lunedì 9 novembre 2009

Il giudice Napolitano e la Corte ad personam

- di Pancho Pardi .

Le malefatte costituzionali sono sempre in agguato. La Corte Costituzionale qualche tempo fa ha certificato la perfetta incostituzionalità del Lodo Alfano che garantiva protezione al presidente del consiglio. Con la scusa di garantirla anche alle altre alte cariche dello stato, che non ne avevano alcun bisogno. Per avere immunità e impunità Berlusconi dovrà ora ricorrere ad altri trucchi. E i suoi specialisti sono già al lavoro.

Ma c’è un giudice costituzionale che non si dà pace per il responso della Consulta. E pensa a una soluzione che, nel futuro, potrà impedire che la Corte blocchi altre leggi ad personam. Il giudice Paolo Maria Napolitano infatti propone che si introduca nelle discussioni della Corte la possibilità di esprimere dissenso dalla decisione presa e soprattutto si stabilisca la necessità di maggioranza qualificata nelle decisioni su leggi dello stato. La precisazione potrebbe sembrare limitativa. Ma di che cosa si occupa la Corte se non della legittimità delle leggi dello stato?

Il diritto di dissenso è certo importante in democrazia ma nelle decisioni della Corte Costituzionale introdurrebbe un personalismo che potrebbe incrinare il carattere di giudice impersonale e super partes fondamentale per mantenere la Consulta al riparo da insinuazioni e sospetti.

Ma la maggioranza qualificata sembra immaginata apposta per impedire le decisioni. Ed è facile capire quali: al giudice Napolitano non piace che sei giudici costituzionali su quindici non abbiano potuto impedire che la maggioranza di nove cancellasse il Lodo Alfano. Resta aperto il problema di quale sia la maggioranza qualificata: due terzi, tre quarti? Resta anche il dubbio: se la maggioranza qualificata non si raggiunge che succede? La Corte rinuncia a decidere?

Ma la sortita non è motivo di stupore. Infatti, nel periodo immediatamente precedente al verdetto della Corte, il giudice Napolitano aveva partecipato insieme al giudice Mazzella, a casa di quest’ultimo, all’incontro irrituale (l’espressione è eufemistica) con Berlusconi, Letta e Alfano. In quel momento potevano, forse, ancora sperare che il verdetto fosse favorevole al presidente del consiglio. Né è troppo azzardato immaginare che i convenuti si siano consultati sul modo migliore per produrre quel risultato?

Scoperta e divulgata la cena dalla stampa, i due giudici si sono rifiutati di astenersi dal giudizio. E la sensibilità residua per i più smaccati conflitti d’interesse si è così affievolita che molti maestri del pensiero liberale non si sono neanche sognati di chiederglielo. Così i due hanno spudoratamente partecipato alla votazione.

Come si dovrà prendere ora la sortita del giudice Napolitano? Come giustificazione teorica a posteriori della cena? O come canovaccio per le prossime imprese degli avvocati Ghedini, Longo e Pecorella?


http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-giudice-napolitano-e-la-corte-ad-personam/
FONTE

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