- di Nicola Tranfaglia -
Il progetto di legge parlamentare voluto direttamente da Silvio Berlusconi e trasferito dalla Camera al Senato (cioè dal primo proponente on. Abrignani al secondo senatore A. Butti), tramite il viceministro Romani, soltanto nell’intento di far prima e riuscire ad approvare la norma prima delle elezioni regionali, deve esser chiamato con il suo nome giacchè non è la riforma della par condicio televisiva ma soltanto la sua pratica distruzione. Naturalmente è necessario ricordare che il presidente del Consiglio e leader del Popolo della Libertà è presente quando e come vuole sulle reti pubbliche e private dei sette canali televisivi presenti.
L’ultima dimostrazione eloquente di una presenza strabordante e senza regole è stata la sua ventesima visita in Abruzzo per consegnare alcune abitazioni ai terremotati che è stata ripresa con oltre mezzora da Rai Uno nel pomeriggio di qualche giorno fa senza contraddittorio alcuno né domande degne di questo nome da parte del conduttore della trasmissione “La vita in diretta”. E questa è seguita solo di qualche giorno alla sua irruzione improvvisa alla trasmissione Ballarò in cui neppure il conduttore ha potuto di fatto replicare alle affermazioni di Berlusconi.
E qui si coglie l’impossibilità di efficacia di qualsiasi altra legge in presenza di un conflitto di interessi che è ancora regolato da una legge ridicola dell’attuale ministro degli Esteri Frattini.
Una legge che ha costretto Berlusconi soltanto a lasciare la presidenza della squadra di calcio del Milan, continuando allo stesso modo a controllare le sue televisioni e il vasto impero editoriale e giornalistico che fa capo alla Fininvest e alle aziende collegate (da il Giornale di Feltri alla Mondadori ed Einaudi).
Se non si affronta questo nodo e non lo si risolve,
intervenire sull’attuale par condicio non ha nessun senso.
Ma la cosa diventa ancora più grave e assurda se, come si legge nel testo di Abrignani (quello di Butti non è stato ancora pubblicato) l’intento è quello di dare un colpo di grazia alle opposizioni, che siano o no presenti in parlamento.
Il progetto, infatti, intende riservare alle forze non presenti in parlamento un diritto di tribuna ridicolo che non supera il dieci per cento delle presenze nelle trasmissioni.
Quanto alle altre le percentuali non sarebbero pari come è stabilito nell’attuale legislazione ma sarebbero invece regolate in maniera proporzionale dal punto di vista quantitativo sulla base dei risultati ottenuti nelle elezioni lasciando quindi lo spazio maggiore ai rappresentanti del Popolo della Libertà e quindi in maniera decrescente al Partito Democratico, alla Lega Nord e quindi all’Italia dei Valori.
Questo significherebbe aumentare a dismisura quello che è attualmente già la maggior presenza del partito portando a un ulteriore predominio di Berlusconi nelle reti televisive pubbliche e private.
Se poi si arrivasse anche agli spot a pagamento (capitolo su cui non è ancora chiara la volontà dei proponenti) si potrebbe arrivare a un ulteriore squilibrio dovuto alla grande ricchezza di Berlusconi e alla minor ricchezza di tutte gli altri competitori.
Insomma arriveremmo a una situazione ancora peggiore di quella attuale che è già antidemocratica proprio a causa del conflitto di interessi.
E’ possibile sperare che le opposizioni parlamentari (anche quelle presenti nella società ma non in parlamento) si preparino a fare le barricate per impedire questo nuovo progetto berlusconiano? Un progetto che segue al disegno di legge Alfano sulle intercettazioni telefoniche e a molte altre leggi anticostituzionali approvate in questo ultimo anno e mezzo.
E’ un’interrogativo che non soltanto i giornalisti ma tutti gli italiani democratici dovrebbero porsi per impedire che anche da questo punto di vista la nostra costituzione repubblicana sia del tutto svuotata dei suoi più importanti principi.
http://www.articolo21.org/118/notizia/come-si-distrugge-la-par-condicio.html
FONTE
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lunedì 9 novembre 2009
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