Il Boffo - si legge nell'informativa - è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla onde lasciasse libero il marito con il quale Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio, il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un'ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela...".

È lo stralcio chiave dell'articolo punitivo. È falso che quella "nota" accompagni l'ordinanza del giudice, come riferisce il Giornale. L'"informativa" riepiloga l'esito del procedimento. Non è stata scritta, quindi, durante le indagini preliminari, ma dopo che tutto l'affare era già stato risolto con il pagamento dell'ammenda. Dunque, non è un atto del fascicolo giudiziario. Per mero scrupolo, lo accerterà anche il procuratore di Terni Cardella che avrà modo di verificare, con i crismi dell'ufficialità, che la nota informativa non è agli atti e che in nessun documento del processo si fa riferimento alla presunta "omosessualità" di Boffo. La "nota informativa", pubblicata dal Giornale del presidente del Consiglio, è dunque soltanto una "velina" che qualcuno manda a qualche altro per informarlo di che cosa è accaduto a Terni, anni addietro, in un "caso" che ha visto coinvolto il direttore dell'Avvenire.

L'evidenza sollecita qualche domanda preliminare: è vero o falso che Dino Boffo sia "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni"? È vero o falso che la polizia di Stato schedi gli omosessuali?

Sono interrogativi che si pone anche Roberto Maroni, la mattina del 28 agosto. Il ministro chiede al capo della polizia, Antonio Manganelli, di accertare se esista un "fascicolo" che dia conto delle abitudini sessuali di Dino Boffo. Dopo qualche ora, il capo della polizia è in grado di riferire al ministro che "né presso la questura di Terni (luogo dell'inchiesta) né presso la questura di Treviso (luogo di nascita di Boffo) esiste un documento di quel genere" e peraltro, sostiene Manganelli con i suoi collaboratori, "è inutile aggiungere che la polizia non scheda gli omosessuali: tra di noi abbiamo poliziotti diventati poliziotte e poliziotte diventate poliziotti". "Da galantuomo", come dice ora il direttore dell'Avvenire, Maroni può così telefonare a Dino Boffo e assicurargli che mai la polizia di Stato lo ha "attenzionato" né esiste alcun fascicolo nelle questure in cui lo si definisce "noto omosessuale".

Risolte le domande preliminari, bisogna ora affrontare il secondo aspetto della questione: chi è quel qualcuno che redige la "velina"? Per quale motivo o sollecitazione? Chi ne è il destinatario?
C'è un secondo stralcio della cronaca del Giornale che aiuta a orientarsi. Scrive il quotidiano del capo del governo: "Nell'informativa si legge ancora che (...) delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo "sono a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori"". C'è qui come un'impronta. Nessuna polizia giudiziaria, incaricata di accertare se ci siano state o meno molestie in una piccola città di provincia (deve soltanto scrutinare i tabulati telefonici), si dà da fare per accertare chi sia o meno a conoscenza nella gerarchia della Chiesa delle presunte "debolezze" di un indagato. Che c'azzecca? E infatti è una "bufala" che il documento del Giornale sia un atto giudiziario. E' una "velina" e dietro la "velina" ci sono i miasmi infetti di un lavoro sporco che vuole offrire al potere strumenti di pressione, di influenza, di coercizione verso l'alto (Ruini, Tettamanzi, Betori) e verso il basso (Boffo). È questo il lavoro sporco peculiare di servizi segreti o burocrazie della sicurezza spregiudicate indirizzate o messe sotto pressione da un'autorità politica spregiudicatissima e violenta. È il cuore di questa storia. Dovrebbe inquietare chiunque. Dovrebbe sollecitare l'allarme dell'opinione pubblica, l'intervento del Parlamento, le indagini del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), ammesso che questo comitato abbia davvero la volontà, la capacità e soprattutto il coraggio civile, prima che istituzionale, di controllare la correttezza delle mosse dell'intelligence.

Quel che abbiamo sotto gli occhi è il quadro peggiore che Repubblica ha immaginato da mesi. Con la nona delle dieci domande, chiedevamo (e chiediamo) a Silvio Berlusconi: "Lei ha parlato di un "progetto eversivo" che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?".

Se si guarda e si comprende quel che capita al direttore dell'Avvenire, è proprio quel che accade: il potere che ci governa raccoglie dalla burocrazia della sicurezza dossier velenosi che possano alimentare campagne di denigrazione degli avversari politici. Stiamo al "caso Boffo". La scena è questa. C'è un giornalista che, rispettando le ragioni del suo mestiere, dà conto - con prudenza e misura - del disagio che nelle parrocchie, nei ceti più popolari del cattolicesimo italiano, provoca la vita disordinata del capo del governo, il suo modello culturale, il suo esempio di vita. È un grave smacco per il presidente del Consiglio che vede compromessa credibilità e affidabilità in un mondo che pretende elettoralmente, indiscutibilmente suo. È un inciampo che può deteriorare anche i buoni rapporti con la Santa Sede o addirittura pregiudicare il sostegno del Vaticano al suo governo. Lo sappiamo, con la fine dell'estate Berlusconi decide di cambiare passo: dal muto imbarazzo all'aggressione brutale di chi dissente. Chiede o fa chiedere (o spontaneamente gli vengono offerte da burocrati genuflessi e ambiziosissimi) "notizie riservate" che, manipolate con perizia, arrangiate e distorte per l'occasione, possono distruggere la reputazione dei non-conformi e intimidire di riflesso i poteri - in questo caso, la gerarchia della Chiesa - con cui Berlusconi deve fare i conti. Quelle notizie vengono poi passate - magari nella forma della "lettera anonima" redatta da collaboratori dei servizi - ai giornali direttamente o indirettamente controllati dal capo del governo. In redazione se ne trucca la cornice, l'attendibilità, la provenienza. Quei dossier taroccati diventano così l'arma di una bastonatura brutale che deve eliminare gli scomodi, spaventare chi dissente, "educare" i perplessi. A chi altro toccherà dopo Dino Boffo? Quanti sono i dossier che il potere che ci governa ha ordinato di raccogliere? E contro chi? E, concluso il lavoro sporco con i giornalisti che hanno rispetto di se stessi, a chi altro toccherà nel mondo della politica, dell'impresa, della cultura, della società?

fonte: http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-23/davanzo-velina/davanzo-velina.html
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Le nostre 10 domande a Silvio Berlusconi

di Giuseppe Giulietti

Le nostre 10 domande a Silvio Berlusconi

Dal momento che il presidente del consiglio editore non ha voluto rispondere alle 10 domande di “La Repubblica” anzi gli ha chiesto un milione di euro per averle solo pensate, noi, con raro sprezzo del pericolo e nullo senso del ridicolo ci permettiamo invece di rivolgergli 10 domande che dovrebbero piacergli e compiacerlo sperando di ricevere almeno 1 milione di euro di sottoscrizione:

Chi è l’uomo più bello d’Italia?

Chi è il politico “cattolicissimo?

Chi è il migliore amico di Obama in Italia?

Qual è stato il miglior presidente della storia del Milan?

Qual è stato, naturalmente dopo di Lei il politico che ha condotto la lotta più intransigente contro le mafie?

Perché , con tanta magnanimità ha messo Le sue aziende tutte in mano ai comunisti, come li chiama Lei, da Confalonieri a Feltri?

Qual è stato l’editore più liberale d’Italia?

Perché la Chiesa non La fa santo subito?

Chi ha costretto la signora Veronica a inventare tante bugie nei Suoi confronti?

Perché con la consueta libertà si è limitato solo a denunciare La Repubblica , quando avrebbe potuto direttamente chiuderla?

I suoi amici di Articolo21 la salutano caramente e resteranno in attesa di una generosa risposta e di una bella ricompensa simile a quella che lei ha dato a quei giornalisti che si sono sempre rifiutati di rivolgerle qualsiasi domanda!!

fonte: http://www.articolo21.info/8884/notizia/le-nostre-10-domande-a-silvio-berlusconi.html
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Gli eroi quotidiani

di Sonia Alfano

"Nei giorni scorsi Gian Antonio Stella ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica una situazione davvero incredibile e che riguarda una dirigente dell'INPS di Rossano, in provincia di Cosenza, la quale ha denunciato presso le autorità competenti tre cooperative che pare abbiano sottratto all'INPS e quindi a noi contribuenti circa 15 milioni di euro.
Dico pare perche' sono ancora in corso le indagini ed ecco perche' al momento sembra siano tre le cooperative.
Il tutto si e' svolto in maniera ancora piu' incredibile. Praticamente queste tre cooperative avevano arruolato falsi braccianti che lavoravano in falsi poderi ed era tutto assolutamente falso. Pare che nell'arco di un anno siano stati prodotti circa 100mila certificati medici. Perche' sono scattate le indagini e perche' questa dirigente, che ha fatto assolutamente il suo lavoro cosi' come dovrebbero fare tutti quanti, ha indagato? Ha indagato perche' l'INPS, dalla sede centrale, aveva chiesto come mai, proprio in quella zona del cosentino, c'erano così tanti braccianti e a tanti braccianti corrispondeva un numero spropositato di certificati medici, richieste indennita' di disoccupazione, maternità, etc.
In realta quello che ha poi scovato questa funzionaria è che non solo non esistevano questi braccianti agricoli, non esisteva una planimetria catastale, non esisteva nulla, ma la cosa piu' imbarazzante e vergognosa è che, quando c'era da lavorare davvero, queste cooperative, anziche mandare i braccianti agricoli perche' erano falsi, mandavano dei poveri immigrati i quali venivano pagati in nero e ai quali non e' stato versato nessun onere previdenziale.

Io sono assolutamente contenta del fatto che finalmente in Italia si dia la caccia agli evasori fiscali anche se poi in realtà questo a poco serve se consideriamo che agli evasori fiscali che hanno portato all'estero i propri capitali è stato consentito di reintrodurli pagando una piccolissima, banale cifra.

Mi chiedo: per quale motivo non dare la caccia a questo tipo di situazioni?
Vero e' che queste cooperative hanno sottratto soldi all'INPS, ma in realtà li hanno sottratti a noi perche' siamo noi i contribuenti in Italia. E soprattutto mi chiedo per quale motivo l'INPS, che ha degli amministratori di altissimo livello e degli ottimi ispettori, abbia lasciato sola questa funzionaria nel fare un accertamento ad altissimo rischio. Magari, se avessero evitato di lasciarla sola, avrebbero sicuramente evitato di sovraesporla e avrebbero sicuramento evitato che la funzionaria adesso si trovi ora in situazioni terribili, quale ad esempio quella di essere sotto scorta.
Altra cosa che credo sia opportuno sottolineare: se l'INPS, ma anche tutte le altre ditte e aziende mettessero tutto in Rete, probabilmente chiunque potrebbe fare dei controlli o degli accertamenti.
Perche' vi dico questo?
Perche' queste cooperative, che hanno lavorato in una zona incredibile in Calabria, pare che in un anno, per esempio, abbiano rastrellato circa 1.800.000 euro senza alcun documento contabile. Hanno poi di contro prodotto tutti quei certificati medici e però il risultato è questo.
Quindi se gli utenti ed i contribuenti, attraverso la Rete, potessero fare una serie di accertamenti o un controllo semplicissimo cosi' come quello che ha fatto poi la stessa funzionaria... beh forse quella funzionaria non sarebbe stata da sola e non si sarebbe dovuta sobbarcare di responsabilità cosi' alte e probabilmente queste persone sarebbero state messe nell'impossibilità di truffare una somma cosi incredibile nelle tasche dei contribuenti italiani."

fonte: http://www.soniaalfano.it/content/gli-eroi-quotidiani
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Allarme plastica: si "scioglie" ed avvelena gli oceani.

ROMA - La plastica avvelena gli oceani: si 'scioglie' nelle acque marine rilasciando composti tossici di ogni tipo, che vengono poi assorbiti dagli organismi oceanici mettendone così a rischio la vita e la capacità riproduttiva. Infatti, contrariamente a quanto ritenuto finora, la plastica che arriva in mare, ad esempio per mano dei vacanzieri che abbandonano sulle spiagge bottiglie e sacchetti, lungi dall'essere indistruttibile, si decompone per esposizione alle intemperie e lo fa velocemente rilasciando numerose sostanze tossiche. Lo rivela uno studio diretto da Katsuhiko Saido del College di Farmacia dell'università Nihon a Chiba, presentato al 238/imo Meeting and Exposition della American Chemical Society a Washington.

"Abbiamo scoperto che la plastica che arriva negli oceani in realtà si decompone - spiega Saido - in quanto è esposta a pioggia, sole e altre condizioni ambientali, dando origine a un'altra sorgente di contaminazione globale che continuerà ad affliggerci in futuro". Secondo il rapporto Fao-Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep), pubblicato in occasione della Conferenza mondiale sugli oceani tenutasi in Indonesia lo scorso maggio, ogni anno vengono immessi negli oceani 6,4 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui 5,6 milioni di tonnellate, l'88%, proveniente da imbarcazioni mercantili. La concentrazione di massa di spazzatura riguarda zone di accumulo in alto mare, e in particolare il Pacifico centrale (la 'grande pattumiera' tra California e Hawaii di dimensioni pari a due volte il Texas).

In ogni chilometro quadrato di oceano galleggiano oltre 13.000 pezzi di immondizia di plastica. Nel 2002, sono stati trovati circa 6 kg di plastica per ogni kg di plancton vicino alla superfice di un punto di accumulo di immondizia marina nel Pacifico centrale. Finora si è sempre ritenuto che la plastica fosse 'stabile' e che, quindi, per quanto detestabili agli occhi, rifiuti plastici finiti in mare non provocassero danni. Ma non è così: i ricercatori giapponesi hanno dimostrato che nelle condizioni di temperatura, vento e sole degli oceani, la plastica si degrada e lo fa in fretta, rilasciando sostanze tossiche che vengono facilmente assorbite dai pesci. Un esempio su tutti: il polistirene, materiale termoplastico usato negli imballaggi, inizia a decomporsi già dopo un anno. Una volta decomposta, spiegano gli esperti, la plastica rilascia quindi vari tipi di stireni, composti cancerogeni, e il famigerato bisfenolo A (BPA), sostanza chimica utilizzata nel packaging alimentare (bottiglie, contenitori e rivestimenti interni di lattine) più volte sospettata di avere effetti cancerogeni e sulla fertilità, mettendo in serio pericolo l'ecosistema marino. Le simulazioni fatte dai ricercatori nipponici parlano chiaro: la plastica negli oceani trova un ambiente ideale per rilasciare i suoi veleni e minacciare gli organismi che ne abitano le acque. Un motivo in più, concludono gli esperti, per incentivare il riciclaggio dei materiali plastici.

Fonte: http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_1646118284.html
Fonte foto: http://www.inl.co.nz/environment/2008/plasticjunkyard.html

Comunicato originale dell'ACM: http://portal.acs.org/portal/PublicWebSite/pressroom/newsreleases/CNBP_022763
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La professione giornalistica non può essere piegata da tentativi reiterati e stupefacenti d’intimidazione

di Franco Siddi

La professione giornalistica non può essere piegata da tentativi reiterati e stupefacenti d’intimidazione

E’ incredibile quanto sta avvenendo. Da un lato la denuncia del premier Berlusconi a un giornale, la Repubblica, contro le domande (cui non ha risposto) che pubblicamente gli ha rivolto; dall’altro il giornale di famiglia che attacca con brutalità senza precedenti il diritto di critica del giornale dei vescovi italiani, l’Avvenire.

Il Capo del Governo, da quest’ultimo attacco, ha preso poi secca distanza, ma resta il fatto che il Giornale, formalmente proprietà di un suo famigliare, abbia scandagliato nelle fogne per far passare un messaggio, nei confronti nel quotidiano dei vescovi e del suo direttore Boffo, che il comitato di redazione (certo non tacciabile di estremismi di nessun genere) considera una “chiara intimidazione al direttore e a tutta la redazione”. Tanto palese appare infatti lo scopo: non tanto quello di informare ma quello di scagliare fango in modo da “pareggiare” mediaticamente conti improponibili.

La professione giornalistica non può essere piegata da tentativi reiterati e stupefacenti d’intimidazione
La denuncia contro Repubblica è l’ultimo atto di un crescente assalto contro chi ha qualcosa da domandare, qualche dubbio da esporre, una critica e un dibattito da aprire, in una dissennata ricerca di silenzi, applausi, complicità. Non ci convinceremo mai che questa, quella di un giornalismo cortigiano o peggio piegato sulle ginocchia, debba essere la legge, scritta o no ,della nostra professione. Oggi c’è chiaro il rischio che il fastidio per l’informazione non controllata dal grande capo possa trasformarsi in qualcosa di altro, pericoloso, una deriva, una patologia da prevenire per una civiltà della convivenza che no può sopportare a lungo altre gravi lacerazioni.

Non accettiamo perciò in silenzio che si continui a prendere di mira con ogni mezzo (leggi bavaglio, avvisi a cancellare la pubblicità dai giornali scomodi, accuse di delinquenza ai giornalisti indesiderati) chi non rinuncia a fare del giornalismo una professione in cui si pongono le domande e si dà conto delle notizie che contano per la vita di tutti. Siamo e restiamo, inoltre, fermamente in campo per un giornalismo che fa circolare e mettono a confronto le idee senza camuffarle con minacce e intimidazioni. Diciamo no, perciò, ai tentativo di assalto estremo, convinti che si debba e si possa evitare una patologia contagiosa e irrimediabilmente dannosa per la nostra società. E alto, molto alto dev’essere l’impegno di tutti i giornalisti a recuperare e far valere appieno, verso chiunque, i fondamenti deontologici della professione giornalistica nella consapevolezza che il suo futuro dipende prima di tutto dalla sua credibilità.

Il potere, il premier oggi, deve sapere che c’è una misura che in democrazia non si può oltrepassare, riguarda l’etica della convivenza, il rispetto dei ruoli e delle funzioni, che non è risolvibile con operazioni muscolari e vendicative. Chi semina queste idee e i sentimenti da scontro primitivo ha colpa grave, deprecabile, fa opera di disfattismo puro. In ogni Paese “'normale'” porre delle domande da parte di un organo di informazione non è né può diventare oggetto di una concessione, ma fatto naturale e scontato. Le ritorsioni possono essere un reato, mai le domande.
Siamo ancora in tempo perché la rotta sia corretta. Ci vorrà non solo pazienza civile ma anche impegno, determinazione e autenticamente libera e democratica da parte di tutti. Per questo lanciamo un invito aperto a una iniziativa civile nazionale per la libertà dell’informazione, per il racconto non mutilato della vita del Paese, per la circolazione e la ripresa del valore del confronto delle idee di tutti, per evitare derive pericolose in un confronto sociale che dovesse anche solo essere percepito come campagna permanente di rendiconti vendicativi.

fonte: http://www.articolo21.info/8883/notizia/la-professione-giornalistica-non-puo-essere.html

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venerdì 28 agosto 2009

Il video dello show di Berlusconi sulla televisione tunisina

Il video dello show di Berlusconi sulla (sua) televisione tunisina: "La mia tv vi porterà libertà e democrazia"
"La politica del mio governo è dare casa, lavoro, istruzione e assistenza sanitaria ai migranti"


Lo scorso 18 agosto Berlusconi è stato in visita privata a Tunisi.

La mattina un incontro con il presidente Ben Alì, e nel pomeriggio la partecipazione a Ness Nessma, programma della televisione satellitare tunisina Nessma, recentemente acquisita, per il 50 per cento, da Mediaset e da Quinta Communications, la società di produzione di Tarak Ben Ammar di cui è socio di rilievo anche il gruppo Fininvest e nel cui capitale, alla fine di giugno, è entrata, tramite la Lafitrade, pure Tripoli (ai più maliziosi basterà questo solo dato per comprendere la ratio della politica mediterranea dell’attuale governo…).

Tra un ricordo commosso del viaggio in Libia (“un evento storico e coraggioso”, lo ha definito il conduttore), ed una breve dissertazione su quello che è il ruolo della televisione e su quanto di buono ("libertà e democrazia") la (sua) televisione potrà portare alla gente del Nord Africa (“Crede che Nessma TV sarà capace di cambiare il volto del Maghreb così come le sue televisioni già hanno fatto con quello dell’Italia?”, gli chiedeva la co-conduttrice), ospite della tv tunisina Berlusconi ha parlato anche di immigrazione. Con un discorso evidentemente non concordato con il ministro Maroni. Perché se in Italia il presidente del Consiglio ha bisogno di assecondare, sul tema, la propaganda leghista, dall’altra parte del Mediterraneo l’uomo d’affari Berlusconi ha un mercato di 80 milioni di telespettatori da conquistare. Spettatori che hanno quindi potuto apprendere di come la politica del governo italiano sia tesa ad “aumentare i canali di ingresso legali” e a garantire, ai migranti, “casa, lavoro, istruzione” e -udite udite- “l’apertura di tutti i nostri ospedali alle loro necessità”, perché “pure gli italiani sono stati emigranti, e quindi devono aprire il loro cuore a chi oggi viene in Italia”.

Di seguito il video della trasmissione. L’ho tradotto e sottotitolato in italiano, affinché anche voi possiate scoprire che il pacchetto sicurezza in realtà non è mai esistito.

1. Berlusconi su Nessma TV (prima parte)

2. Berlusconi su Nessma TV (seconda parte)

fonte: http://danielesensi.blogspot.com/2009/08/lo-show-di-berlusconi-sulla-sua.html
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Allevamenti industriali: fabbriche di virus

di Paolo De Gregorio

Non mi stanco di denunciare le follie del modo industriale e globalizzato di produrre i cibi di cui ci nutriamo, il modo intensivo di produrre le carni, con centinaia di migliaia di maiali, vitelli o polli reclusi e stipati in gabbie, nutriti e abbeverati con sistemi automatici, cresciuti a forza di antibiotici per prevenire le malattie e aumentare il peso (il 70% degli antibiotici impiegati negli Stati Uniti viene somministrato ad animali sani per contrastare gli effetti della scarsità di igiene e del sovraffollamento).

Da queste condizioni di estrema concentrazione e di scarsa igiene, stanno nascendo virus nuovi, che già uccidono le persone. I CDC (Center for Discases Control) stimano che ogni anno due milioni di persone contraggono una infezione resistente agli antibiotici e 80.000 ne muoiono.

Oggi i sistemi industriali di gestione degli animali e dei liquami degli allevamenti sono una pericolosissima bomba ecologica che può colpire soprattutto quel miliardo di esseri umani, soprattutto in Africa e Asia, concentrati nelle periferie urbane, in condizioni biologicamente vulnerabili (malnutriti) e in condizioni igienico sanitarie pessime, non raggiungibili da vaccini o medicine.

Le multinazionali che in maggioranza gestiscono queste imprese parlano di una domanda di mercato delle carni in grande aumento e questo è il metodo per soddisfare la richiesta.

Come al solito, la grande assente è la politica che, quando si tratta di mettere regole alla economia, guarda da un’altra parte, non previene i disastri, e poi accolla alla spesa pubblica il peso dei danni che potevano essere evitati.

La crisi finanziaria, nata negli USA dalle truffe di istituti di credito ai danni di istituzioni finanziarie di mezzo mondo, è nata dal non rispetto delle regole (la famosa deregulation), dalla mancanza dei controlli delle istituzioni politiche, e poi i soldi per rimediare sono venuti fuori dai bilanci dello Stato.

I truffatori e i fabbricatori di virus possono dormire tranquilli, le sorti del mondo le decidono loro.

Chi parla di contenimento delle nascite, sviluppo sostenibile, autosufficienza alimentare ed energetica di ogni nazione, fonti rinnovabili, piccolo e diffuso modo di produrre sia cibi che energia, è solo un innocente sognatore, e non so quanto tempo ancora ci vorrà per capire che è questa l’unica strada da percorrere.

Ma capitalisti e i preti sono in trincea affinché nulla cambi, e noi siamo liberi di crepare di qualche “pandemia”, magari programmata, dove si salvano solo i più ricchi.


fonte: http://www.agoravox.it/allevamenti-industriali-fabbriche.html
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Lavoratore "cornuto e mazziato"

di Amalia Cocchini



Questo governo è diabolico. Dopo le polemiche peri-elettorali sulla bozza di decreto correttivo al Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro presentato alla fine di aprile; dopo le accuse di incostituzionalità e i rimproveri del presidente Napolitano, dei più insigni giuristi italiani, dei sindacati e di quanti ancora ritengono che la sicurezza sul lavoro sia cosa seria e la legge un mezzo per tutelarla (e non un’autorizzazione ai potenti per fare ciò che vogliono); il ministro Sacconi & Co. hanno apparentemente battuto in ritirata. Hanno ascoltato i rimbrotti e messo al lavoro le Commissioni Parlamentari. Quatti quatti però, in maniera subdola, hanno fatto rientrare dalla finestra quello che forzatamente avevano dovuto far uscire dalla porta. Anche se, fortunatamente, la finestra era stretta e non tutto è riuscito a rientrare.

Di cosa sto parlando? Della famigerata “norma salva-manager” che tanto scalpore aveva destato un paio di mesi fa e del cui ritorno nessuno, forse complice la canicola d’agosto, si è accorto.
Vero è che stavolta non è più applicabile la retroattività e almeno i processi Thyssen ed Eternit potranno seguire il loro corso. Vero è che per rintracciarla è necessario fare salti acrobatici da un articolo a un altro e poi un altro ancora: il che è, notoriamente, roba da addetti ai lavori.

Come addetta ai lavori provo ora a spiegare l’ultima porcata del governo che mira esclusivamente a tutelare gli interessi dei datori di lavoro. Il fine ultimo è, ovviamente, agevolare l’impunibilità degli stessi.

Dunque, all’art.18 del D. Lgs 81/08, così come è entrato in vigore dal 20 agosto, è stato aggiunto il comma 3-bis che prevede che il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi da parte dei preposti, dei lavoratori, dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori, degli installatori e del medico competente, ferma restando “l’esclusiva responsabilità” di quei soggetti “qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.

Come dire che io, datore di lavoro di una fabbrica di scarpe, devo vigilare affinché il capoturno faccia bene il suo lavoro, i lavoratori non entrino in fabbrica in ciabatte e i fornitori non mi rifilino un’attrezzatura della prima guerra mondiale. Però, se il capoturno non fa ricaricare l’estintore o l’operaio lavora su una macchina senza protezione, non sono responsabile se dimostro che non ho difettato in vigilanza.

E così abbiamo spiegato "il presupposto".

L’art. 16 dello stesso decreto si occupa della delega di funzioni da parte del datore di lavoro.

Al comma 3 precisa che la delega non esclude l’obbligo di vigilanza, tuttavia è stata aggiunta la frase che spiega che l’obbligo si intende assolto “in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’art. 30 comma 4”.

L’articolo 30, al comma 4 spiega che il modello di organizzazione e di gestione deve prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione dello stesso. Il modello di organizzazione e gestione è quella procedura definita idonea a prevenire i reati connessi alla violazione delle norme antinfortunistiche e della tutela della salute e, tra l’altro, ha anche efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. La responsabilità amministrativa è quella che consentirebbe di colpire il patrimonio degli enti e quindi gli interessi economici dei soci nel caso di reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro.
Ma se il modello adottato fosse solo una formalità?
Se non funzionasse? Se non fosse applicabile?

Nel “vecchio” D. Lgs 81 mancava proprio questo passo ed era il giudice, in sede di accertamento penale, a valutare la validità del modello adottato, ovvero la prova della solidità del modello si sarebbe avuta solo nel malaugurato caso di procedimento penale Questo governo, così attento alle regole e alla trasparenza, ha messo riparo a questa lacuna e ha previsto un controllo, una verifica sul funzionamento del modello.

Infatti, l’art. 51 comma 3-bis prevede che venga rilasciata un’attestazione del corretto svolgimento del procedimento e dell’efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza. E chi deve rilasciare questa attestazione? Gli organismi paritetici.

Cosa sono gli organismi paritetici ce lo spiega l’art. 2 al comma 1 lettera "e": sono organismi costituiti da associazioni di datori di lavoro. Il gioco è fatto.

Io, datore di lavoro, per non essere considerato responsabile di un infortunio e per stare tranquillo, devo aver adottato un sistema certificato di organizzazione e di gestione. Ovviamente me lo certifico da solo.

Ma allora, se dovesse verificarsi un infortunio, di chi sarebbe la responsabilità?
Ma naturalmente del fabbricante, della macchina che lo ha provocato o del fornitore o del capoturno o…del lavoratore.


Questo meccanismo normativo, contorto ma facile, scarica di tutte le responsabilità penali (ed esime da quelle amministrative) il vertice aziendale, fino ai livelli inferiori.
Come sempre sarà il lavoratore distratto dalle bollette non pagate, dal problema del come arrivare alla fine del mese, dal trovare la strada promessa verso la felicità ad essere l’unico responsabile della sua morte.

fonte: http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/articoli/lavoro/lavoratore_cornuto_e_mazziato.php?notifica
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Silviocracy

di Antonio Padellaro


La Rai rifiuta di mandare in onda il trailer di Videocracy perché "è un film che critica il governo". Nella lettera con cui la tv di Stato (in perfetto accordo, ci mancherebbe altro, con Mediaset) si prostra ai voleri del suo vero padrone Berlusconi (il film racconta l'ascesa della Silviotelevisione tra veline, letteronze e tronisti) si dice (traduciamo) che poiché il pluralismo alla Rai è sacro, se nello spot di un film si ravvisa una critica a una parte politica occorre subito bilanciare con il messaggio di un film di segno opposto. Raramente l'intelligenza di avvocati e dirigenti si era a tal punto prostituita al ridicolo pur di salvarsi la poltrona.

Forza Garimberti
Però, forse, non tutto è perduto. Abbiamo fatto un sogno. Incredulo anch'egli davanti a tanta bassezza il presidente (di garanzia) della Rai Paolo Garimberti sospende la sua consueta partita di tennis e dirama un comunicato di ferma riprovazione per il rifiuto dello spot di Videocracy. Proprio perché la Rai è un servizio pubblico, egli afferma, non può esercitare censure sulla promozione di film e altri spettacoli che non violino il codice penale o il codice etico dell'azienda. Meno che mai, aggiunge, se questo tipo di censura assume caratteri odiosi per un'evidente tentativo di compiacere un qualsisi potente, fosse anche il presidente del Consiglio. Questo nel nostro sogno Garimberti, presidente di garanzia della Rai, afferma con linguaggio forte e con accenti di grande dignità, come del resto si addice al ruolo che ricopre. Tra un set e l'altro.
27 agosto 2009

fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it/?r=168703
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La perdonanza mediatica

di VITO MANCUSO

Nella Chiesa antica la penitenza era una cosa seria. Riguardava peccati come l'omicidio, l'apostasia, l'adulterio e veniva amministrata in forma pubblica.

Dopo che il peccatore era stato escluso dalla comunità liturgica per un congruo periodo di tempo e aveva confessato al vescovo il proprio peccato. Il perdono liturgico si poteva ottenere solo una volta nella vita, e se poi si peccava di nuovo non c'era più possibilità di essere riammessi a pieno titolo nella comunità cristiana. All'inizio del medioevo la penitenza divenne reiterabile, ma non per questo perse di rigore: i confessori (ruolo che prese a essere esercitato anche dai semplici sacerdoti) avevano a disposizione appositi libri, i cosiddetti "penitenziali", dove a determinati peccati si facevano corrispondere determinate pene secondo un tariffario oggettivo per evitare favoritismi e disposizioni "ad personam", possibili anche a quei tempi. Per esempio il penitenziaro di Burcardo di Worms, databile intorno all'anno Mille, stabiliva che per un omicidio ci fossero 40 giorni consecutivi di digiuno a pane e acqua e poi 7 anni costellati da privazioni di ogni sorta, soprattutto astinenze sessuali; per un giuramento falso, sempre i canonici 40 giorni di digiuno da estendere poi a tutti i venerdì della vita; per un adulterio "penitenza a pane e acqua per due quaresime e per 14 anni consecutivi". E' importante notare che nel primo millennio l'assoluzione dei peccati veniva concessa solo dopo aver compiuto le opere penitenziali.

Con l'estendersi della mondanizzazione della Chiesa la procedura legata alla penitenza si fece più flessibile: l'assoluzione venne concessa subito dopo l'accusa a voce dei peccati da parte del penitente e a prescindere dall'esecuzione della penitenza assegnata, per soddisfare la quale, peraltro, nacque presto la pratica delle indulgenze. E' noto che fu proprio il persistente abuso della vendita delle indulgenze a costituire la causa della ribellione di Martin Lutero e la successiva divisione della Chiesa.

Nonostante ciò anche la perdonanza celestiniana del 1294 era, ed è, una cosa molto seria. Nella bolla d'indizione papa Celestino V fa ampio riferimento a Giovanni Battista, in particolare al suo martirio, visto che la perdonanza ricorre proprio il 29 agosto, giorno della celebrazione liturgica della decapitazione dell'ultimo grande profeta biblico. E' noto infatti che Giovanni Battista finì in galera e poi venne decapitato per la sua severità morale, in particolare per aver richiamato il re Erode al rispetto della morale matrimoniale, infranta pubblicamente dal sovrano che conviveva illecitamente con la moglie del fratello Filippo, Erodiade, "donna impudica", come la definisce papa Celestino V nella bolla. E' a tutti evidente che Giovanni Battista, seguendo lo stile degli altri profeti biblici, non aveva ancora sviluppato la sottile arte della diplomazia ecclesiastica, capace di distinguere tra vita privata e ruolo istituzionale dell'uomo politico, e così utile a navigare tra le tempeste del mondo senza perdere (fisicamente) la testa. Nella sua ingenuità il Battista riteneva che per un uomo politico non fosse ipotizzabile nessuna distinzione tra vita privata e ruolo istituzionale: era così inesperto di come va il mondo da essere addirittura convinto che se un uomo non è in grado di governare bene e con equità la propria famiglia, meno che mai potrebbe governare bene e con equità la propria nazione. Evidente che era un primitivo, ben al di sotto delle sottili distinzioni che si teorizzano in questi giorni al Meeting di Rimini e che consentono al segretario di Stato del Vaticano di cenare serenamente con l'attuale capo del governo italiano elevandosi mille miglia più in alto rispetto alla rozzezza del Battista con quel suo modo irrituale di sindacare sulla vita sentimentale del leader del suo tempo.

Ma se era seria la penitenza antica ed era seria la Perdonanza di papa Celestino, ancor più serio, terribilmente drammatico, è lo sfondo su cui tutto questo oggi si ripresenta, cioè il terremoto del 6 aprile coi suoi 308 morti, 1500 feriti e le decine di migliaia di sfollati. Nella celebrazione della perdonanza celestiniana di quest'anno all'Aquila si intrecciano quindi tre realtà che meritano rispetto incondizionato da parte di ogni coscienza adeguatamente formata, tanto più se cattolica visto il patrimonio spirituale che è in gioco. Sarebbe stato quindi auspicabile che la gerarchia ecclesiastica non avesse consentito di sfruttare un evento del genere per speculazioni politiche, concedendo visibilità e "perdonanza mediatica" a chi, accusato di aver avuto a che fare con un buon numero di Erodiadi, non ha mai accettato di rispondere pubblicamente e analiticamente alle precise domande in merito, come invece il suo ruolo istituzionale gli impone. E' chiaro a tutti infatti che all'homo politicus, a ogni homo politicus, non interessano le indulgenze ecclesiastiche, neppure quelle plenarie (le quali peraltro si possono ottenere in ognuna della nostre chiese con relativa facilità, rivolgersi al proprio parroco per sapere come).

All'homo politicus interessa solo la sua riserva di caccia, l'elettorato, e sa bene che la vera indulgenza al riguardo non la si ottiene confessandosi e comunicandosi e facendo tutte le altre pratiche devote prescritte da papa Celestino otto secoli fa, ma semplicemente apparendo in tv accanto al potente porporato sorridente e benevolente. E' questa l'indulgenza che il capo del governo, abilissimo homo politicus, cerca, ed è questa l'indulgenza che il segretario di Stato Vaticano gli concederà, con buona pace della testa di san Giovanni Battista, di Celestino V e della sua Perdonanza.

Non posso concludere però senza chiedermi se questo spensierato teatro di potenti che si legittimano a vicenda non abbia qualcosa a che fare con quel nichilismo a proposito del quale Benedetto XVI ha avuto di recente parole di pesantissima condanna. Il fatto che la gerarchia della Chiesa cattolica teoreticamente condanni il nichilismo e poi praticamente lo alimenti, si può spiegare solo con una sete infinita di potere, la quale non giace nelle coscienze dei singoli prelati ma è intrinsecamente connaturata alla struttura di cui essi sono al servizio. La cosa è tanto più drammatica perché forse mai come ora gli uomini sentono il bisogno di apprendere l'arte del perdono e della riconciliazione.

fonte: http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-22/mancuso-28ago/mancuso-28ago.html
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L’ultima beffa della ditta Pier&Silvio

PIOVONO RANE di Alessandro Gilioli

Il Giornale non ha dubbi: “Entro il 2012 tutti gli italiani dovranno passare al segnale digitale terrestre”. Testuale.

Una balla allucinante, pure un po’ minacciosa. Nessuno “deve” passare al digitale terrestre, perché esistono delle alternative (dal satellite all’Iptv), ammesso e non concesso che sia necessario seguire quella fabbrica di menzogne e omertà che sono le tivù italiane.

Però diciamo, per esempio, che chi ama il pallone ormai se lo deve vedere in tivù, perché tra “tessere del tifoso” e divieti di comprarsi più di un biglietto, andare allo stadio per una famiglia è cosa sempre più scoraggiata, come ha scritto benissimo Gianni Mura qualche settimana fa.

Questo guardarselo in tivù, si sa, passa per due possibili strade: l’abbonamento a Sky sul satellite o a Mediaset Premium sul digitale terrestre.

Nel 2005, appena nata, l’offerta di Mediaset era economicamente più vantaggiosa: bastava comprarsi il decoder del digitale terrestre - scontato, con il contributo dello Stato - e poi ciascuno poteva acquistare il match a cui era interessato a tre euro a partita.

Da allora il digitale terrestre è stato proposto e imposto in ogni maniera - grandi campagne pagate con i soldi dei contribuenti e balle indecorose come quella succitata del Giornale - e la situazione all’inizio del nuovo campionato è la seguente: per vedersi una partita su Mediaset Premium non basta comprarsi il decoder e pagare il match quasi triplicato (da tre a otto euro in meno di quattro anni) ma è obbligatorio anche sottoscrivere l’abbonamento a Gallery, vale a dire i quattro canali in Dtt di Mediaset, 12 euro al mese. Non ve ne frega nulla di Steel o di Joy e volete vedervi solo il calcio? Fatti vostri, la partita da sola non si può comprare.

In altre parole: prima hanno finanziato con i nostri soldi il digitale terrestre (contributi ai decoder, campagne stampa etc), poi hanno raccontato e continuano a raccontare che “tutti gli italani devono passare al digitale terrestre”, quindi hanno disincentivato con norme assurde l’acquisto dei biglietti per lo stadio, infine ci hanno obbligato a comprare anche l’integrale del Grande Fratello e della Fattoria per vedere le partite di pallone. Per completare l’opera, da un mesetto hanno tolto i canali satellitari della Rai dal pacchetto Sky e hanno riempito di buchi il palinsesto di chi seguiva la tivù di Stato su Sky, oscurando partite di calcio e gran premi “free”

Una schifezza perfetta, attuata congiuntamente da governo e Mediaset, da Palazzo Chigi e Cologno Monzese, insomma, dalla premiata ditta Pier&Silvio.;

Buon campionato a tutti.

fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/08/27/lultima-beffa-della-ditta-piersilvio/
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Se le nostre coscienze fanno naufragio

di Chiara Valentini

Un’emozione di quelle che ti prendono alla gola, e l’impossibilità di staccare gli occhi dalle pagine del giornale, e la sensazione di esserci anche tu in quella cameretta d’ospedale, a fianco del letto della ragazza eritrea sopravissuta quasi per miracolo alla folle traversata della morte. E’ quel che ho provato leggendo sulla Repubblica il reportage del suo direttore Ezio Mauro, che con la passione e la tenacia dei grandi cronisti ha saputo chiedere, ascoltare, dare un senso commisurabile alle nostre esperienze ad una vicenda che appare estrema solo a chi ha perso la capacità di guardare e riflettere.

Eccola lì davanti a chi legge Titti Tazrar, 27 anni di speranze un po’ approssimative come il suo inglese imparato in una scuola non poi tanto diversa dalle nostre, fiduciosa in un mondo affluente di cui le erano arrivati echi imprecisi. Eccola che comincia quasi con spensieratezza un viaggio che la porterà ad attraversare orrori sempre più grandi: nella Libia del nostro alleato Gheddafi, sequestrata per mesi dai trafficanti di uomini e poi in quel gommone così simile ai tanti gommoni che attraversano i nostri mari, dove ogni notte fa più paura della notte prima e dove la fame e la sete non danno tregua. Uno dopo l’altro muoiono i compagni di viaggio, le sue due amiche abortiscono e poi se ne vanno anche loro, senza neanche la forza di lamentarsi.

Senza questo raccontoTitti sarebbe stata solo un’immagine veloce nelle cronache mediatiche dei viaggi finiti male, un’ombra rimossa forse con un certo fastidio. E d’altra parte non ci sono stati quei maltesi a testimoniare che la ragazza eritrea e gli altri pochi sopravissuti ‘scoppiavano di salute’? Non c’è Umberto Bossi, uno dei capi della maggioranza di governo, a spiegarci che se di immigrati ne arrivano troppi neanche le leggi del mare valgono più?

Raccontare, riflettere. Respingere l’opacità dei sentimenti e il naufragio delle coscienze, ritrovare la voglia di dire di no. In un’Italia che scivola con distratta indifferenza verso una barbarie mai sperimentata a questi livelli c’è un enorme lavoro che ci aspetta in questo caldo rientro dalle vacanze.

fonte: http://valentini.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/08/27/se-le-nostre-coscienze-fanno-naufragio/
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E’ ricominciata la caccia alle streghe

Riusciremo ad evitare di diventare un paese integralista, in cui certe scelte sono affidate alla coscienza individuale e non ad una morale decisa da Gasparri? Riusciremo a morire in pace? Riusciremo a vivere ciascuno rispettoso degli altri senza voler imporre una Verità al mio vicino ,la verità di Gasparri?

Altro che indagine conoscitiva, Gasparri aveva detto che la scienza puo’ dire quello che vuole tanto le leggi le fa in parlamento. Per proteggere lo stile di vita di Berlusconi, per non alienarsi troppo la chiesa adesso ci faranno diventare uno stato confessionale un Iran versione cattolica.

Un Senato, che approva decreti legge per correggere disegni di legge già approvati in precedenza da Parlamento, si erge ora a esperto scientifico nello sterminato campo della scienza medica. Poco importa se all’estero scienziati di fama hanno già espresso le loro, molto più scientifiche, opinioni, tanto che la famigerata pillola Ru486 ha libera circolazione nel resto di Europa e del mondo. Come sempre in Italia del giorno d’oggi si é perso completamente il senso del ridicolo e si obbedisce agli ordini della Chiesa. Se le donne decidono di abortire, che almeno lo facciano con dolore; anzi che sia aborto clandestino.Si è vero si abortiva di più, ma in compenso si rischiava la vita.

Ma se la vita non è una malattia perchè Gasparri e soci si disinteressano completamente a quegli immigrati morti in mare senza soccorso? Perchè lasciano morire le donne incinte in mare o le respingono? Forse che della sorte di quei bambini e di quelle donne non interessi a nessuno?
La verità è che bloccare la RU486 è pagare il dazio che i soci del Pdl devono pagare alla Chiesa a causa delle fesserie razziste della Lega e delle scorribande di Papi. E poi è molto più importante limitare l’autodeterminazione della donna italiana, che, infatti, sempre in misura maggiore, varca le frontiere con la Svizzera.

La cosa più avvilente in tutta questa vicenda, tristissima e insultante per tutti gli italiani, è il silenzio assoluto della cosiddetta sinistra. Mentre Bersani va al Meeting di Rimini tutto contento a spremere qualche votuccio o almeno simpatia dai cattolici integralisti, e Franceschini il democristiano spento parla solo, pro domo sua, degli immigrati che tanto vanno bene a tutti i cattolici, su questa vicenda tutti zitti. Guai: si potrebbe perdere anche un votuccio di qualche seminarista. Della destra non mi stupisco, anche se mi offende essere considerato uno che deve attenersi alle logiche di Gasparri; rimango umiliato di questa pseudo-sinistra, per la quale è bene che non votare mai più.

http://www.kliggmagazine.com/?p=1228
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Adesso accoltellate anche questo blog

"Non ho nulla contro i gay, anzi ho molti amici omosessuali, ma quelli mi hanno provocato." (Svastichella, agosto 2009).

Un capolavoro. Un perfetto concentrato di tutto il pensiero omofobo del vero machofascio. Il senso è: ho tanti amici gay purchè non siano troppo carini, altrimenti magari mi eccito e quindi, lo capite, sono loro a provocarmi.
Anche stasera in fondo si parla di deresponsabilizzazione e scaricabarile.

A parte tutte le motivazioni di moralità, di difesa di una cosiddetta "normalità", la violenza omofoba e soprattutto quella apparentemente irrazionale, nasce solo dalla paura di essere a nostra volta omosessuali. Essere gay è ancora una cosa orrenda, in questa (in)cultura dominante color marrone dove, per esempio, i cantanti e gli attori di successo accettano la misera pantomima mediatica con la provvidenziale ragazza-copertura per non dover ammettere che amano altri uomini e solo pochi hanno il coraggio di "venire fuori" senza problemi.
Bisogna nascondersi perchè mostrare il proprio orientamento sessuale in pubblico è offensivo ma solo se si è omosessuali.

L'omofobia è frutto dell'inconoscenza e dell'angoscia. Grazie come sempre alla fenomenale ignoranza sessuale nella quale siamo conservati fin da piccoli, come esseri mostruosi in formalina, non ci rendiamo conto di una cosa molto semplice.
Si può essere perfettamente eterosessuali, andare regolarmente fuori di testa alla presenza di un appetitosissimo esponente del sesso opposto e ritrovarsi una sera a fare una fantasia erotica su una persona del nostro stesso sesso. Oddìo, che mi succede? Niente, non succede niente. E' la straordinaria capacità che abbiamo di cercare sempre nuove varianti alla routine sessuale.

Per troppi, invece, scoprirsi "tendenze", pensieri, improvvise attrazioni omosessuali è più scioccante che scoprirsi un melanoma maligno perchè pensano sia l'inizio di una malattia che li porterà inevitabilmente a cadere in un abisso di vergogna e depravazione. senza ritorno.
Come se alcuni esponenti della mitologia eterosessuale e campioni di utilizzo finale di esponenti del sesso opposto non fossero monumenti alla perversione ed alla degradazione propria e di chi si accompagna a loro.
Una volta raggiunta una ben riconoscibile identità sessuale (etero o omo) può insomma capitare qualche deviazione e se ciò capitasse non c'è alcun bisogno di andare in giro ad accoltellare le fonti della tentazione.
Per evitare tragedie irrimediabili sarebbe sufficiente insegnare alle persone a gestire senza angoscia eventuali pulsioni contrarie all'orientamento sessuale dominante. A considerarle normali espressioni della nostra sessualità, sia che si limitino al campo delle fantasie, sia che si realizzino in esperienze concrete.

Anche agli omosessuali infatti capita la stessa cosa, di fare cioè fantasie etero. Andiamo, a noi ragazze non è mai capitato un ragazzo gay che ci facesse il filo e anche qualcosa di più? Non risulta però che avvengano così sovente accoltellamenti di donne da parte di orsi o leathers improvvisamente eccitati da un'autoreggente agganciata ad una coscia irrimediabilmente femmina. Il vero maschio normale invece si sente in diritto di eliminare la tentazione con la violenza.

In un bellissimo film di dieci anni fa, "American Beauty", il protagonista viene ucciso in maniera apparentemente inspiegabile dal vicino di casa, un rude colonnello dei marines ossessionato più dal dubbio che il figlio sia gay che dalla certezza che sia tossicodipendente e spacciatore. In una delle scene chiave del film scopriamo come l'ossessione omofoba del marine derivi niente altro che da una propria irrisolta pulsione omosessuale. Il pensiero di essere eccitato dal vicino di casa fino a perdere ogni controllo, fargli delle avances ed esserne gentilmente ma fermamente respinto è qualcosa che non si può tollerare. Mi ecciti ed io ti uccido così ucciderò forse anche la mia debolezza, quel tratto della mia personalità che così poco si accompagna all'essere un campione di virilità: marine, machoman o fascista.

fonte: http://ilblogdilameduck.blogspot.com/2009/08/adesso-accoltellate-anche-questo-blog.html
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Imbarazzi di governo

Rita Pani (APOLIDE)

“Anche se non siamo in periodo di campagna elettorale, il pluralismo alla Rai è sacro e se nello spot di un film si ravvisa un critica ad una parte politica ci vuole un immediato contraddittorio e dunque deve essere seguito dal messaggio di un film di segno opposto.”

E il problema è sempre il solito: sentirsi colpevoli per trovare esilarante una dichiarazione ufficiale. In questo caso si tratta della RAI, televisione di stato che ogni anno estorce il pizzo ai cittadini, che non possono rifiutarsi di pagare anche se da anni hanno scelto di NON guardare le loro trasmissioni. La dichiarazione è inerente la censura e l’oscuramento del film “Videocracy” che, secondo le televisioni di stato privato, sono offensivi verso il governo. La logica utilizzata per negare la pubblicità al film, è sempre quella utilizzata anche in periodi di campagna elettorale: memorabile la richiesta (e, porca puttana, ottenuta) trasmissione riparatrice dopo che Report, dell’ottima Gabanelli, aveva parlato di mafia.

Insomma, che sia TV o che sia Mafia, il governo non può essere messo in imbarazzo in televisione, e soprattutto in televisione non si può dire che proprio quella scatola, l’elettrodomestico addomesticatore, ha definitivamente ucciso la democrazia italiana.

Per fortuna che abbiamo Internet ancora poco controllato da questo governo incapace, che nella Rete si sbertuccia da solo. In due giorni due casi eclatanti di leghisti imbecilli. Uno giocava a rimbalza il clandestino, e l’altro (deputato della Repubblica Italiana) che si dichiarava amico di un gruppo su Facebook che aveva per manifesto una scritta d’odio razziale.

Evidentemente, questi cavernicoli dall’elmetto cornuto non mettono abbastanza in imbarazzo il premier maniaco sessuale in odore di pedofilia, e, una volta smascherati pensano sia sufficiente pagare qualche scagnozzo per commentare sui giornali (su questo blog non ci provate nemmeno) che la pagina non esiste e che il deputato padano, infiltrato a Roma, è innocente. Persino quando lo stesso ammette d’essersi cancellato ["L'amicizia su Facebook si dà in buona fede a centinaia di soggetti ogni giorno e non si può in alcun modo essere responsabili delle condotte altrui"]

Ma guarda un po’. E’ stato truffato? Poveretto, che pena!

No, su Internet non funziona così, l’informazione potrà anche iniziare ad essere meno libera, grazie alle leggi di questo governo fascista, ma ha la libertà di circolare, e circola in velocità. Quindi se siete ancora di quelli convinti che dalla televisione possiate avere quanto vi basta a non sapere, e a non sentire, fare uno sforzo e guardate il trailer del film. Comprenderete quanta poca democrazia c’è rimasta in Italia, se è bastato così poco per negarvene la visione.

Videocracy Trailer


fonte: http://guevina.blog.espresso.repubblica.it/resistenza/2009/08/imbarazzi-di-governo.html

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giovedì 27 agosto 2009

Maurizio Belpietro: vaffanculo!

Dopo il tour in macchina in giro per l’Italia mi sono fermato a San Remo per qualche giorno, dove al mattino do una passata ai principali giornali che gli italiani comprano. Ogni giorno ne leggo di cotte e di crude. Ci vorrebbero 4 o 5 post quotidiani per sburgiardare le volgari cortigianerie che trovano spazio in prima pagina. Soprattutto su Libero e il Giornale. Gli editoriali dei neodirettori “la vendetta” Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro sono tributi di pornografia mascherata di saggistica. E’ davvero un pugno allo stomaco leggere Feltri che si definisce “libero giornalista senza condizionamenti e non cortigiano di Berlusconi“. Salvo poi mandare alle rotative a caratteri cubitali che “Berlusconi è censurato in Rai“ e altre fesserie peggiori.

Anche Maurizio Belpietro se ne inventa una al giorno pur di rinvigorire le vendite dell’house organ di Sforza Italia. Non solo la saga sul presunto tesoretto estero degli Agnelli. Recentemente ha bollato gli investimenti in opere pubbliche pianificate dal governo Prodi per il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia “sprechi“, comprendendo la pista ciclabile del ponente ligure. Una delle poche opere utili alla sicurezza stradale realizzate finora in Liguria, che ha riqualificato una ferrovia dismessa dove fino a pochi anni fa regnavano incuria, degrado e discariche a cielo aperto.
Belpietro evidentemente quella pista ciclabile non l’ha mai vista. Ci venga a fare una pedalata! e mentre ammira il mar Ligure pensi a un editoriale da prima pagina su Libero in cui trattare i soldi che il suo editore presidente del Consiglio ha regalato alla mafia di Catania e a quella palermitana di Lombardo. Col beneplacito della Lega corrotta. Quelli sì che sono soldi sprecati! Un po’ come i 6 milioni e mezzo annui che ”Libero” incassa dal fondo dell’editoria per essere voce di un movimento inesistente come il partito monarchico. Fondi di cui Belpietro beneficia con lauto ingaggio e codazzo di stipendio.

Io su quella pista ciclabile del ponente ligure ci ho fatto un giro. Ne ho apprezzato la bellezza e l’utilità, sia per i turisti che per gli abitanti. Soldi spesi molto meglio che regalarli alla mafia siciliana amica di Berlusconi, Scapagnini e Dell’Utri. Perciò invito Maurizio Belpietro a fanculo.

Daniele Martinelli

fonte: http://www.danielemartinelli.it/2009/08/26/maurizio-belpietro-vaffanculo/
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Festa democratica: cazzeggio bipartisan al rosolio

di Pierfranco Pellizzetti

Alla Festa Democratica Nazionale, la figlia anoressica di antiche kermesse de l’Unità in programma a Genova dal 22 agosto, si annunciava una bella overdose di confronti bipartisan. Sembra – invece - che gli invitati governativi si piegheranno al diktat del ministro Ignazio La Russa con cui li incita a disertare l’appuntamento per le colpe degli organizzatori, presunti rei di lesa maestà berlusconiana (che curriculum quello dell’Ignazio: da paninaro sanbabilino a gran ciambellano di corte!).
Vada come vada, intanto il calendario dei dibattiti è stato reso pubblico e subito sorge un dubbio: i programmatori “democratici” che hanno scelto i temi della parata che porta il titolo “Le parole della democrazia”, che idee si sono fatte dell’argomento?
Tra una “sicurezza” e un “Nord”, si direbbe proprio che il loro vocabolario sia stato largamente copiato da quello degli avversari. A ennesima riprova di quel vassallaggio psicologico, di quella sottomissione culturale che condanna il maggiore partito d’opposizione rimasto ancora sul terreno alla scimmiottatura maldestra, prima ancora che all’inseguimento ininterrotto.
Se così non fosse, i neofiti della democrazia avrebbero indicato ben altri terreni di confronto, certo più coerenti con i principi a cui dichiarano di ispirarsi. Che ne so: controllo (del Potere), alternanza, partecipazione/deliberazione, consenso sociale… Magari quell’integrazione europea che ormai risulta desaparecida.
Invece, proprio dall’impostazione generale che è stata data alla discussione, è facile prevedere il solito, flebile e imbarazzante tentativo di farsi accreditare proprio dall’avversario come omologhi, soltanto un po’ più light. Ma con la medesima agenda. Per cui il governatore “democratico” della Regione Liguria può impancarsi ad antemarcia di quella pagliacciata del dialetto nelle scuole; per cui non si sentono voci ufficiali che protestino per quella pericolosa ridicolaggine degli alpini in ronda per Genova. Che sta indignando un popolo genericamente democratico. Come l’altra settimana dalle parti di Porto Antico, di fronte all’Acquario, quando una pattuglia ferma un ragazzo di colore che non dava fastidio a nessuno, gli fanno esibire i documenti (che sono in regola) e con cui iniziano a parlottare concitatamente; si presume per ragioni dimostrative (e l’immigrato parla un italiano molto più corretto di quelli che lo stanno tampinando). A un certo punto il militare dalla piumetta sul cappello estrae il manganello con fare minaccioso, probabilmente sicuro del consenso da parte del capannello di cittadini che si stava raccogliendo attorno. Ma la reazione è contraria: belìn, ma cosa fai… e lasciatelo in pace… Il vigilante sceso dalle valli capisce che non è aria e ripone l’attrezzo. Ma cosa avverrà quando il civico presidio non sarà lì a impedire gli eccessi?
Insomma, ci stiamo incamminando a grandi passi lungo una china molto scivolosa, spinti da paure create artificialmente e demagogie da quattro soldi, che vellicano e accreditano mediaticamente i peggiori istinti un tempo repressi.
Il punto di arrivo è qualcosa di ancora indefinibile ma – comunque – risulta l’esatto contrario della democrazia.
Mentre questa deriva è sotto gli occhi di tutti (o – almeno – di chi vuol vedere), che fanno i nostri adorabili democratici? Ci rifilano questo rosolio di luoghi comuni, che – tuttavia – ha un effetto collaterale devastante: li accredita come unico pensiero pensabile per quanto riguarda il governo politico della nostra società.
Vale la pena di ricordare a questa combriccola di cazzeggiatori che Democrazia è regolazione del conflitto, istituzionalizzazione della protesta e discorso pubblico sulle strategie condivise per costruire il futuro? Aggregazione politica di istanze sociali?
E chissenefrega del placet di La Russa o della defezione di Carfagna.

fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/festa-democratica-cazzeggio-bipartisan-al-rosolio/
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Il buco nero nella bella Napoli

In agosto molte persone che conosco cercano di prendere una pausa dalle questioni più impegnative. Meglio rimandare a settembre, dicono. Io ho la netta convinzione che non serva a niente, e sotto il sole d’agosto ho deciso di prendere il treno verso una città che adoro: la bella Napoli (era anche il nome della mia pasticceria preferita in corso Vittorio Emanuele, a Roma, finché il locale non ha lasciato il posto all’ennesima filiale di una banca).

Preferiamo rimandare a settembre. Come se certe questioni avessero una scadenza stagionale. La criminalità organizzata, per esempio, non va in ferie. Ci pensavo mentre fantasticavo sul vassoio di sfogliatelle ricce che mi preparava ogni domenica la mia amica romena, commessa alla Bella Napoli.

Seguendo la scia fragrante e miracolosa delle sfogliatelle, come la madeleine di Proust, sono arrivata alla mostra fotografica Gomorra on set, al Palazzo delle arti. Se l’asfalto di Napoli è incandescente, ancora di più bruciano gli scatti di Mario Spada, che a settembre pubblicherà un libro con la casa editrice Postcart.

Mi hanno colpito alcune parole che accompagnano gli scatti di Spada: “Gomorra vista dal nord è un buco nero. Comodo, pratico, conveniente. Perché dentro un buco nero ci puoi buttare di tutto: puoi infilarci quello che il nord non vuole più vedere, non vuole più mangiare e soprattutto non vuole più respirare”. Tanto nel buco nero nessuno si lamenta, nessuno viene a chiederti il conto.

Ecco forse perché qualcuno ha pensato che le questioni dell’immigrazione clandestina e della criminalità organizzata possano essere “impacchettate” in una sola legge sulla sicurezza. Insieme, come un vassoio di babà e di sfogliatelle.

Ero da sola alla mostra, unica ospite della giornata. Salvatore, un mio amico napoletano, ha cercato di convincermi che per lui non era il caso di entrare. “Tu sei straniera”, mi ha detto. “Per te è diverso”.

La normalità e la paura
Tra le foto mi rimangono in mente quelle di palloni gonfiati da bambini seminudi nei quartieri controllati dalle cosche criminali. Sono scatti simili a quelli raccolti nel libro Zadar 1991. La guerra all’improvviso del fotografo croato Robert Marnika, che cercava la normalità dietro l’orrore e la paura. Dentro di sé si cerca sempre la normalità. Anche queste cartoline napoletane sono frammenti di un ordine assurdo: i campi coltivati vicino alla spazzatura, i bambini con le armi, le donne con l’immagine di padre Pio e i vestiti firmati che sbucano come le macchie di una società che tutto converte in vite di scarto.

Cerco di far capire al mio amico perché debba vedere la mostra. Non ci riesco. “Ma guarda te”, mi bisbiglia, “una croata che vuole a tutti i costi farmi vedere una mostra sulla camorra”. Il libro di Roberto Saviano non l’ha letto fino alla fine, non c’è l’ha fatta, confessa. Gli dico che sono in tanti a dirmi la stessa cosa, ma non importa. I libri non scadono, mica sono sfogliatelle. Poi mi è venuto in mente che il mio Salvatore potrebbe diventare l’eroe di un libro non scritto, dal titolo Leggere Gomorra a Napoli.

Il motto di Salvatore, napoletano doc, è che la migliore pasticceria è quella che non conosci. Ecco, forse la vera natura di questa città è proprio come i dolci che cerca Salvatore. Quelli che ti vengono offerti.

Siamo finiti nel suo quartiere, a Soccavo, nel rione Traiano. La pasticceria è un appartamento di due stanze: in una ci vivono, l’altra è un laboratorio artigianale. Il vassoio me lo prepara una ragazza ucraina e me lo passa dalla finestra. Che coincidenza, ho pensato.

Sarah Zuhra Lukanic

(Sarah Zuhra Lukanic è una scrittrice nata in Croazia nel 1960. Vive a Roma dal 1987)

Fonte: http://www.internazionale.it/home/?p=5594
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Sempre Libero

Vi invitano a partecipare il 29 agosto alle iniziative in ricordo di Libero Grassi. L'imprenditore che nel 1991, da solo, ebbe il coraggio di denunciare il sistema delle estorsioni mafiose, oggi sarebbe affiancato da decine di colleghi che insieme si sono finalmente liberati dal pizzo e da migliaia di cittadini che lo incoraggerebbero e appoggerebbero la sua scelta.
NON MANCARE!

ORE 8.45— VIA ALFIERI—commemorazione Libero Grassi
Anche quest’anno, vi invitiamo a portare un fiore da adagiare in via Alfieri, sul luogo dell’assassinio. Saranno presenti, fra gli altri, gli imprenditori e i negozianti che l’anno scorso hanno rotto il muro dell’omertà e che oggi si sono finalmente liberati dal pizzo.
Alle 10.00 il Sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano e il Commissario Antiracket Giosuè Marino saranno accompagnati per una passeggiata al Centro Storico per incontrare i commercianti aderenti al consumo critico Addiopizzo.

ORE 16.00— PIAZZA UNITÀ D’ITALIA—pedalata "Sempre Libero"
Come l’anno scorso, in bicicletta lungo un percorso di simbolico riscatto dalla mafia: dal luogo in cui fu ucciso Libero Grassi a Mondello e ritorno, attraverso i quartieri della svolta contro il pizzo e dei nuovi fermenti antimafia, per portare sostegno a coloro che continuano faticosamente a non piegarsi, nonostante le intimidazioni.

ORE 21.00— CENTRO AL BAB—PIAZZA XIII VITTIME—Serata a sostegno de "I Siciliani"
Presso Al Bab (Centro d’informazione e accoglienza turistica), l’attore Claudio Gioé leggerà brani da "I Siciliani", il giornale fondato da Pippo Fava. Addiopizzo lancia un appello a sostegno della cooperativa RADAR, editrice della testata fondata dal cronista ucciso dalla mafia nel 1984.
FONTE

Troppe risorse a fiction depistanti che non centrano il vero bersaglio

di Roberto Scarpinato

L'intervento integrale del procuratore aggiunto di Palermo

Se provate a chiedere a un fruitore medio di fiction e di film sulla mafia che idea si sia fatto della stessa, vi sentirete sciorinare i nomi dei soliti noti: Riina, Provenzano, i casalesi e via elencando.

Sentirete evocare frammenti di una storia di bassa macelleria criminale, intessuta di omicidi, cadaveri sciolti nell’acido, estorsioni, traffici di stupefacenti, di cui sono esclusivi protagonisti personaggi di questa risma: gente che viene dalla campagna o dai quartieri degradati delle città, e che si esprime in un italiano approssimativo. Una storia di brutti sporchi e cattivi, e sullo sfondo la complicità di qualche colletto bianco, di qualche pecora nera appartenente al mondo della gente “normale”. Ma, del resto, in quale famiglia non esiste qualche pecora nera? Se dunque la mafia è solo quella rappresentata (tranne qualche eccezione) da fiction e film, è evidente che il fruitore medio tragga la conclusione che la soluzione del problema consista nel mettere in carcere quanti più brutti sporchi e cattivi, e nel fare appello alla buona volontà di tutti i cittadini onesti perché collaborino con lo sforzo indefesso delle forze di polizia e della magistratura per estirpare la mala pianta. Questo, con le dovute varianti, il pastone culturale ammannito da fiction e film di conserva con la retorica ufficiale televisiva, e metabolizzato dall’immaginario collettivo. Un pastone che non fornisce le chiavi per dare risposta ad alcune domande elementari. Ad esempio come mai, tenuto conto che le cose sono così semplici, lo Stato italiano è riuscito a debellare il banditismo, il terrorismo e tante altre forme di criminalità, ma si rivela impotente dinanzi alla mafia che dall’unità d’Italia a oggi continua a imperversare in gran parte del Paese?

Come mai parlamenti, consigli regionali e comunali, organi di governo e di sottogoverno sono affollati di pregiudicati o inquisiti per mafia, tanto da insinuare il dubbio che quel che combattiamo fuori di noi sia dentro di noi? Come mai, oggi come ieri, tra i capi organici della mafia vi è uno stuolo di famosi medici, avvocati, professionisti, imprenditori, molti dei quali già condannati con sentenze definitive? Come mai commercianti e imprenditori a Palermo, a Napoli, in Calabria continuano a pagare in massa il pizzo e, a differenza del fruitore medio, non si bevono la buona novella che la mafia è alle corde? Come mai i vertici di Confindustria lanciano tuoni e fulmini contro i piccoli commercianti che non hanno il coraggio di denunciare gli estorsori, minacciandoli di espellerli dall’organizzazione, ma vengono colti da improvvisa afasia quando si chiede loro perché intanto non comincino a prendere posizione nei confronti delle centinaia di imprenditori, inquisiti o già condannati, che hanno azzerato la libera concorrenza e costruito posizioni di oligopolio utilizzando il metodo mafioso? Ecco, quando a un fruitore medio ponete queste e altre domande, lo vedrete annaspare cercando vanamente possibili risposte nell’infinita massa di fotogrammi, immagini e battute stipate nelle sue sinapsi, dopo centinaia di ore trascorse a vedere fiction e film che raccontano le note storie di brutti sporchi e cattivi. Mentre sceneggiatori continuano a proiettare catarticamente il male di mafia sul monstrum (colui che viene messo in mostra) - Riina, Provenzano, Messina Denaro, i casalesi - elevato a icona totalizzante della negatività, centinaia di processi celebrati in questi ultimi quindici anni hanno raccontato un’altra storia della mafia, sacramentata da sentenze passate in giudicato, che fornisce risposte illuminanti a molte delle domande di cui sopra. Un’altra storia intessuta di centinaia di delitti, di stragi di mafia decise in interni borghesi da persone come noi, che hanno fatto le nostre stesse scuole, frequentano i nostri stessi salotti, pregano il nostro stesso Dio... Un’altra storia che ha dimostrato come la città dell’ombra - quella degli assassini - e la città della luce, abitata dalle “persone perbene”, non siano affatto separate ma comunichino attraverso mille vie segrete, tanto da rivelarsi come due facce dello stesso mondo. Un’altra storia che racconta l’osceno di questo Paese, quel che è avvenuto ob scenum, mettendo a nudo un fuori scena affollato di una moltitudine di sepolcri imbiancati che hanno armato la mano dei killer o li hanno protetti con il loro silenzio complice.

Che racconta come gli assassini arrivino sulla scena per buon ultimi, quando i sepolcri imbiancati hanno fallito nel fuori scena tutti i tentativi necessari per convincere la vittima ad ascoltare, per il suo bene e quello della sua famiglia, i consigli degli amici, sicché, come sono solite fare le persone istruite e timorose di Dio, allargando sconsolati le braccia ripetono: “Dio sa che è lui che ha voluto farsi uccidere...”. Centinaia di processi che costringono a rileggere la storia della mafia non più come una storia altra, che non ci appartiene e non ci chiama in causa, ma piuttosto come un terribile e irrisolto affare di famiglia, interno a una classe dirigente nazionale tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale, la cui criminalità si è estrinsecata nel corso dei secoli in tre forme: lo stragismo e l’omicidio politico, la corruzione sistemica e la mafia. Tre forme criminali che essendo espressione del potere sono accomunate non a caso da un unico comun denominatore, che è il crisma stesso del potere: l’eterna impunità garantita ai mandanti eccellenti di stragi e omicidi politici e ai principali protagonisti delle vicende corruttive. Una storia-matrioska nel cui ventre si celano centinaia di storie accertate con sentenze definitive, che sembrano fatte apposta per la felicità di qualsiasi sceneggiatore e regista che volesse prendersi la briga di narrarle. Vogliamo provare a raccontarne solo una tra le tante? C’era una volta..., anzi... mi correggo. Ci fu per una volta, e per un breve periodo, in un’isola di assolata e bruciante bellezza, un Presidente della Regione che si chiamava Piersanti Mattarella, notabile democristiano figlio di un ex Ministro, il quale si era messo in testa di cambiare il corso delle cose e di moralizzare la vita pubblica. Iniziò quindi a promuovere leggi per controllare il modo in cui erano spesi i soldi della collettività, e a disporre ispezioni straordinarie per accertare come venivano assegnati gli appalti pubblici. Gli amici gli consigliavano di lasciar perdere, ma lui non recedeva dai suoi propositi. Lentamente, giorno dopo giorno, cominciò a trovarsi sempre più solo. Frequentarlo significava rischiare di restare impigliati dentro la «camera della morte». Così viene chiamata in Sicilia l’enorme e invisibile rete costruita sott’acqua per imprigionare i tonni, che, quando riemergono in superficie dal fondo della rete, si trovano circondati dalle barche disposte in cerchio e vengono finiti a colpi di arpione nel corso delle mattanze: bagni di sangue che evocano antichi rituali sacrificali dove vita e morte si confondono, giacché l’una si nutre dell’altra. Quando Mattarella percepì attraverso il linguaggio mutigno dei gesti degli “amici” - i loro sguardi costernati, i loro silenzi imbarazzati - che il rullo dei tamburi di morte si faceva sempre più vicino, tentò di salvarsi la vita chiedendo aiuto a Roma ad alcuni vertici del suo partito e al Ministro degli Interni. Al ritorno dalla sua trasferta romana, confidò alla sua segretaria che se gli fosse accaduto qualcosa la causa sarebbe stata da ricercarsi in quel viaggio romano. Mentre Mattarella volava a Roma, un altro aereo si alzava segretamente in volo dalla Capitale verso la Sicilia.

A bordo si trovava uno degli uomini più potenti del Paese, personificazione stessa del potere statale: Giulio Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio, ventidue volte Ministro. Dove andava Andreotti in gran segreto? Partecipava a un incontro con i capi della mafia militare e quelli della mafia dei colletti bianchi: l’onorevole Salvo Lima e i cugini Nino e Ignazio Salvo. In quel qualificato consesso si discuteva del “problema Mattarella”, quel democristiano anomalo che si ostinava a non ascoltare i buoni consigli degli “amici” e stava compromettendo gli interessi del sistema di potere mafioso. Il 6 gennaio 1980, Mattarella fu ucciso sotto casa da un commando mafioso. Giulio Andreotti tornò segretamente in Sicilia e all’interno di una villa incontrò alcuni dei mafiosi assassini di Mattarella che, com’è sacramentato in una sentenza definitiva della Repubblica italiana, avrebbe coperto con il suo silenzio complice per il resto dei suoi giorni, garantendo così la loro impunità e alimentando il senso di onnipotenza della mafia ¹. Che ve ne pare? Non vi sembra una storia inventata apposta per un film? Se, come diceva Hegel, il demonio si nasconde nel dettaglio, nel dettaglio di questa storia è leggibile il segreto dell’irredimibilità e della dimensione macropolitica del problema mafia, al di là delle imposture e dei depistaggi alimentati dal sapere ufficiale che lo spaccia come quella vicenda di bassa macelleria criminale di cui dicevo all’inizio. Di storie simili se ne potrebbero raccontare per mille e una notte. Sono tutte racchiuse in un enorme giacimento a cielo aperto a disposizione di chiunque: le pagine dei tanti processi che con un tributo altissimo di sangue hanno per la prima volta in Italia portato sul banco degli imputati non solo i soliti brutti sporchi e cattivi, i bravi di Don Rodrigo, ma anche il “Principe” di cui essi sono stati instrumentum regni e scoria, e senza la cui protezione e complicità sarebbero stati da tempo spazzati via. Un album di famiglia di “intoccabili”, che nel loro insieme ricompongono il segreto ritratto di Dorian Gray di una componente irredimibile della nostra classe dirigente: ministri, capi dei servizi segreti, vertici di polizia, parlamentari, alti magistrati, alti prelati, banchieri, uomini a capo di imperi economici. Storie scomode perché chiamano in causa responsabilità collettive, costringono a interrogarsi sull’identità culturale del Paese e sul passato e sul futuro... o sulla mancanza di futuro di un’Italia ancora troppo immatura per fare i conti con la propria storia e verità, e quindi condannata a vivere all’interno di una tragedia inceppata, destinata ciclicamente a ripetersi, pur nelle sue varianti storiche. Storie scomode che dimostrano quanto sia fuori dalla realtà continuare a raccontare il come e il perché della mafia come una sorta di opera dei pupi dove vengono messi in scena solo eroi solitari - Orlando e Rinaldo - che guerreggiano contro turpi saraceni: Riina, Provenzano, ecc. Dinanzi a tutto ciò, come spiegare il silenzio, la distrazione - che talora sembrano sconfinare nell’omertà culturale - di tanti sceneggiatori e registi? Induce a riflettere come tale omertà appaia perfettamente speculare a quella che caratterizza il discorso pubblico sulla mafia e sulla criminalità del potere, e come l’una e l’altra celino sotto il velo della retorica le piaghe della nazione.

Che pensare dinanzi a tante pellicole che, pure di ottima fattura, si rivelano tuttavia depistanti nel loro raccontare un universo mafioso quasi completamente decorrelato nella sua genesi e nelle sue dinamiche dal sistema di potere di cui è espressione e sottoprodotto? L’equivalente di raccontare la storia dei bravi di manzoniana memoria come un sottomondo autorefenziale, tagliando il cordone ombelicale con il sopramondo dei Don Rodrigo. L’equivalente di raccontare il Fascismo ascrivendone la responsabilità solo a un manipolo di esaltati gerarchi, e non già come l’autobiografia di una nazione. La storia di questo Paese ricorda a tratti quella di certe famiglie che nel salotto buono mettono in bella mostra per gli ospiti le glorie e il decoro della casata, e nello scantinato nascondono la stanza di Barbablù che gronda sangue. È lecito dubitare che la rimozione, alla quale ho accennato, sia solo frutto di distrazione o sottovalutazione? Si può ipotizzare che costituisca la “fisiologica” declinazione dell’essere la mafia una delle forme in cui si è storicamente manifestata la criminalità del potere in Italia? Il cardinale Mazzarino, gesuita di origine italiana, consigliere del Re di Francia Luigi XIV, soleva ripetere: «Il trono si conquista con le spade e i cannoni, ma si conserva con i dogmi e le superstizioni». Questa massima riassume in modo magistrale l’esigenza di condizionare la costruzione del sapere sociale in modo da impedire al popolo di comprendere i segreti della macchina del potere, tra i quali i suoi crimini. Proprio per questo motivo, da sempre il sistema di potere ha falsificato il sapere sociale sulla mafia. Prima per decenni ne ha negato ostinatamente l’esistenza, poi, sino alla metà degli anni Ottanta, l’ha banalizzata a mera criminalità comune e, infine, dopo le stragi del 1992 e 1993, ha giocato la carta - sinora vincente - di ridurla a una storia di “mostri”, di orchi cattivi... Poiché, dunque, il sapere sociale non è mai innocente, viene da chiedersi sino a che punto la rimozione e l’adulterazione che caratterizza la rappresentazione filmica della mafia sia condizionata non solo dalle autocensure di chi ritiene sconveniente raccontare storie sgradite al potere, ma anche da un sistema che orienta la produzione, canalizzando le risorse solo sui film e le fiction “innocui” o, peggio, depistanti nel senso che contribuiscono a cristallizzare nell’immaginario collettivo i dogmi e le superstizioni tanto cari ai Mazzarino di ieri e a quelli di oggi. Comunque sia, quel che accade - o meglio che non accade - chiama in causa la responsabilità di tutti coloro che lavorano nel mondo delle fiction e del cinema.

C’è una storia collettiva che attende ancora di essere raccontata e salvata dall’oblio organizzato, per restituire al Paese la sua verità e aiutarlo a divenire adulto. Portarla alla luce in tanti processi è costato un altissimo prezzo: alcuni sono stati assassinati, altri - magistrati, poliziotti, semplici testimoni - segnati per il resto della vita. Ora tocca a qualcun altro fare la sua parte. E se ciò non dovesse avvenire, tra qualche anno dovremmo purtroppo fare nostra l’amara considerazione di Martin Luther King: «Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici». ¹ Nella motivazione della sentenza n. 1564 del 2.5.2003 della Corte di Appello di Palermo nel processo a carico di Andreotti, confermata definitivamente in Cassazione, si legge: «E i fatti che la Corte ha ritenuto provati dicono, comunque, al di là dell’opinione che si voglia coltivare sulla configurabilità nella fattispecie del reato di associazione per delinquere, che il sen. Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi; ha loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, a ottenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio del Presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; ha omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del Presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza».
27 agosto 2009

fonte: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18894/78/
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