venerdì 27 gennaio 2012

mercoledì 2 dicembre 2009

I peccati della carne

- di Valeria Palermi -

La provocazione di Jonathan Safran Foer: chi mangia gli animali sceglie il Male. La risposta di alcuni studiosi: attenti perché qui l'etica si fa estetica. Viaggio nell'ultima disputa sui confini del lecito e del proibito

Per essere un non violento, ha fatto una strage. Ma se ti chiami Jonathan Safran Foer, i corsi di scrittura li hai seguiti con Joyce Carol Oates, e a 32 anni hai già messo a segno bestseller mondiali come 'Ogni cosa è illuminata' e 'Molto forte, incredibilmente vicino' (in Italia pubblicati da Guanda), nel momento in cui scrivi un saggio e lo intitoli 'Eating Animals' (Del mangiare animali), l'impatto è enorme. E fa strage. Di luoghi comuni. Di tutti quei rivoli, più o meno onesti, più o meno disinvolti, in cui oggi si va disperdendo il pensiero vegetariano. Che trasformano una scelta etica in una deriva estetica.

IL QUIZ: RISPONDI ALLE DOMANDE E LEGGI IL TUO PROFILO

'Eating animals' è un libro su perché mangiamo animali e perché non dovremmo farlo. Ha anche generato un sito, www.eatinganimals.com. Chi ci entra in questi giorni ci trova per esempio queste domande: visto che stiamo andando verso le feste, avete già pensato al tacchino? Cosa ne sapete? Sapete come e dove è stato allevato, cosa gli hanno dato da mangiare? Come è stato ucciso?

Per Gertrude Stein una rosa è una rosa, è una rosa, ma per Safran Foer un tacchino non è un tacchino non è un tacchino. È un atto politico, e si serve con un contorno chiamato cultura, ovvero la capacità di fare scelte consapevoli. 'Eating Animals' è anche un viaggio nella memoria: la nonna ebrea sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale che passa il resto della sua vita nell'ossessione del cibo, però racconta a Jonathan che nemmeno nei giorni della fame più rabbiosa ha mangiato maiale, perché è proibito, e "se niente più conta, allora non resta più niente da salvare". È il racconto del vegetarianesimo a intermittenza dell'autore, finché la nascita dei figli lo mette di fronte all'obbligo di fare una scelta morale definitiva, "perché il cibo conta, e contano le storie che insieme ad esso sono servite".


Un sasso nello stagno. Che provoca reazioni superiori forse a quello che lo stesso autore immaginava. Il 'New Yorker' ha intitolato il bel pezzo sul suo libro, di Elizabeth Kolbert, 'Flesh of your flesh', carne della tua carne: ma in italiano perdiamo il senso profondo, perché nella nostra lingua 'carne' è sia la nostra che quella degli animali, mentre in inglese (succede anche in francese) quella animale è 'meat', quella umana, appunto, 'flesh', e perché rimanda a citazioni bibliche e mitologiche. Una sfida a considerare meat come flesh, partecipi della stessa qualità ontologica.

E invece proprio in questo momento nell'universo filosofico vegetariano le posizioni si fanno molteplici, e contraddittorie: ci sono flexitarian (non mangiano carne, ma possono fare eccezione per quella bianca, se sicuri della provenienza), demi-veg (vegetariani part time), pescatarian o fishitarian (carne no, pesce sì senza rimorsi), green eaters (si limitano a mangiare prevalentemente 'verde'). Perfino less-meatarian o meat-reducer, per i quali la questione non è risparmiare sofferenze all'animale, ma alimentarsi in maniera più sana e ridurre l'impatto ambientale mangiando un po' meno carne. Un universo caotico, che infatti ha costretto la Vegetarian Society a precisare: "Noi non mangiamo cose morte".

E allora bisogna chiedersi davvero se essere vegetariani sia ancora una questione etica o non stia scivolando verso un'estetica. "Questi sono i mille nuovi rivoli di un fiume che viene da lontano: da Pitagora e da Socrate, che già ai suoi tempi si poneva il problema della sostenibilità dell'allevare animali, ai danni di agricoltura e pace sociale", interviene Marino Niola, antropologo attento ai significati del cibo: "Oggi uno dei rivoli è l'afflato equo e solidale: i legumi sono proteine non violente. Questa non è epoca di grandi, ma di piccoli ideali. Un po' cinicamente direi che siamo passati da 'Give peace a chance' a 'Give pigs a chance'.

L'etica inclina all'estetica e alla dietetica: l'ascesi non è in nome di Dio, ma dell'Io. Il corpo è il nostro orizzonte, l'apparenza ci definisce, la società secolarizzata fa del narcisismo di massa la sua identità. Siamo vegetariani interinali, mobilità e flessibilità sono entrati anche nell'alimentazione". Per questo, prosegue Niola, si dice no alla carne ma sì al sushi: il sushi è un'esperienza estetica. "Piace, anche ai vegetariani, perché è ascetica, apparenza, cibo incorporeo, e smaterializzazione e velocità sono condizioni dell'oggi. L'inconsistenza piace, in un'epoca povera di idee forti. In più il pesce non è 'persona', troppo lontano morfologicamente da noi per suscitare colpa: è insipido e politicamente corretto". La carne, invece, è supremamente scorretta. E, anche per questo, oggetto di certo neoproibizionismo: la carne come le sigarette, piacere maledetto. E per questo tanto più intensamente goduto.

Forse per questo, o forse per saturazione dalle infinite lacrime versate sulla sofferenza animale. Di fatto, se il vegetarianesimo si ibrida e indebolisce, il fronte opposto si fa forte e aggressivo. Una filosofia Neocarnivora inizia a produrre pensiero e cultura. Anima dibattito attraverso riviste di riferimento: per esempio 'Meatpaper', non a caso nato in quella culla delle culture di domani che è San Francisco, 'BEEF!', trimestrale in edicola in Germania da ottobre, 175 pagine e 100 mila copie al prezzo non irrilevante di 9,80 euro. Tra i due, il secondo è il più (filologicamente) sanguigno ed edonistico. 'Meatpaper' si autodescrive come "giornale di cultura della carne", nato per esplorare. Per raccontare "una nuova curiosità, non tanto su cosa c'è in un hot dog, ma come lo è diventato, da dove arriva, e cosa vuol dire mangiarlo".

Sismografo del 'Fleischgeist', ovvero Spirito Carnivoro dei Tempi. Le trentenni fondatrici, Sasha Wizansky e Amy Standen, sono entrambe ex vegetariane, e vegetariani sono anche alcuni dei loro lettori. Paradosso solo parziale, perché filosofia neocarnivora e vegetariana una cosa condividono, ed è la concezione quasi sacra dell'animale. Che nel caso dei carnivori impone una macellazione che si fa rito, e un rispetto del corpo dell'animale sacrificato che esige che nulla ne vada sprecato. Uno dei sacerdoti è Tom Mylan, i suoi corsi sulla macellazione rispettosa, a New York, hanno la lista d'attesa. "La carne è una metafora", chiosa 'Meatpaper'.

"Fleischgeist è un concetto che esprime reazione alla debolezza delle categorie di oggi. Un paradossale ancoraggio a valori forti", spiega Niola: "Se il vegetarianesimo è obiezione di coscienza alimentare, questa è una rivendicazione di 'guerra giusta', che prevede l'onore delle armi all'avversario. Un omaggio allo spirito dell'animale ucciso, che risale a società di cacciatori, a valori persi e rimpianti. Di più: nel rivendicare la profondità della carne e dell'immaginario a essa legato c'è una chiamata a ritrovare i valori della cultura occidentale, trascurati in favore di esotismi da ashram, di orientalismi ascetici da snob. È parte integrante del nostro immaginario religioso: il corpo di Cristo, l'agnello di Dio, Prendete e mangiatene tutti, Carne della mia carne. I simboli che ci portiamo nel profondo rimandano al sacrificio e al consumo del sacrificato. Molta della grande arte occidentale ha a che fare con la carne, e la sua rappresentazione".

Intanto però, mentre i neocarnivori accarezzano preziosi coltelli di ceramica, sta già nascendo la carne del nostro futuro. Non richiederà spargimento di sangue, non esigerà sacrifici né dolore. Sta nascendo in un laboratorio di Amsterdam. Dove la inVitroMeatFoundation lavora a un progetto faustiano: creare carne. Non da animali: dal nulla, o meglio da cellule messe in coltura. Per realizzare un sogno di Winston Churchill, che nel 1932 scrisse, "tra qualche decennio ci sottrarremo alla follia di crescere un intero pollo per mangiarne solo petto o ali, e ne coltiveremo separatamente soltanto alcune parti". Una visione che diventò l'ossessione di un medico olandese, Willem van Eelen. Nel 1999 brevettò il suo metodo per la produzione di carne in vitro, i finanziamenti sono arrivati nel 2005, oggi la Fondazione supporta programmi nel mondo. La carne artificiale risolverebbe il problema delle emissioni di metano del bestiame (secondo il World Watch Institute arriva al 51 per cento dei gas serra annui) e della fame di proteine nobili di nazioni in crescita travolgente come Cina e India.

Creare carne che non provenga da animali forse è hybris, delirio di onnipotenza. Forse invece salverà quel che resta del mondo. Di sicuro, è un logico passo avanti, per la nostra società. "Da tempo abbiamo perso il contatto con la natura. Come nella pornografia, vediamo le parti e non il tutto, il filetto e non l'animale: per questo possiamo pensare a carne che nasca già porzione", conclude l'antropologo: "La materia ci appare volgare, la tecnologia in cui siamo immersi ha reso l'evanescenza possibile, abolito ogni distanza tra realtà e rappresentazione. Siamo passati dal Cogito al Digito ergo sum, tra touchscreen e 3D siamo già quasi ologrammi di noi stessi. Così finalmente entreremo noi stessi nel sogno, e varcheremo lo specchio di Alice".

hanno collaborato Stefano Vastano e Andrea Visconti


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-peccati-della-carne/2115890&ref;=hpsp
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Padrini e condomini

- di Peter Gomez e Marco Lillo -
Il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2009

Nella sua vita Renato Schifani è stato molto sfortunato negli affari. Socio di tre società in decenni diversi, in tutte ha incontrato alcuni soci che (anni dopo) sono stati arrestati. E non è andata meglio con le case: il palazzo di via D'Amelio, nel quale ha abitato per 25 anni è stato sospettato, per colpa di un suo condomino mafioso, addirittura come base logistica della strage Borsellino. Mentre la villa di Cefalù del presidente è stata comprata da un costruttore ora indagato nell’inchiesta riaperta recentemente sui rapporti tra Fininvest e mafia.  
Schifani ha comprato nel 1994 una villa nel residence “Baia dei sette emiri” di Cefalù proprio dalla Progea, la società di Francesco Paolo Alamia (indagato in passato con Berlusconi e Dell’Utri e ora, di nuovo ma da solo) e di Antonio Maiorana (l’imprenditore scomparso con il figlio nel 2006, probabile vittima della lupara bianca). La vendita però è stata impugnata nel 1999 dal curatore subentrato nell’amministrazione della Progea dopo il crack, che ha chiesto di revocarlo perché lo ritiene un depauperamento dell’attivo della società. A leggere la storia di Schifani a volte sembra di esser di fronte a un Forrest Gump dell’antimafia. Si dichiara nemico delle cosche eppure incappa spesso in acquisti di case e quote con persone che poi si riveleranno mafiose. Forrest-Schifani svicola inconsapevole tra questi mafio-imprenditori ma i suoi nemici delle cosche per un gioco del destino talvolta sono suoi soci e talvolta suoi condomini. Uno dopo l’altro poi finiscono arrestati e condannati. Mentre Forrest-Schifani dribbla tutti e corre senza ostacoli da Palermo a Roma fino ad arrivare alla seconda carica dello Stato.

Il 27 novembre scorso abbiamo raccontato la prima parte della storia di Forrest-Schifani, concentrandoci sulla società Sicula Brokers. Ben quattro soci e un vicepresidente della società anni dopo saranno arrestati. Ma lui dichiara: “entrai nella società con una partecipazione simbolica su richiesta del vecchio Giuseppe La Loggia e dopo un anno e mezzo ho dismesso la quota perché non avevo nessun interesse alla società”. Secondo i Carabinieri però tre anni dopo, il 10 giugno 1983, la Sicula Brokers delibera “di cooptare il consigliere Schifani in sostituzione del dimissionario Mandalà Antonino”, poi arrestato come capomafia di Villabate. Non risulta se Schifani abbia accettato ma la cooptazione (almeno tentata) dimostra che era considerato un uomo fidato.
Proprio nel 1983 Schifani lascia lo studio La Loggia e si lancia nella professione da solo. Sceglie un partner più anziano ed esperto: Nunzio Pinelli. Guadagna bene e pensa a mettere su casa. Per fortuna c’è una cooperativa che ha un bel terreno in via D’Amelio e gli Schifani non si lasciano sfuggire l’occasione. Renato e la sorella Rosanna, diventano soci della cooperativa Desio (senza badare troppo a chi c’è nella società) e comprano in via D’Amelio 46 due appartamenti. Nella stessa strada, al civico 19 abitava la mamma di Paolo Borsellino e proprio dopo avere suonato a quel portone il giudice salterà in aria il 19 luglio del 1992 con i cinque agenti della scorta. Ancora una volta le storie di Borsellino e Schifani si incrociano per un palazzo (vedi “Il Fatto Quotidiano” del 24 novembre). Il civico 19 di via D’Amelio, dove abita tuttora la famiglia Borsellino, è un simbolo dell'antimafia. Mentre il civico 46, dove ha abitato per 25 anni la famiglia Schifani, ha una storia diversa.
Partiamo dall'inizio. La Cooperativa Desio ottiene la concessione e accende un mutuo con il Banco di Sicilia. Nel 1980 consegna i primi appartamenti. Alla conservatoria risulta che Renato Schifani è socio della cooperativa Desio che gli assegna l’appartamento nel 1986 per 34,9 milioni di lire. Il presidente ha venduto l’ottavo piano solo a luglio del 2009 mentre la sorella resta proprietaria del secondo piano. Scorrendo l'elenco degli altri 33 soci assegnatari degli appartamenti troviamo cognomi noti a Palermo: Buscemi, Scarafia, Marcianò, Barbaccia.
Al quinto piano c’è l’appartamento di Vito Buscemi, arrestato per l’inchiesta mafia-appalti nel 1993 e condannato a 3 anni e 3 mesi di carcere. Secondo gli investigatori Vito era legato ai cugini più famosi processati per il tavolino tra impresa, mafia e politica e per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Vito Buscemi è entrato in galera nel gennaio del 2007 e ne è uscito nell’aprile scorso. In un rapporto del 1993 il capitano del Ros Sergio De Caprio, alias Ultimo, segnala al pm Ilda Boccassini: “Buscemi Vito è detenuto per una serie di vicende che dimostrano la partecipazione del gruppo imprenditoriale collegato a Totò Riina nella gestione irregolare degli appalti pubblici”. Poi l’uomo che ha arrestato Riina aggiunge: “Buscemi risiede in via D’Amelio 46 e pertanto ha la possibilità di disporre in loco di soggetti di assoluta fiducia”. Ergo, sempre per Ultimo, era “accertata la possibilità da parte della famiglia Buscemi di svolgere una funzione di supporto logistico nelle aree interessate aIle stragi”. Effettivamente il palazzo della Desio vede quello di Borsellino dal quale è separato da un campo verde, il fondo Marasà. L’intuizione di Ultimo è solo una suggestione che nessuno ha mai sviluppato. “Il Fatto Quotidiano” ha chiesto a Gaetano Giambra e Francesco Sanfilippo, ex soci e assegnatari della Desio (come Buscemi e Schifani), di raccontare la storia del palazzo di via D’Amelio 46. Secondo i due anziani condomini: “il palazzo è stato costruito da Gaetano Sansone”. La circostanza non è secondaria: Sansone è stato arrestato nel 1993 e condannato per mafia perché curava la latitanza di Totò Riina, arrestato in una villetta di via Bernini.
Continuando a spulciare gli archivi si scopre poi che tra i soci della cooperativa Desio ci sono Agostino Gioeli e Francesco Barbaccia, due cognati di Salvatore Sansone, arrestato con il fratello Gaetano nel 2000 e poi assolto. In quell’indagine Francesco Barbaccia fu intercettato casualmente mentre parlava con i Sansone e i pm chiesero (ma non ottennero) la sua sorveglianza speciale. Non basta. Tra i soci della Desio che hanno avuto un appartamento come Schifani troviamo Claudio Scarafia, un costruttore che nel 2000 è stato coinvolto nell’indagine sui Sansone e che nell’ordinanza del Gip era considerato una sorta di prestanome di un boss di prima grandezza: Francesco Bonura, arrestato nel 2006 come come capomandamento di Palermo centro. Non basta. Tra i soci-assegnatari della Desio c’era anche un cugino (morto da pochi mesi) dei fratelli Vincenzo e Giovanni Marcianò, arrestati per mafia perché considerati i capi del mandamento di Boccadifalco. “Il Fatto Quotidiano” ha cercato ieri senza successo Renato Schifani per un chiarimento. A persone vicine al suo staff però il presidente ha detto: “è stato mio padre, che abitava lì, a segnalarmi che una persona aveva rinunciato a comprare quell’appartamento. Così sono diventato socio e ho preso il mutuo per comprare e stare vicino a mio padre. Ma non ho mai fatto vita sociale nella Desio. Era solo una cooperativa edilizia”. Nel 2002 l’avvocato Schifani ha difeso la cooperativa Desio davanti ai giudici amministrativi. Il presidente della società è sempre Pietro Gambino. Schifani ha dichiarato: “dal 2001 ho lasciato completamente la professione di avvocato e faccio solo il politico”. Per la Desio ha fatto un’eccezione.
(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)


http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/?r=85823
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La granata di Fini

- di Carlo Tecce -


Grazie, presidente della Camera: “Io gliel'ho detto... confonde la leadership con la monarchia assoluta”.

Gianfranco Fini ha timbrato con il sigillo della terza carica dello Stato un pensiero comune tra milioni di italiani. Quel che si nasconde dietro i taccuini, appare dinanzi ai microfoni accessi in un convegno del “Premio Borsellino” a Pescara. Fini parlava di Berlusconi, del pentito Spatuzza e delle inchieste giudiziarie con il procuratore Trifuoggi.

Una leggera e cordiale chiacchierata - merito o colpa del video - diventa un manifesto politico che spiega le contraddizioni nel Pdl e le revisioni del comunista ex missino. Ecco l'esplosivo: “Il riscontro delle dichiarazioni di Spatuzza, speriamo che lo facciano con uno scrupolo tale da... perché è una bomba atomica”. Trifuoggi: “Assolutamente si... non ci si può permettere un errore neanche minimo”. F: “Si perché non sarebbe solo un errore giudiziario, è una tale bomba che... Lei lo saprà: Spatuzza parla apertamente di Mancino, che è stato ministro degli Interni, e di ... (ndr Berlusconi?). Uno è vice presidente del CSM e l'altro è il Presidente del Consiglio...".

Ecco la miccia: “"No ma lui, l'uomo confonde il consenso popolare che ovviamente ha e che lo legittima a governare, con una sorta di immunità nei confronti di qualsiasi altra autorità di garanzia e di controllo: magistratura, corte dei Conti, Cassazione, capo dello Stato, Parlamento. Siccome è eletto dal popolo...”. A futura memoria: “Ma io gliel'ho detto... confonde la leadership con la monarchia assoluta.... poi in privato gli ho detto... ricordati che gli hanno tagliato la testa a... quindi statte quieto". Che i Bondi e i Capezzone diano fuoco alle fiamme. O alle ceneri.


GUARDA IL VIDEO



http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id;_blogdoc=2391903&yy;=2009&mm;=12ⅆ=01&title;=la_granata_di_fini
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Processo breve con autovelox

- di Bruno Tinti -

Una mia cara amica che fa il giudice civile mi ha chiesto: "Cosa sai di autovelox?". Io che ho un’automobile da tamarro (come dice Marco Travaglio) le ho risposto: "Tutto, ma che te ne frega?". E così ho scoperto che questa poveretta, consigliere di Cassazione (con stipendio adeguato), esperta di diritto societario, di concorrenza sleale e diritto fallimentare; titolare di numerosi processi in materia possessoria (sono cause rognose se mai ce ne sono state) passa un sacco di tempo a trattare gli appelli alle sentenze del giudice di pace in materia di contravvenzioni stradali.

Pensate un po': una multa per sosta vietata, per eccesso di velocità, per aver passato il semaforo con il giallo-rosso invece che con il verde-giallo finisce sul tavolo di questa mia amica; che, tra un processo per responsabilità di consiglieri di amministrazione che hanno deliberato una fusione societaria in presunto conflitto di interessi; e un altro per asserito possesso di beni immobili già appartenuti a ente pubblico; deve stabilire se 30 o 40 euro di multa debbono essere pagate oppure no.

Questo triste destino tocca a tutti i giudici civili italiani: centinaia di migliaia di processi (in grado di appello) sulle sentenze dei giudici di pace in materia di infrazioni stradali. E intanto i processi veri si ammucchiano e le parti si chiedono: "Ma che cazzo fa questo giudice?". A questo punto mi sono ricordato del tempo in cui, da pm, chiedevo decreti penali al gip: guida senza patente, omesso versamento contributi Inps, omessa esposizione della tabella dei giochi leciti e altre decine di minchiate del genere. Tutta roba che aveva il seguente percorso: richiesta al gip di decreto penale per qualche centinaia di euro, decreto emesso dal gip, due o tre tentativi di notifiche andate a male (perché l’imputato si trasferiva e non si sapeva dove andarlo a cercare), quando lo si trovava faceva opposizione, quindi processo in tribunale, poi appello e cassazione. Era una gara con la prescrizione; e vinceva sempre lei. Nel frattempo sulla mia scrivania si ammucchiavano i falsi in bilancio, le frodi fiscali, le corruzioni e le bancarotte.

Poi è arrivato Alfano e ha detto che non era tollerabile che il processo italiano durasse in media 7 anni e mezzo e quindi ci andava il "processo breve": dopo 6 anni tutti innocenti. Può anche essere una buona idea: la giustizia deve essere rapida, se no che giustizia è? Quindi facciamo qualche riforma semplice, non costosa e poi via al "processo breve". In Parlamento ci sono un sacco di magistrati e avvocati che possono spiegare ad Alfano le cose che si debbono fare; qualcuno che può dire ad Alfano che prima di varare il "processo breve" dovrebbe eliminare le sciocchezze che ho raccontato dovrebbe esserci.

Qualcuno che può fargli un elenco dei ridicoli reati di cui si può fare a meno (sono centinaia) e spiegargli che prevedere tre gradi di giudizio più il ricorso al prefetto per le contravvenzioni stradali è una cosa folle dovrebbe esserci. Qualcuno che… Ma a questo punto mi sono messo a pensare: e che farebbero i 170.000 avvocati italiani (in Francia ce ne sono 50.000), privati da un giorno all’altro del loro pane quotidiano? Allora niente "processo breve". Sì ma, e di B. che ne facciamo? Ecco, avete capito cos’è davvero il conflitto di interessi?

da Il Fatto Quotidiano del 27 novembre 2009


http://togherotte.ilcannocchiale.it/
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Attenti ai nuovi crociati

- di Angelo d'Orsi -

Strano Paese, questo chiamato Italia. Che ci si ostina, talora, a definire “bello”. Paese che improvvisamente sta scoprendo come una cifra identitaria la croce: non tanto il cristianesimo, quanto il suo simbolo, simbolo peraltro di sofferenza e morte: la croce, appunto. E la cosa più strana che a riscoprire la croce, generando un vago sospetto di strumentale uso politico, sono coloro che più vicini sono al paganesimo, i leghisti del senatùr, con un corteo di postfascisti, e sedicenti liberali.

Simbolo di persecuzioni subìte, ma anche di persecuzioni inflitte a milioni di esseri umani, la croce è qualcosa di diverso e di più importante, nel bene e nel male, delle disinvolte capriole ideologiche e culturali della Lega e dei suoi alleati. Se fossi ancora un cristiano, sarei molto seccato per questo vergognoso abuso di quel simbolo. Che ora, niente di meno, un personaggio televisivo – divenuto addirittura ministro in passato: sì, uno strano Paese, il nostro – l’ingegner Castelli, ha lanciato la proposta di conficcarlo nel cuore della bandiera nazionale.

E qui lo stupore è duplice. Sapevamo del totale disprezzo della Lega per il Tricolore, che il suo leader Bossi invitava a “gettare nel cesso” non troppo tempo fa. Ora, d’improvviso, diventa importante, se addirittura la si vuole usare come portatrice di un altro simbolo, evidentemente divenuto più importante: perché è chiaro che la bandiera sarebbe un mero strumento per “valorizzare” la croce, e dire al mondo che gli italiani sono cristiani, se ne gloriano e lo vogliono gridare urbi et orbi, in modo da metter in chiaro le cose. Siete avvertiti, dunque, o voi atei, islamici, ebrei, buddisti, induisti, shintoisti e quant’altro. In Italia regna Cristo Re. E la Chiesa di Roma che fa? Può sopportare di veder usata, abusata, la religione di cui essa è istituzione portante, a fini di bassa speculazione politica? C’è stata, è vero, una replica sagace di un alto prelato (“a quando le crociate?”), ma aspettiamo risposte ufficiali, magari ai massimi livelli. La partita è grave. E non si può metterla sul motto di spirito.

E il ministro degli Esteri, l’abbronzato Frattini – che vedrei meglio nei panni di maestro di sci che di rappresentante italiano nei consessi internazionali – se la cava, incredibilmente, definendo “suggestiva” la proposta. E la neutralità dello Stato fra le diverse fedi, il “libera chiesa” (oggi: “libere chiese”, al plurale, dovremmo dire, per necessità di cose) “in libero Stato”, cede il passo a un nuovo cesaropapismo, con una confusione tra spada e tiara, bandiera e croce. Il Paese di Cavour, di cui stiamo per celebrare il bicentenario della nascita! E di cui gli odierni sedicenti liberali si proclamano nipoti, se non figli.

Mentre ancora i leghisti scalpitano, a seguito dell’esito del referendum svizzero sui minareti, ritenendo che il mainstream oggi sia quello e che dunque in esso ci si debba inserire, cavalcando la forma oggi più diffusa di razzismo, quello antislamico.

Sicché, d’improvviso, i seguaci del “dio Po”, il mitico Eridano, a cui si sottomettono, in riti bizzarri nelle montagne del Cuneese, là dove il fiume sorge, ora si dichiarano seguaci di una delle “religioni del Libro”; coloro che insultavano il pontefice, se ne proclamano ora fieri paladini; gli svaticanatori sono divenuti papisti.

Non è certo la prima volta. Basti pensare alla parabola di Mussolini, che passò dall’anticlericalismo al Concordato, e nel contempo lasciando cadere la seconda “pregiudiziale” del movimento dei Fasci: quella repubblicana. Sicché l’ateo divenne cattolico, il socialista si fece liberista e poi corporativista, il repubblicano monarchico, il rivoluzionario reazionario. Anche Mussolini voleva piantare il tricolore nel letame (testuale), e poi si riempì la bocca della parola Italia, che pretendeva fare diventare signora del Mediterraneo, grande potenza, alleata alla potenza germanica, in nome degli immancabili destini di Roma, sui cui colli doveva tornare l’Impero: sappiamo come finì.

Ora i leghisti, e loro manutengoli, affilano le armi: non sono ancora pronti a dichiarare guerra santa all’Islam, ma si stanno preparando: spingendo gli islamici sulla difensiva, magari aiutando un processo di trasformazione di tanti milioni di fedeli di Allah, in militanti della Jihad. Non era stato teorizzato lo scontro di civiltà? L’incompatibilità delle religioni? L’inevitabile clash, per una ragione o per l’altra?

Ebbene, il momento sembra favorevole, ancorché non così prossimo. E tra frizzi e lazzi, nell’indifferenza generale, nella complicità di chi ritiene di sfruttare l’esito della campagna, questi energumeni, per un pugno di voti, sono pronti a scatenare l’inferno (ricordate la maglietta del sorridente Calderoli? Quanti morti provocò? Ebbene, costui oggi è ministro).

Forse un semplice proverbio andrebbe ricordato a lor signori: Chi semina vento, raccoglie tempesta.
Il problema è che se la tempesta si scatena, rischia di travolgerci tutti. Perciò occorre fermare questa genia malvagia e scempia. Prima che sia troppo tardi.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/attenti-ai-nuovi-crociati/
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Comunicato politico numero ventinove

- di Beppe Grillo -

Viviamo una fase storica ineguagliabile. La peggiore dello Stato italiano. Berlusconi è il peggior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni, Napolitano il peggior presidente della Repubblica (un vero outsider che fa rimpiangere anche Giovanni Leone cacciato a pedate), il Pdmenoelle è la peggior opposizione da quando esiste il Parlamento con Bersani maggiordomo di D'Alema, il politico più intelligente e trombato, ma anche trombante, della Repubblica. Voglio essere ottimista. Siamo in fondo al pozzo e possiamo smettere di scavare. Siamo arrivati dall'altra parte. Mi sento come un italiano verso la fine della seconda guerra mondiale sotto le bombe. Sa che non potrà continuare a lungo. Che il cielo tornerà azzurro e potrà uscire in strada, felice come un bambino, a baciare la prima sconosciuta. Il mio ottimismo è ragionato. Lo Stato è fallito, un miliardo al giorno di debito pubblico è insuperabile anche da Tremorti. Milioni di persone hanno perso il lavoro e la casa. La cassa integrazione è vicina al tracollo. Il Parlamento non esiste, è stato espropriato da dei delinquenti costituzionali. La Chiesa comanda. La mafia comanda. La camorra comanda. La 'ndrangheta comanda. Il cittadino non conta nulla. Tutto è perduto e soprattutto l'onore. Italiano e pagliaccio sono sinonimi nel mondo. "Italian fucking clown". Il Consiglio dei ministri è una replica continua di "Oggi le comiche". Qualunque prostituta, qualunque idiota potrebbe diventare ministro in Italia. Questo regime, come a suo tempo il fascismo, non lo può più salvare nessuno. Si è schiantato insieme alla disonestà e indifferenza di molti italiani negli ultimi anni. Come, quando dopo una tragedia, ci si risolleva per necessità, così avverrà nel prossimo futuro. Il MoVimento a Cinque stelle non ha legami con il passato, con nessuno dei nomi marci di corruzione che ci governano. Il MoVimento parte da zero, dal basso, questa è la sua forza. Il MoVimento si presenterà per le regionali in Emilia Romagna, Campania, Veneto e Piemonte, con capolista Davide Bono. Molte Liste a Cinque Stelle si stanno preparando per le amministrative. Lo Statuto è quasi pronto e anche l'iscrizione on line. Il 5 dicembre ho dato l'adesione al No B-day. Non sarò sul palco e non parlerò in quanto richiesto dagli organizzatori. "Per noi è un politico e quindi non parlerà" ha deciso il comitato promotore. Viviamo uno scempio sociale e istituzionale che nessuno avrebbe creduto possibile, io per primo. Siamo ancora nello scantinato, dalle televisioni arrivano le voci di un presente che è già passato, degli Schifani, Gasparri, Dell'Utri, Casini. Così presenti eppure già lontane. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.



Ps: Moratti e Formigoni indagati sull'inquinamento a Milano, il blog c'entra qualcosa?




http://www.beppegrillo.it/2009/12/comunicato_politico_numero_ventinove/index.html
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