La creazione di una così detta banca per il Mezzogiorno, voluta dal ministro dell’Economia, genera molti dubbi sia sulle modalità di realizzazione che sull’utilità di un simile ente.
UN PROGETTO GENERICOLe perplessità sono inevitabili data la genericità del progetto che non fornisce sufficienti indicazioni su alcuni aspetti basilari. Non è dato sapere quale sarà il ruolo delle poste italiane, ovvero di un ente partecipato che gestisce in monopolio un servizio pubblico, e la cui presenza, al di là della partecipazione diretta del Tesoro, determinerà l’effettivo peso della componente pubblica nella futura banca. Altrettanto poco si sa sugli altri componenti della compagine sociale e, quindi, sulla governance: si sa solo che dovrebbero partecipare agli assetti proprietari banche operanti sul territorio, imprenditori e società para-pubbliche, mentre lo Stato dovrebbe operare come promotore in qualità di temporaneo azionista di minoranza.
Generici appaiono anche gli obiettivi, che sarebbero il finanziamento degli investimenti e delle infrastrutture oltre al credito per le Pmi nel Sud. Indefinito è il ruolo effettivo che dovrebbero avere gli sportelli delle banche cooperative e gli uffici postali, stante il fatto che l’istituenda banca dovrebbe operare senza sportelli propri. E va rilevato che non aiuta molto il ventilato riferimento a un modello quale il Credit Agricole, una banca nata quasi due secoli fa con finalità e modalità operative peculiari, difficilmente adattabili all’attuale realtà del nostro Mezzogiorno.
Sul piano operativo, l’azione della costituenda banca dovrebbe essere caratterizzata dall’applicazione di tassi competitivi sul mercato e dalla disponibilità di notevoli flussi di liquidità. Ma qui il discorso si sposta sull’indeterminatezza circa gli strumenti che assicurerebbero la tenuta finanziaria dell’ente, che dovrebbe essere assicurata, sostanzialmente, dall'emissione di bond con tassazione agevolata per il risparmiatore, obbligazioni a medio-lungo termine assistite da garanzia temporanea dello Stato, da finalizzare alla realizzazione di infrastrutture e agli investimenti delle Pmi. Anche qui sono tante le perplessità. In primis, il superamento dei veti dell’Unione Europea, poi l’effettiva funzionalità di tali strumenti, infine il legittimo dubbio che, senza la continuativa integrazione di risorse pubbliche, la banca non riesca a mantenere i parametri dei requisiti prudenziali vigenti, operando con una clientela che è notoriamente più rischiosa rispetto agli standard medi nazionali e in un contesto in cui la realizzazione delle infrastrutture è più lenta, rischiosa e costosa rispetto agli standard europei. Altri dubbi appaiono legittimi sulle possibilità di controllare l’effettiva finalizzazione a favore del Mezzogiorno della raccolta effettuata tramite questi strumenti. Peraltro, questa banca andrebbe a operare in ambiti e con modalità che richiedono competenze assai specialistiche, molte delle quali trascendono l’ordinaria capacità e attività delle banche di credito cooperativo o degli uffici postali che ne dovrebbero costituire la rete portante.
Ma pur ipotizzando che la banca riesca a nascere e a operare al di fuori delle vecchie logiche clientelari, che si realizzino assetti proprietari congruenti e sostenibili e che si adotti un corretto modello operativo, i dubbi maggiori riguardano la sua effettiva utilità per il Mezzogiorno.
Chi ha seguito nel tempo l’evoluzione del mercato creditizio sud-insulare ha assistito al progressivo smantellamento del sistema bancario autoctono iniziato negli anni Ottanta e completato negli anni Novanta con la totale sostituzione degli operatori locali con quelli centro-settentrionali. Diverse ricerche hanno evidenziato che i risultati in termini di miglioramento della fruibilità del credito da parte della clientela meridionale, sono stati abbastanza modesti, se non addirittura negativi. (1) Da ciò è maturata una convinzione ormai abbastanza condivisa fra gli addetti ai lavori, secondo la quale le cause dell’inadeguato funzionamento del mercato del credito meridionale sono da riconnettere a problemi inerenti la domanda di credito piuttosto che l’offerta.
La convinzione è suffragata da numerose ulteriori conferme empiriche, basti pensare ai diversi effetti che ha avuto il processo di concentrazione del sistema nelle due aree del paese: nel Centro-Nord, alla crescita dei grandi istituti, perseguita essenzialmente attraverso processi di fusione e incorporazione, ha fatto da contraltare una espansione, in termini di numero di operatori e di dimensione delle aziende, delle banche locali, caratterizzatesi sempre più come vere e proprie banche del territorio. Nulla di tutto ciò è avvenuto nel Sud, dove gli ampi spazi lasciati dalla scomparsa di centinaia di banche locali non hanno generato nessuna rilevante spinta alla costituzione o all’espansione di istituti di credito territoriali. Il risultato è stato che il pluralismo dimensionale del sistema bancario meridionale, che agli inizi degli anni Ottanta era più marcato rispetto a quello centro settentrionale, appare ora sensibilmente ridimensionato.
Ciò sembra confermare che gli squilibri si originino sul versante della domanda. E dunque la strada per fare affluire più soldi all’economia del Mezzogiorno non è quella di surrogarsi alle decisioni delle banche, ma piuttosto trovare il modo di incentivare gli investimenti imprenditoriali e aumentare, attraverso meccanismi di autocontrollo e riassicurazione, la solvibilità dei creditori.
Nel nuovo scenario dominato dalle regole prudenziali di Basilea 2 l’attenzione è concentrata sul cumulo dei rischi a carico degli operatori bancari e viene dato sempre maggiore rilievo agli intermediari in grado di attenuare la rischiosità degli affidamenti, vero problema che affligge il Mezzogiorno. Non è casuale che la nuova disciplina sui consorzi fidi preveda forti abbattimenti delle quote di patrimonio che le banche devono accantonare, laddove i crediti siano garantiti dai così detti confidi 107, ovvero quelli che rispettano determinati requisiti di operatività ed efficienza dettati dalla Banca d’Italia. Ebbene, una recente ricerca di Srm - Studi e ricerche per il Mezzogiorno evidenzia come i confidi meridionali siano molto meno efficienti rispetto a quelli centro-settentrionali e che solo un numero limitatissimo di essi riuscirà a divenire intermediario finanziario a tutti gli effetti. (2) È una grave penalizzazione che non sarà certo colmata con un operatore bancario in più.
Peraltro, il nuovo operatore bancario avrebbe natura ibrida sia sotto l’aspetto della governance, sia dal punto di vista dimensionale. Infatti non potrebbe che essere di grandi dimensioni per incidere su una realtà di venti milioni di abitanti, quale il Mezzogiorno, ma che dovrebbe operare tramite le reti di banche di piccolissima dimensione, quali sono le banche di credito cooperativo e, forse, la rete degli uffici postali, che mai hanno svolto funzioni creditizie.
In definitiva, dunque, l’unico vantaggio certo che si potrebbe avere, sempre che non ci si impantani nei vizi clientelari che hanno portato alla estinzione delle vecchie banche e casse pubbliche meridionali, può essere dato dalla strumentistica agevolata. Ma se tutto si riduce a questo perché creare una nuova struttura che corre rischi molto seri di essere solo l’ulteriore poltronificio mangiasoldi? Più semplicemente, si poteva ricorrere a un consistente incremento degli incentivi disponibili per le imprese e a una ulteriore agevolazione per i mutui destinati alla realizzazione delle opere pubbliche. E per quanto riguarda il credito, si poteva intervenire in modo più determinato sulla funzionalità del sistema dei confidi meridionali, rendendolo più efficace ed efficiente.
(1) Vedi da ultimo Giannola 2009 in Rivista Economica del Mezzogiorno e Busetta – Sacco 2008, Franco Angeli.
(2) Srm – Studi e ricerche per il mezzogiorno, “Confidi imprese e territorio: un rapporto in evoluzione. Le prospettive per il Mezzogiorno”, Giannini Editore, 2009.
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001386.html
FONTE
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