mercoledì 2 settembre 2009

Gheddafi è grande e Silvio è il suo profeta

Non è colpa mia. E’ difficile non parlare di lui e da un po’ stiamo cercando di girarci attorno, ammiccare e tacitare sulle sue felicissime trovate, neanche i migliori dei Veltroni. Ma dal cilindro di questa torbida estate non poteva che venirne fuori fango, e di quelli d’autore, autografi e ologrammati. I tasselli s’accavallano e si depositano come pietre lanciate nelle acque gonfie, quelle lontane. E vanno a sedimentare sul fondale, a costruire la base sulla quale, a settembre, lui cercherà di camminare, spacciandolo come miracolo da passeggiata a fil di mare.

Attacchi neanche più celati alla stampa, italiana e non, tentativo d’acquisizione di testate invise, furori da “squadra rimpiattini pesanti” nelle fila delle sue brigate penna-munite, sempre più bombarole. Interviste in Africa, aperte al cuore umanitario del mondo (imperdibile: guardare e inorridire, complimenti a Daniele Sensi). Le cene mancate, la causa dei dinieghi, i barconi da rovesciare, quel birichino di Bossi al quale strizzare le palle prima che sia lui stesso a smentire la tesi androgeriatrica del Feltri migliore.

E la Libia, una credibilità mondiale lasciata sul lettone di Putin - e purtroppo solo sul lettone, come se armadi e scheletri fossero nascosti bene anche “in trasferta”, un dittatorello africano o russo che sia da assecondare, un dietro le quinte al sapore d’agrumi, recitato in siciliano, il mirino dietro la schiena e troppe dita che s’accavallano sul grilletto. E arriveranno le conquiste laiche da svilire, le pratiche contronatura da vessare, alcuni piacevoli regali per oltretevere e oltretomba. E i presentini alla famiglia, quella di cui non ci si deve scordare mai (che quella mica si scorda).

Ora, la crisi con l’Ue, nulla di nuovo. Il metodo ora è la minaccia, come ridurre il mondo ad un antagonista da afferrare per il cravattino. E non capire che è il mondo a chiedresi cosa lui voglia. Mai un governo italiano ha avuto rapporti peggiori con gli organismi sovranazionali, bersagliati come sono con cadenza quasi quotidiana. Si dorme si canta e si consulta il traffico: ma questa è roba da prove tecniche. Prove tecniche di regime, si diceva. Ebbene, la crisi diplomatica internazionale è spesso il primo passo, le mani scevre dalla fuffa burocratese e buonista, Ginevra, Bruxelles o Strasburgo che sia. Quantomeno, il preludio a un governo disatroso, disumano: alla Bush.

Stampa del mondo d’ogni ideale paragona ormai questo orco da incubo insonne a un Chavez non più ridicolo, quanto mai pericoloso. Il paziente con la tosse grassa e preoccupante, di quella preoccupazione rivolta al contagio più che alla salute del degente. Sarebbe interessante – giuro – seguire il flusso di parole, strette di mano e denaro tra Italia e Libia. I bisbigli e le compresenze. E magari reagire con sorpresa al set che ti presenta il conto, che reclama il posto sul palco, la sceneggiatura che si ritorce, speculare, al bianco che diventa nero. A me – e ormai non solo, e non solo da noi – non farebbe specie apprendere che la lotta al terrorismo a breve includerà il nostro pericoloso paese.

U’


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http://lottantanove.wordpress.com/2009/09/01/gheddafi-e-grande-e-silvio-e-il-suo-profeta/
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