- di Silvia Buzzelli* -
La prima parola che viene in mente leggendo articoli e notizie in cui si parla di “processo breve”, e dello schema di disegno di legge che lo contiene, è "indecente".
Non si tratta dell’ennesima parola forte, ad alto impatto emotivo, con la quale bollare l’assalto che il potere politico sta conducendo nei confronti della Costituzione, della giustizia e della magistratura. "Indecente" è termine assai preciso: il suo contrario (cioè "decente") è stato utilizzato da un intellettuale (Margalit) per qualificare la società che non conosce umiliazioni.
L’indecenza, insomma, comincerebbe proprio nel momento in cui si umilia qualcuno.
E il disegno di legge sul “processo breve” umilia soprattutto la Corte di Strasburgo, avvilendone il ruolo di garante della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Non è passato un mese da quando i giudici europei sono stati oltraggiati per aver osato rammentare all’Italia che il crocefisso, al pari di qualsiasi altro simbolo religioso, non andrebbe esposto nei luoghi pubblici. Se lo si fa, si violano il diritto all’istruzione e la libertà di pensiero, diritti che la Convenzione europea garantisce e protegge.
Vicenda davvero emblematica quella che ha per oggetto la croce. Nessuno (o quasi) ha letto le sedici pagine che compongono la sentenza (a tal punto che la Corte europea finisce per essere confusa con la Corte di giustizia delle Comunità europee). Tutti (o quasi), però, si sentono in dovere di criticare, in maniera spesso sguaiata, il provvedimento; comunque ne prendono le distanze, ignorando con superficialità gli autentici contorni della questione.
A pochi giorni dagli attacchi feroci, ecco la situazione ribaltarsi. La medesima Corte viene ora indicata quale musa ispiratrice dell’iniziativa sul “processo breve”: bisogna cambiare per forza, si sostiene, lo esigono i giudici di Strasburgo che migliaia di volte hanno condannato lo Stato italiano per la durata irragionevole dei suoi processi. Va tutelato "il cittadino contro la durata indeterminata dei processi" (strana intestazione del disegno di legge, quando mai i processi sono indeterminati, e la prescrizione verrebbe da chiedersi?)
Così si strumentalizza il prezioso lavoro della Corte europea, si tradisce il suo modo di procedere disincantato che unisce l’analisi specifica del caso singolo alla raffinata disquisizione teorica.
Così si miscelano pericolosamente concetti fra loro differenti: la ragionevolezza nulla ha da spartire con ciò che si presenta breve, veloce, sommario. E’ il metro col quale la Corte di Strasburgo calcola la durata di ogni processo dall’inizio alla fine (la categoria dell’indeterminato è una bizzarria italiana).
Non c’è un limite predeterminato: questo è il punto. Tutto appare relativo e variabile, a seconda dei comportamenti dei protagonisti e delle tipologie di processo.
I giudici, per stabilire se quella vicenda in realtà abbia oltrepassato la soglia del ragionevole, considerano una serie di elementi. Conta, ad esempio, la scarsa diligenza delle autorità pubbliche, non esclusivamente l’inerzia imputabile ai magistrati. In certe occasioni pesa l’abuso delle tecniche ostruzionistiche impiegate dalla difesa (nel giusto processo mancano obblighi di collaborazione, però alcuni atteggiamenti della persona accusata possono risultare poco, se non per niente esemplari, tanto che chi li pone in essere non potrà poi lamentarsi dell’eccessiva lunghezza della sua vicenda, se ha contribuito a dilatarne i tempi).
Ogni processo è una storia a sè: ci possono essere vicende giudiziarie complesse, particolarmente complesse, oppure ordinarie. Esiste, inoltre, la categoria degli affari prioritari in cui, essendo alta la “posta in gioco”, bisogna fare in fretta, poiché il ricorrente ha subito violenze da parte della polizia o si trova detenuto, magari in cattive condizioni di salute.
Emerge un dato piuttosto interessante che si conosce consultando le statistiche europee (gli organismi del Consiglio d’Europa sfornano in continuazione relazioni, schemi, rapporti che, di tanto in tanto, andrebbero almeno sfogliati): sono i processi dell’area extrapenale, civile e amministrativa quindi, a trascinarsi per più anni.
Perché, allora, l’allarme riguarda unicamente la sfera penale: che qualcuno abbia interessi personali da difendere? Chissà.
Ancora una domanda.
La Corte di Strasburgo ha individuato i vari punti di sofferenza che affliggono l’intero sistema della giustizia penale italiana: contumacia, mancato rispetto del contraddittorio, sovraffollamento delle carceri, espulsioni troppo facili e disinvolte di individui disperati verso paesi che praticano la tortura. Sono davvero questioni di nessun conto? Chissà.
Continuando ad occuparsi di “cose europee” si fanno scoperte, ecco l’ultima: fuori dai confini nostrani l’aggettivo “ragionevole” non basta più, oramai si è fatto un passo avanti; la durata del processo deve essere addirittura “ottimale e prevedibile”.
L’Italia, inadempiente agli obblighi internazionali, ritardataria, poco informata, lontana dall’Europa non se ne sta, probabilmente, neppure accorgendo.
* Professore di procedura penale europea nell’Università di Milano‐Bicocca
http://temi.repubblica.it/micromega-online/processi-brevi-quante-lontana-l%E2%80%99italia-dall%E2%80%99europa/
FONTE
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