martedì 29 settembre 2009

La lezione di Tarantini

“Ho pensato che le ragazze e la coca fossero una chiave d'accesso per il successo nella società”. Le ragazze e la coca. D'accordo: è il verbale d’interrogatorio di Gianpaolo Tarantini (“imprenditore” attivo in entrambi i rami commerciali), non proprio un maître à penser. Il rumore delle parole di Tarantini è quello del gessetto sulla lavagna. Molte donne, in questi mesi di pornografico elogio delle più anatomiche tra le virtù muliebri, avvertono fastidio. E non soltanto all'orecchio.

Il mestiere più vecchio del mondo. Almeno le etère (escort dell’antichità ellenica) erano colte e quelle del boudoir non erano le uniche arti di cui avevano conoscenza. Fare spallucce, magari ricordando il “così fan tutti/e” naturalmente non ha alcun senso. Se il cammino dell'uomo non porta a un'evoluzione, che progresso è? Dal 1946, anno della (gentile) concessione del voto a oggi, le donne italiane hanno conquistato libertà, indipendenza, istruzione, emancipazione. Restano legacci dai quali liberarsi? Un esempio per tutti: l'obbligatorietà della bellezza, anche senza voler resuscitare vecchi slogan e forme di lotta che non hanno più significato (vedi alla voce bruciare confortevoli ed eleganti reggiseni). Konrad Lorenz “dimostrò” che anche i pesci rossi hanno il sentimento della bellezza: vuol dire che c'è qualcosa di animale. La legge di natura però si fa sempre più spietata: non sei, se non sei bella. E non sei mai abbastanza bella: l'estetica di plastica impone canoni quasi inarrivabili (se non per via chirurgica). Così il nostro corpo non è la forma esterna del nostro essere, ma solo un oggetto condannato all'inadeguatezza.

Il disagio che le donne italiane oggi provano davanti alla rappresentazione di sé deve portarci qualcosa di più che una riflessione. Invece non c'è stata un presa di coscienza collettiva da parte del “secondo sesso” (come Simone de Beauvoir lo definì in un suo famoso saggio). Qualcuno ne ha scritto, certo. Soprattutto fuori dell'Italia. Ma comunque non basta. Il rischio di tornare indietro anni luce e scivolare di nuovo nel precipizio della subordinazione è tanto più alto quanto più ne siamo inconsapevoli. Gli scienziati ci dicono che il Dna ha una memoria lunga, di molte generazioni: nelle ventenni di oggi c'è ancora una nonna a cui veniva detto “taci” e chiesto solo di esistere nella relazione con uomini di cui era madre, sorella, moglie. Senza contare la complessità e la fatica del ruolo. Desiderare una famiglia non può escludere la realizazzione di sé. Che abbiamo studiato a fare, se l'ambizione massima è avere forme compatibili con la bella presenza per sfondare il piccolo schermo? E poi: quell'organo che disgraziatamente diede il nome all'isteria, come può avere cittadinanza nelle nostre vite e nei nostri desideri? Maternità fa tristemente rima con difficoltà. La quotidiana fatica di essere dieci cose in una non deve diventare un alibi: la metaforica pacca sul culo che tutti i giorni ci tocca subire non è galanteria.

Un gioco sul web fa impazzire le ragazzine, si chiama MissBimbo. Funziona così: la fanciulla accede ai vari livelli quanto più ha successo. Se ha un boyfriend ricco, una casa lussuosa, un cospicuo conto in banca. Obiettivi che si raggiungono comprando bei vestiti, frequentando locali esclusivi, andando dal parrucchiere e dal chirurgo estetico, prendendo pillole che fanno dimagrire. La cocaina non c'è. Ma davvero manca solo quella: tra il passatempo preferito di una qualunque quattordicenne dotata di accesso a Internet e l'interrogatorio di un signore che chiamiamo imprenditore e invece sfrutta le ragazze, che differenza c'è Vietato non rispondere.

di Silvia Truzzi (da Il Fatto Quotidiano n°5 del 27 settembre 2009)


fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id;_blogdoc=2343563&yy;=2009&mm;=09ⅆ=28&title;=la_lezione_di_tarantini
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L'editto milanese

- di MASSIMO GIANNINI -

LE accuse bugiarde e livorose che il presidente del Consiglio ha scagliato domenica contro l'opposizione meritano di essere annotate sull'agenda politica. Valgono come documento per l'oggi e come ammonimento per il domani. Il documento dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la natura manipolatoria e intimidatoria del berlusconismo. Infiammare la folla del Lido di Milano con il viso trasfigurato e il dito puntato, gridando "vergogna, vergogna, vergogna" all'indirizzo di "questa opposizione che brucia la bandiera americana e quella di Israele e dice "meno sei" dopo la morte dei nostri soldati", è un'operazione di propaganda che tradisce innanzi tutto falsità ideologica e irresponsabilità politica.

La falsità è nelle cose. Mai come in questi ultimi mesi, e soprattutto all'indomani del tragico attentato in cui sono morti i sei parà italiani in Afghanistan, l'opposizione ha dato prova di equilibrio istituzionale, di maturità civile, di condivisione morale. Semmai è stata la Lega di Bossi, titolare della "golden share" di questa maggioranza, a invocare un "riportiamo a casa i nostri ragazzi", solo qualche ora dopo la strage di Kabul. Tra l'Udc, il Pd e l'Idv, non una sola voce si è alzata in Parlamento per "speculare" politicamente su quel lutto e su quel dolore. E fuori dal palazzo persino la sinistra radicale, pur confermando la propria legittima contrarietà alla missione, ha evitato di rilanciare a sproposito i "mantra" pacifisti che le sono stati tanto cari.

Stavolta nelle piazze d'Italia nessun corteo ha irriso i soldati della Folgore. Nessun estremista in kefià ha bruciato bandiere israeliane. Nessun orfanello di Stalin ha dato alle fiamme il fantoccio di Bush. Nessun corteo ha espostro l'indegno striscione "10-100-1000 Nassiriya". Un ignoto imbecille, uno solo, duramente stigmatizzato dalla stessa sinistra, ha scritto uno schifoso "meno sei" su un muro. Un gesto orribile, ma fortunatamente isolato. E questo è tutto. Dunque Berlusconi ha mentito, mettendo nello stesso calderone della "vergogna" un solo fatto realmente accaduto, fatti accaduti in passato e fatti accaduti mai. Ha mescolato il tutto, per poi riversare la miscela fangosa non su questo o su quello, ma sull'opposizione come "categoria" politica, generica ed onnicomprensiva.

Qui sta anche l'irresponsabilità. Al Cavaliere, palesemente, non interessa il governo del Paese. La sua parabola di primo ministro si consuma non nella soluzione dei problemi, ma nel comizio permanente. Si nutre non dei risultati concreti della sua azione, ma dell'acclamazione del popolo che canta "Silvio, Silvio". Per funzionare, questo "metodo di non-governo" ha bisogno di furori ideologici e, soprattutto, di nemici sistemici. L'elite borghese è nemica. L'alta finanza è nemica. La magistratura è nemica. La stampa è nemica. E, ovviamente, l'opposizione è nemica. Qualunque opposizione. Quella di Di Pietro come quella di Casini. Quella di Franceschini come quella di Bersani. Quella di Pannella come quella di Casarini. Nella notte di Berlusconi, più ancora che in quella raccontata da Hegel, tutte le vacche sono nere. Anzi rosse. E in quel "io sono il popolo", in quel "noi dureremo per sempre" e in quel "voi siete fuori dalla storia" si esaurisce l'intera dimensione spazio-temporale della democrazia.

Cosa si può costruire, in questo profondo buio della Repubblica? Quali riforme condivise? Quali piattaforme bipartisan? Per fortuna, dal Quirinale, il capo dello Stato ha ristabilito il principio di realtà. E dopo le parole chiare di Giorgio Napolitano sono apparse goffe, per non dire patetiche, le retromarce tentate dalla solita corte berlusconiana dei Frattini e dei Cicchitto. Ormai il danno, l'ennesimo danno, si è purtroppo compiuto.

Ecco allora l'ammonimento, che oggi è insito nell'"editto di Milano", come ieri lo fu in quello "bulgaro" contro Biagi, Luttazzi e Santoro, e poi in quello "albanese" contro i direttori dei giornali. Chi sogna la "tregua", con questo presidente del Consiglio, sta purtroppo prendendo un drammatico abbaglio. Senza nemici da aggredire, o senza amici da ingannare, il Cavaliere non ha mai regnato. E non regnerà mai.


http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/berlusconi-varie-2/editto-milanese/editto-milanese.html
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Da Dell’Utri a Fondi, il senso del governo per Cosa Nostra

Certo, il premier l’ha ripetuto anche ieri a Milano: «Nessuno ha fatto tanto come noi nella lotta alla mafia». Una litania, come tante, come quasi tutte. Poi i fatti. Per quello che sono I tagli alla sicurezza, per esempio. E poi una serie di punti oscuri piantati dentro Palazzo Chigi. A partire dal caso Fondi. Sul cui scioglimento per infiltrazione mafiosa ci sono tonnellate di carte chiarissime. Messe una sull’altra da un prefetto - Bruno Frattasi - che conduce questa battaglia contro il mulino a vento di un ripetuto «no, non si scioglie» imposto dal governo. In verità il ministro Maroni qualche timido tentativo per imporsi l’ha fatto. Prendendo impegni che però gli altri ministri - e il premier - gli hanno perentoriamente smontato. Intoccabile, Fondi. Con il suo sistema di voti e di potere. E di protervia. La stessa che ha multato la manifestazione antimafia di sabato: mille euro per sosta abusiva. E chi vuol capire capisca.

D’altronde l’andazzo è chiaro se c’è un sottosegretario - Nicola Cosentino - indicato da quattro pentiti come interfaccia dei Casalesi eppure tranquillo al suo posto. Ed è ancora più chiaro quando - è appena successo - la requisitoria di un pg dice tondo tondo che Mangano era «il simbolo della tutela da parte della mafia a Berlusconi».E questo restacomeunsibilo nel frastuono dell’indifferenza. Certo, accuse tutte da provare definitivamente quelle del processo a Marcello Dell’Utri: il giudizio di primo grado che ha condannato il senatore Pdl a9anni per concorso esterno in associazione mafiosa non basta. E però qualcosa non torna. Se invece di cercare la verità sulle stragi si cerca di processare le procure che quella verità la cercano ancora. Se invece di sostenere i giudici li si indica come sobillatori. Fini nelle scorse settimane ha detto parole chiare, il suo collega Schifani non ha apprezzato affatto. Il senso per la lotta alla mafia nel Pdl è poco chiaro. Anzi, pochissimo.


http://www.unita.it/news/italia/88962/da_dellutri_a_fondi_il_senso_del_governo_per_cosa_nostra
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Restauri con il taglio

- di Alessandra Mammì -

La scuola di eccellenza è ferma da tre anni in attesa di un nuovo inquadramento. Gli ultimi studenti andranno via nel 2010. Poi rimarrà il vuoto

Temporaneamente in italiano suggerisce un periodo breve. Temporaneamente in Italia invece è concetto che sfiora l'eternità. Cliccate sul sito dell'Istituto Centrale del Restauro, cercate quella scuola di eccellenza che dal 1939 ha formato uomini e donne degni di mettere le mani su Giotto Michelangelo e Leonardo, e scoprirete che la didattica è 'temporaneamente sospesa'. Temporaneamente ovvero dal 2006. Da quando l'allora ministro Giuliano Urbani decise di regolamentare il mestiere di restauratore, definire i criteri della formazione sull'intero territorio nazionale e creare un albo professionale ad hoc, come per architetti e avvocati.

Cosa buona e giusta, per carità. E ancor più giusto fu prendere a modello quell'Istituto che nelle mani di Cesare Brandi prima e Giuseppe Urbani poi aveva rivoluzionato (nel mondo) teoria e pratica del restauro, stabilendo regole universali per la conservazione del pubblico patrimonio. Lì si insegnò che restaurare è atto storico e critico e non vuol dire fare il lifting a tele e sculture perché diventino più nuove e più belle di prima. Lì si interveniva sulle lacune con tecniche non invasive (minuscole righe all'acquerello in punta di pennello), si formavano restauratori che erano anche storici dell'arte, chimici e ingegneri; si coinvolgevano gli studenti in cantieri importanti dalla Cappella degli Scrovegni a Padova fino a rincollare i 300 mila frammenti del Giotto di Assisi frantumato dal terremoto, si univa insomma il vecchio spirito di bottega alle più moderne professionalità.

Nel tardo 2005 Urbani (Giuliano) decide che così devon far tutte: scuole private e pubbliche, regionali, provinciali e comunali. E per sottolineare l'eccellenza del nostro istituto decide anche che l'Icr insieme all'Opificio delle Pietre Dure di Firenze (altra eccellenza) si sarebbe trasformato in Saf: Scuola di Alta Formazione del Ministero. Un gran bel nome. Ma fatta la legge, si cominciò a discutere del regolamento che doveva peraltro essere sottoscritto sia del ministro dei Beni Culturali che da quello della Pubblica Istruzione. Passano due governi Berlusconi e uno Prodi. Più una processione di ministri: Urbani, Moratti, Buttiglione, Rutelli, Fioroni, Gelmini e Bondi. Ma nessuno porta avanti la pratica. Senza regolamento non ci può essere indirizzo didattico, né diploma, né scuola. Così, in attesa che la Saf oltre al nome abbia anche un corpo, quella didattica che aveva perfettamente funzionato dal 1939 viene sospesa e gli studenti, cuore e forza lavoro dell'Istituto, scompaiono.

Fino al 2006 ce n'erano un ottantina a trafficare nelle aule del San Michele e a correre dietro ai maestri in mezzo alle calamità nazionali. Sono rimasti in 22. Quelli dell'ultimo anno. Nel 2010 se ne andranno anche loro. E mentre la pratica giace ancora per l'ultima firma sul tavolo di Bondi, i tagli alla 'temporaneamente sospesa' scuola sono stati invece prontamente firmati da Tremonti. Circa 300 mila euro in meno che su un budget già risicato rischiano di creare problemi persino nell'acquisto dei pennelli. Intanto, tra l'ottimismo della volontà e la forza della disperazione, i funzionari continuano a tener aperta sul sito la pagina della scuola 'temporaneamente sospesa', con le regole e i principi di sempre. E aperto è anche il forum degli studenti dove dal 4 ottobre 2005 decine di ragazzi ripetono ossessivamente la stessa domanda: "Ma qualcuno sa quando esce il bando di concorso? Grazie a chiunque mi risponda".


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/restauri-con-il-taglio/2110580&ref;=hpsp
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E' regime. Ma il PD dov'è?

Berlusconi assalta la Rai, il governo premia gli evasori i democratici pensano alle baruffe congressuali.

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Sottoscrivi l'appello a Napolitano contro lo scudo fiscale, ultime ore, 50mila firme pervenute

Gli articoli da Il Fatto Quotidiano n°6 del 29 settembre 2009:

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Crolli, inchiesta a una svolta

Sono state depositate le consulenze sulla Casa dello studente, sul convitto nazionale e sull'ospedale. Il pm Rossini: tra pochi giorni gli avvisi di garanzia
L’AQUILA. L’inchiesta sui crolli è a una svolta. Entro pochi giorni verranno inviate le prime informazioni di garanzia sulla scorta delle prime perizie da ieri in mano alla procura aquilana.

I SOSPETTATI. Nel mirino ci sono decine di persone, ovvero tutti i componenti della «filiera»: da chi ha realizzato gli edifici, ai progettisti, a chi ha rilasciato le autorizzazioni o ha effettuato (male) i controlli sulla stabilità sugli edifici crollati il 6 aprile scorso dove ci sono state vittime. Ma anche chi è responsabile di allarmi non dati.
Tra le perizie già presentate, come ha confermato lo stesso procuratore capo Alfredo Rossini, quelle sulla Casa dello studente, diventata uno dei simboli della tragedia con otto morti, dell’ospedale e del Convitto nazionale. «Essendo state depositate le perizie che presumibilmente hanno identificato delle responsabilità», ha commentato il magistrato, «noi iscriveremo i presunti responsabili nel registro degli indagati nei primi giorni di ottobre. Già abbiamo avuto per i siti rilevanti il deposito delle nostre consulenze. Altre arriveranno dopo perché i siti sono molti». E secondo il magistrato gli interrogatori potrebbero iniziare già all’inizio della prossima settimana. Secondo quanto è trapelato sarebbero emersi dei problemi di stabilità strutturale per quanto riguarda la Casa dello studente e per il San Salvatore.

LE PRIORITA’. «Sulla Casa dello studente, sull’ospedale, sul Convitto nazionale», ha commentato il pm, «è stata data una priorità. C’é gente qui che aspetta la verità, vuol sapere come sono andate le cose, perché naturalmente hanno visto morire i loro cari e subito si sono chiesti come mai sia successo tutto questo. Su questo aspetto noi stiamo accertando le responsabilità e ci troviamo molto avanti».

I DATI. L’inchiesta sui crolli, affidata anche al pm Fabio Picuti che poi si dipanerà in più filoni, poggia su circa duecento edifici sequestrati e ha comportato da parte della polizia giudiziaria circa 150 interrogatori di persone informate sui fatti. Sono stati prelevati quintali di materiali edili poi sottoposti ad esame dai consulenti.

I REATI. Naturalmente le imputazioni, quanto verranno ascritte, saranno molteplici visto che le posizioni degli accusati saranno sovente diverse tra loro. Si va comunque dal disastro colposo all’omicidio colposo plurimo. Ma lo stesso procuratore capo ha ipotizzato che gli atti processuali potrebbero indurlo anche a contestare in qualche caso reati di natura dolosa. Rossini, dunque, non esclude il dolo eventuale: ovvero quando si attua una condotta illecita per la quale si accetta il rischio di causare un certo evento.

APPALTI E MAFIA. Rossini ha anche fatto il punto sugli appalti per la ricostruzione affermando che ci sono controlli minuziosi sulle le società impegnate nelle attività di ricostruzione post-terremoto, verificando segnalazioni su infiltrazioni malavitose e documenti. «Abbiamo diversi procedimenti in corso e stiamo assegnando anche i sostituti applicati presso la Procura distrettuale antimafia» ha affermato in proposito Rossini, «ci sono state tante comunicazioni di persone, di famiglie mafiose che fanno parte delle società impegnate nella ricostruzione». Ma ha anche aggiunto che la presenza di personaggi sospetti non vuol dire che per forza ci sia una associazione di stampo mafioso, pur non negando che iniziative di infiltrazioni sono in atto. L’attività di prevenzione è comunque svolta da un comitato coordinato dal prefetto dell’Aquila

http://ilcentro.gelocal.it/dettaglio/crolli-inchiesta-a-una-svolta/1733608
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ius Soli

- di Federica Bianchi -
Postato in Cina, Esteri, Italia il 28 settembre, 2009


Trovo molto sensata e coerente con i tempi attuali la proposta di legge Granata (Pdl)- Sarubbi (Pd) che vuole arretrare il tetto di residenza in Italia necessario per ottenere la cittadinanza a 5 anni da 10 e, soprattutto, far valere per i figli degli immigrati nati in Italia lo ius soli e non più lo ius sanguinis. Ovvero chi nasce su suolo italiano è italiano a tutti gli effetti, indipendentemente dalla cittadinanza dei suoi genitori.

Non ritengo infatti che abbia molto senso dare la cittadinanza a nipoti di italiani che vivono in Argentina e dell’Italia sanno ben poco ma non a bambini “abbronzati” (come direbbe Berlsuconi) che non hammo mai conosciuto un altro paese e un’altra lingua che non siano l’Italia e l’italiano.

Sul numero di anni necessario a ottenere la cittdinanza si può discutere. Sul diritto dei bambini italiani a essere italiani molto meno. Salvo per chi si felicita del paradosso per cui un bambino figlio di genitori clamdestini che è sempre vissuto in Italia, ha fatto le scuole italiane, parla solo italiano, a un certo punto rischia di essere deportatto in qualche paese sperduto dell’Africa di cui non sa niente, a cui non appartiene.

L’attuale legge sull’immigrazione che criminalizza l’illegalità rende ancora più urgente la necessità di fare vigere lo ius soli per i bmabini di immigrati. Sono loro, la nostra nuova generazione di italiani, quelli che - innocentemente - rischiano di perdere di più. E, con loro, tutti noi. I nostri figli inclusi.

Per sconfiggere il razzismo di ogni tipo è necessario promuovere il senso di appartenenza. Un aneddoto personale. Mio figlio frequenta la scuola cinese pomeridiana di piazza Vittorio a Roma. L’altro giorno nella sua classe un paio di bambini hanno cominciato a chiamarlo in cinese “waiguoren” che vuole dire straniero. Lui, nato a Roma, figlio di un’italiana, in classe era considerato straniero. Su che base? Due veramente: Il colore della pelle-la forma degli occhi e la mancanza di senso di appartanenza alla comunità italiana di quei bambini di origine cinese. Entrambi i fattori sono largamente presenti nella nostra cultura dominante: siamo abituati a sentire come straniero chi non ci assomiglia e non consentiamo a chi fa parte integrante della nostra comunità di sentirsi tale fin da subito.

La direzione della legge Granta-Sarubbi va oltre gli steccati di partito e guarda solo all’interesse del nostro Paese.


http://bianchi.blogautore.espresso.repubblica.it/
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Ho una trentina di cause. E non riesco ad avere una polizza per le spese legali

- di Milena Gabanelli -


Lettera al Corriere della Sera - la Rai ha l'intenzione di togliere la tutela legale a Report.

Luigi Ferrarella, sulle pagine di questo giornale, ha sollevato un problema che condivido e mi tocca da vicino: la pressione politica (che in Italia è particolarmente anomala) sul condizionamento della libertà d’informazione forse non è l’aspetto più importante, anche se ciclicamente emerge quando coinvolge personaggi noti. Per questo facciamo grandi battaglie di principio e ignoriamo gli aspetti «pratici». Premesso che chiunque si senta diffamato ha il diritto di querelare, che chi non fa bene il proprio mestiere deve pagare, parliamo ora di chi lavora con coscienza. Alla sottoscritta era stata manifestata l'intenzione di togliere la tutela legale.

La direzione della terza rete ha fatto una battaglia affinché questa intenzione rientrasse, motivata dal dovere del servizio pubblico di esercitare il giornalismo d’inchiesta assumendosene rischi e responsabilità. Nell’incertezza sul come sarebbe andata a finire ho cercato un’assicurazione che coprisse le spese legali e l’eventuale danno in caso di soccombenza dovuta a fatti non dolosi. Intanto sul mercato italiano, di fatto, nessun operatore stipula polizze del genere, mentre su quello internazionale questa prassi è più diffusa. Bene, dopo aver compilato un questionario con l’elenco del numero di cause, l’ammontare dei danni richiesti e l’esito delle sentenze, una compagnia americana e una inglese, tenendo conto del comportamento giudicato fino a questo momento virtuoso, si sono dichiarate disponibili ad assicurare l’eventuale danno, ma non le spese legali. Sembra assurdo, ma il danno è un rischio che si può correre, mentre le spese legali in Italia sono una certezza: le cause possono durare fino a 10 anni e chiunque, impunemente, ti può trascinare in tribunale a prescindere dalla reale esistenza del fatto diffamatorio.

A chi ha il portafogli gonfio conviene chiedere risarcimenti miliardari in sede civile, perché tutto quello che rischia è il pagamento delle spese dell’avvocato. L’editore invece deve accantonare nel fondo rischi una percentuale dei danni richiesti per tutta la durata del procedimento e anticipare le spese ad una montagna di avvocati. Solo un editore molto solido può permettersi di resistere. Quattro anni fa mi sono stati chiesti 130 milioni di euro di risarcimento per un fatto inesistente, e la sentenza è ancora di là da venire. Se alle mie spalle invece della Rai ci fosse stata un’emittente più piccola avrebbe dovuto dichiarare lo stato di crisi. Visto che ad oggi le cause pendenti sulla mia testa sono una trentina, è facile capire che alla fine una pressione del genere può essere ben più potente di quella dei politici, e diventare fisicamente insostenibile. Questo avviene perché non esiste uno strumento di tutela. L’art. 96 del codice di procedura civile punisce l’autore delle lite temeraria, ma in che modo? Con una sanzione blanda, quasi mai applicata, che si fonda su una valutazione tecnica «paghi questa multa perché hai disturbato il giudice per un fatto inesistente». Nel diritto anglosassone invece la valutazione è «sociale», e il giudice ha il potere di condannare al pagamento di danni puntivi «chiedi 10 milioni di risarcimento per niente? Rischi di doverne pagare 20». La sanzione è parametrata sul valore della libertà di stampa, che viene limitata da un comportamento intimidatorio. La condanna pertanto deve essere esemplare. Ecco, copiamo tante cose dall’America, potremmo importare questa norma. Sarebbe il primo passo verso una libertà tutelata prima di tutto dal diritto. Al tiranno di turno puoi rispondere con uno strumento politico, quale la protesta, la manifestazione, ma se sei seppellito dalle cause, anche se infondate, alla fine soccombi.


http://www.antimafiaduemila.com/content/view/19940/48/
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Sicurezza sul lavoro: la denuncia alla Commissione Europea

Pubblichiamo in allegato l'analisi di alcuni articoli contenuti all'interno del Dlgs 106/09 (decreto correttivo al Dlgs 81/08-Testo unico per la sicurezza sul lavoro), fatta pervenire alla redazione da Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. L'analisi riguarda le diffomità in essi contenuti rispetto alle Direttive Europee e alle Leggi fondamentali dello Stato Italiano. La denuncia è stata inviata oggi al Segretario Generale della Commissione Europea.


SCARICA IL TESTO


http://www.articolo21.info/9028/notizia/sicurezza-sul-lavoro-la-denuncia-alla-commissione.html
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"Festa Della Libertà"

dal Blog di Piero Ricca

Festa Della Liberà

Caro Piero,

mi chiamo Davide, ho 23 anni, ti scrivo per raccontarvi un fatto del tutto irreale che ieri mi ha avuto come protagonista davanti all’entrata secondaria del Lido di Milano.
Come ben noto, era il giorno del comizio del presidente Berlusconi. Cosi, prendo il mio scooter e vado fuori dal lido per cercare di chiedere un paio di cose al Premier.
Arrivato a destinazione, parcheggio il mezzo in P.le Stuparich e mi siedo sul marciapiede un poco decentrato dall’altra parte dell’entrata, di fianco a due camionette dei carabinieri parcheggiate. Dopo quattro secondi netti arriva il primo carabiniere dicendomi in tono sostenuto che dovevo andare via di li. Ci tengo a precisare che la mia persona si presentava cosi: scarpa da tennis bianca, jeans, maglia nera,felpa a righe, borsa a tracolla con all interno altre due felpe, un libro, un quotidiano, un deodorante. Ero disarmato, senza droghe e null’altro in mio possesso, una personcina a modo, innocua, seduta sul ciglio di una strada di Milano.
Tornando alla descrizione dei fatti, dopo ripetute richieste da parte dell’agente di togliermi di mezzo e altrettanti no in risposta, si presenta un signore ingiaccato e incravattato sulla cinquantina, che con fare paterno mi consiglia di allontanarmi aggiungendo che quelli come me li conosce bene. Alla mia richiesta di spiegazioni, visto che non stavo facendo nulla di male ed ero solo, risponde che non può dirmelo: “segreto di stato!”- gli rispondo con un sorriso a 60 denti. Lui rincara la dose dicendomi anche che in quella strada al momento c’era divieto di sosta e fermata! Al che mi è venuto spontaneo alzarmi e chiedere quale somiglianza trovava tra me e, chessò, un’auto, un motorino, un pullman… I toni cominciano a farsi piu accesi, mi prendono per un braccio e portano davanti al palalido, li mi viene chiesto il documento che senza problema gli consegno, al che il simpatico ometto se ne va in mezzo ad un altro gruppetto di carabinieri e comincia a parlare alla radio, ne avrà per 30 minuti! Nel frattempo continuo a cercare di avere qualche spiegazione sul perché un libero cittadino solo, incensurato, disarmato non possa stare davanti all’entrata di un palazzetto ad aspettare il proprio Presidente del Consiglio, ma nulla: i tutori dell’ordine restano impassibili. Dopo aver chiacchierato al telefono con chissà chi, torna l’ometto incravattato e con lui altri cinque colleghi, che sembrano i Blues Brothers. L’uomo incravattato, indicandomi, chiede ai colleghi se mi conoscevano, loro chiaramente rispondono: “no, mai visto!”; l’incravattato ribatte con un imperativo da film d’azione: “da oggi lo conoscete!”, suscitando in me una fragorosa risata di incredulità! Occhio, lui è quel ragazzo pericoloso che siede sui marciapiedi di Milano, attenzione!
Dopo il simpatico siparietto con i simil Blues Brothers, il nostro eroe decide di tornare al telefono sempre col mio documento in mano, io stufo e parecchio innervosito ormai per la paradossale situazione in cui mi trovavo, decido di estrarre dai pantaloni il cellulare e fare un paio di foto all’agente col mio documento in mano, ma appena il collega mi vede puntare il telefono in direzione dell’ometto, decide di storcermi il polso giustificandosi con un: “cosa stai facendo? di foto non se ne possono fare!”; comincio a chiedere ai carabinieri presenti se si rendono conto che sono parte integrante di un regime, anzi che lo stanno facendo fiorire, esercitando la repressione verso semplici cittadini. Nessuno fiata, tutti in silenzio, io continuo.
Dopo poco torna l’agente col documento e mi invita a prendere lo scooter e andare via subito, io ormai in loop chiedo perchè una persona libera che non sta facendo nulla di male non può stare nemmeno a 300 metri dalla porta da dove poco dopo sarebbe arrivato il Premier. Nessuna risposta. Caro Piero, il mio non è il primo né l’ultimo fatto del genere, però mi sento di raccontarlo a te, per dare a chi legge un motivo in più per riflettere se un sistema politico che non tollera la presenza fisica di un potenziale e pacifico dissidente sia la democrazia che avevano in mente coloro che scrissero la Costituzione, la stessa su cui poliziotti e questori, se non mi sbaglio, dovrebbero aver giurato.

Saluti, Davide

Risposta

Caro Davide,

grazie della lettera. Gli attuali governanti fanno i gradassi ma hanno paura di ogni singola voce di dissenso, di una domanda, di una notizia, di una pernacchia. E per questo condizionano i capi della polizia. Se una voce si leva dal coro qualche testa rischia di saltare. Ecco che allora i capetti schierano in massa la manovalanza. E i soldati semplici eccedono nello zelo pur di non subire lavate di testa dai superiori. C’è da indignarsi ma non da stupirsi: capetti e soldati semplici sono solo rotelle di un ingranaggio gerarchico controllato dalla peggiore classe politica d’Europa: un po’ mafiosa, un po’ fascista, un po’ piduista, un po’ affarista, un po’ secessionista, un po’ clericale, un po’ anzi molto delinquenziale, un po’ anzi prima di tutto democraticamente e moralmente analfabeta. Son passato anch’io ieri davanti al palalido, per registrare l’ennesimo fotogramma da regimetto bananiero. Erano centinaia le rotelle in borghese e in divisa, a proteggere il sorriso di plastica di un pagliaccio in doppiopetto. Un avanzo di tribunale protetto dall’esercito, ecco l’atmosfera: niente male no? Un tipetto così sicuro di sé e dei suoi sondaggi da far sgomberare interi quartieri quando si esibisce in pubblico. Noi eravamo in due, su uno scooter. Appena ci siamo fermati ce ne sono arrivati addosso una mezza dozzina, poi è uscito un tipo tutto leccato, insaccato in un ridicolo gessato. Aveva l’aria del padrone di casa e ci ha consigliato di andarcene avvisandoci che avevano già preso il numero di targa dello scooter. Nemmeno di sederci su una panchina nel parchetto del piazzale ci è stato permesso,”per motivi di sicurezza”. Ci ha raggiunto una coppia di ragazzi che venivano dal comizio, per dirci che se ne andavano nauseati per quello che avevano visto e sentito, per il clima di fanatica intolleranza verso chi non manifestava - con le ovazioni, con i frequenti battimani, con l’espressione del viso - un vivo e sincero entusiasmo per le sparate del leader, una su tutte: le scritte sui muri contro i militari morti a Kabul attribuite con un triplice vergogna all’opposizione parlamentare. Ma qualcuno, dopo il comizio, è riuscito ad avvicinarlo e a compiere il temutissimo agguato: una ragazza giovanissima, ben diversa dalle aspiranti noemi e carfagne… Le rotelle dell’ingranaggio, mai troppo solerti, non hanno riconosciuto in lei la potenziale guastafeste. Ecco la sua lettera. P.

Ciao Piero!

Sono Roberta. Oggi sono andata alla “Festa della Libertà”. Un clima surreale: signorotti con Libero (da quel che ho capito regalato dallo staff) sottobraccio, giovani mamme che insegnavano ai bambini a dire “Silvio”. Dopo esserci sorbiti un’ora e mezza di menzogne e applausi, io e mio papà siamo andati sul retro del palco e sono riuscita ad intrufolarmi. Ho seguito il tuo consiglio: l’ho chiamato per nome, lui felice mi ha stretto la mano e io gli ho detto “Silvio, fai uno smacco ai comunisti, fatti processare, dimostra la tua innocenza in un tribunale, come tutti i cittadini, hai capito? Vai in tribunale, rinuncia al lodo Alfano!” Poi una guardia del corpo mi ha detto che sì, aveva capito e potevo anche andarmene. Mio papà ha filmato l’incontro, ma, a causa della bassa risoluzione della fotocamera e del vociare di osannanti elettori, la qualità non è ottimale. In ogni caso ti farò avere il video al più presto.
Grazie di tutto. Roberta

Fonte: http://www.pieroricca.org/2009/09/28/festa-della-liberta/

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venerdì 18 settembre 2009

Il regime delle tv vuole le donne al grado zero di essere pensante

di Iaia Caputo

In questo Paese malato, sull’orlo dell’abisso e, fatto ancor più grave, con un sistema immunitario che al momento sembra incapace di reagire, è accaduto in questi ultimi mesi qualcosa di straordinario.

Dopo essere caduta in sonno per molti, troppi anni, la questione femminile (non le donne!), non solo riemerge con forza animando più di un dibattito appassionato e ricchissimo di voci,ma“grazie” agli scandali sessuali che riguardano il premier, all’esibito e sfrontato tentativo di cooptazione di giovani e belle donne, alle quali nell’ultima tornata elettorale era stato promesso indifferentemente un posto in lista (Parlamento Europeo o Consiglio circoscrizionale a secondo delle circostanze) o una carriera nel mondo dello spettacolo; «grazie» all’abuso che la televisione ha compiuto delle donne, giovani e meno giovani, maltrattandone le presenze e degradandole a soli corpi da esibizione; «grazie» ai tentativi sempre più protervi di attentare attraverso nuove leggi e vecchi divieti libertà che si ritenevano acquisite da decenni (vedi pillola Ru486), la questione femminile non solo oggi salta agli occhi come vera e propria emergenza democratica, ma si afferma come «anomalia » italiana, inestricabilmente e drammaticamente legata a tutte le altre anomalie che affliggono il Paese.

Si può forse definire democratico un Paese nel quale un solo uomo controlla insieme potere politico e la quasi totalità del sistema dell’informazione, irridendo, minacciando, se non perseguitando, qualunque testata o giornalista osi dissentire, e persino chi pretende esclusivamente di esercitare il proprio diritto/dovere a informare liberamente? Che non esita a utilizzare la stampa amica per colpire chi amico non è? Che manipola, distorce e piega la realtà e la verità a suo piacimento? Che si è sottratto a ogni procedimento giudiziario fabbricandosi leggi ad personam?

L’elenco potrebbe continuare ancora a lungo, e la risposta resterebbe, comunque, no. Ma allo stesso tempo che democrazia può vantare un Paese di donne e di uomini che ha escluso le prime da (quasi) ogni luogo dove si decide come, con quali leggi, criteri, principi e risorse tutti noi cittadini, donne e uomini, dobbiamo e possiamo vivere? Che democrazia è quella dove appare un’utopia poter vedere una donna battersi per la leadership di un partito (e basta ricordare che in Francia due donne erano in corsa per la segreteria del partito socialista), per la carica a premier, per la presidenza della Corte Costituzionale o della Repubblica? E qui non si tratta di rivendicare (o certamente non solo) l’esercizio di un potere negato, ma proprio di una basilare idea di giustizia.

D’altra parte, se questo regime mediatico-populista ha estromesso le donne dalla scena pubblica, le ha poi reintrodotte nell’immaginario collettivo e nella pervasiva sintassi simbolica al grado zero di esseri pensanti, le ha rese protagoniste di vicende boccaccesche, promosse con pratiche e scambi degni di Bisanzio per poi abbandonarle al proprio destino appena la loro presenza rischiava di compromettere pubbliche carriere e falsissime virtù: dalla minorenne di Casoria che Qualcuno trovava avesse un viso da madonna alla escort D’Addario che, sempre lo stesso Qualcuno, oggi minaccia di diciotto anni di galera.

E d’altra parte, quando a un appuntamento di rilevanza europea, un leader politico può dire che rappresenta una nazione di Don Giovanni e Casanova, e che la conquista (del genere femminile) è uno dei grandi piaceri della vita, stiamo già assistendo a un tale degrado antropologico e a un’esibizione di modelli così poveri che siamo obbligati a pensare con grande preoccupazione di cosa ne sarà delle nuove generazioni di donne, e di uomini, e a sentirci responsabili, se non ci opporremo con forza e determinazione, di questa barbarie culturale.

Ma in questa Italia malata e smarrita nessuno è senza peccato: la metodica estromissione delle donne dai gangli vitali del Paese è infatti un vulnus democratico che data decenni. Perché tutti, ma proprio tutti gli uomini, o i sistemi da loro controllati, nei partiti e nei giornali, nelle televisioni e nelle università, le donnele hannoestromesse ogni volta che hanno potuto, e che lo abbiano potuto fare in diversi casi anche con la nostra connivenza, per antica consuetudine a farci da parte, o a voltare le spalle alle battaglie da fare non in nome di qualcosa ma proprio per noi stesse, conta assai poco. (...)

E noi? Da dove ripartire? Qual è la nostra priorità adesso? Forse cominciando, ciascuna e tutte insieme, a credere di più in noi stesse, che poi significa convincersi che non solo possiamo essere al primo posto e in prima fila nelle battaglie politiche che ci aspettano da ora in avanti. Di più. Dobbiamo finalmente credere che non c’è nessun’altra questione più importante, più urgente, più drammatica. Perché quell’anomalia che riguarda la nostra assenza dalla scena pubblica attraversa tutte, una per una, tutte le altre anomalie italiane. E non c’è più tempo da perdere. Allora, su la testa e rimbocchiamoci le maniche.


fonte: http://www.unita.it/news/il_dibattito_su_l_unit_/88510/il_regime_delle_tv_vuole_le_donne_al_grado_zero_di_essere_pensante
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Lo Stato è Cosa Nostra

di Ferdinando Imposimato, da La Voce delle Voci

Molti anni fa una giornalista americana, Judith Harris, del Reader's Digest, mi chiese quale fosse la differenza tra Brigate rosse e mafia. Senza pensarci due volte risposi: le Br sono contro lo Stato, la mafia è con lo Stato. E spiegai che la capacità della mafia è di intessere legami stretti con le istituzioni - politica, magistratura, servizi segreti - a tutti i livelli. Con le buone o le cattive maniere. Chi resiste, come Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, viene eliminato, senza pietà. Collante tra mafia e Stato è da sempre la massoneria. Questo sistema di legami, che risale alla strage di Portella della Ginestra, non si è mai interrotto nel corso degli anni, anzi si è rafforzato ed è diventato più sofisticato. Ma molti hanno fatto finta che non esistesse. Complice la stampa manovrata da potenti lobbies economiche.

Da qualche tempo è affiorato, nelle indagini sulle stragi mafiose del 1992, il tema della possibile trattativa avviata da Cosa Nostra tra lo stato e la mafia dopo la strage di Capaci, per indurre le istituzioni ad accettare le richieste mafiose: questo sarebbe il movente della uccisione di Borsellino. Non ho dubbi che le cose siano andate proprio in questo modo. Ma per capire quello che si è verificato ai primi anni '90, occorre uno sguardo verso il passato. Partendo dall'assassinio di Aldo Moro e da ciò che lo precedette e lo seguì.

Con la riforma del 1977, che istituì il Sismi ed il Sisde, i primi atti del presidente del consiglio Giulio Andreotti e del ministro dell'interno Francesco Cossiga furono la nomina ai vertici dei servizi segreti di Giuseppe Santovito e Giulio Grassini, due generali affiliati alla P2 di Licio Gelli: che già allora era legato a Totò Riina, il capo di Cosa Nostra. Furono diversi mafiosi a rivelare questo collegamento tra Gelli e Riina.

I servizi segreti di quel tempo non persero tempo: strinsero patti scellerati con Pippo Calò e la banda della Magliana, contro la quale, senza rendermene conto, fin dal 1975 avevo cominciato ad indagare, assieme al pm Vittorio Occorsio: con lui trattavo alcuni processi per sequestri di persona, tra cui quelli di Amedeo Ortolani, figlio di Umberto, uno dei capi della P2, di Gianni Bulgari e di Angelina Ziaco; sequestri che vedevano coinvolti esponenti della Magliana, della P2 e del terrorismo nero. Tra gli affiliati alla loggia di Gelli c'era un noto avvocato penalista, riciclatore del denaro dei sequestri, che poi venne stranamente assolto dopo che Occorsio aveva dato parere contrario alla sua scarcerazione. Di quella banda facevano parte uomini come Danilo Abbruciati, legati alla mafia ed ai servizi segreti. Occorsio, che aveva scoperto l'intreccio tra la strage di Piazza Fontana, l'eversione nera e la massoneria, venne assassinato l'11 luglio 1976. Per l'attentato fu condannato Pier Luigi Concutelli, che risultò iscritto alla loggia Camea di Palermo, perquisita da Falcone.

La mia condanna a morte fu pronunciata, probabilmente dalla stessa associazione massonica, subito dopo che fui incaricato di istruire il caso Moro, in cui apparvero uomini della mafia guidati da Calò, i capi dei servizi manovrati dalla banda della Magliana e politici amici di Gelli. A raccontarlo al giudice Otello Lupacchini fu il mafioso Antonio Mancini; costui disse che verso la fine del 1979 o i primi del 1980, avendo fruito di una licenza dalla Casa di lavoro di Soriano del Cimino, non vi aveva fatto rientro; in occasione di un incontro conviviale in un ristorante di Trastevere, l'Antica Pesa o Checco il carrettiere, cui aveva partecipato assieme ad Abbruciati, a Edoardo Toscano, ai fratelli Pellegrinetti, a Maurizio Andreucci e a Claudio Vannicola, mentre si discuteva del controllo del territorio del Tufello per il traffico di stupefacenti, si parlò «di un attentato alla vita del giudice Ferdinando Imposimato». «Dal discorso si capiva che non si trattava di un'idea estemporanea: era evidente che erano stati effettuati dei pedinamenti nei confronti del magistrato e della moglie; che erano stati verificati i luoghi nei quali l'attentato non avrebbe potuto essere eseguito con successo; si era stabilito che comunque non si trattava di un obiettivo impossibile, per carenze della sua difesa nella fase degli spostamenti in auto: il luogo in cui l'attentato poteva essere realizzato era in prossimità del carcere di Rebibbia dove la strada di accesso all'istituto si restringeva e non vi erano presidi militari di alcun genere». Proseguiva Mancini: «Quando sentimmo il discorso che si fece a tavola, io e Toscano pensammo che l'attentato dovesse essere una sorta di vendetta per l'impegno profuso dal magistrato nei processi per sequestri di persona da lui istruiti e che avevano visto coinvolti i commensali, i quali parlavano del giudice Imposimato definendolo "quel cornuto che ci ha portato al processo" Successivamente, parlando dell'attentato ai danni del giudice Imposimato, Abbruciati mi spiegò che, al di là delle ragioni personali che pure aveva, aveva ricevuto una richiesta in tal senso "da personaggi legati alla massoneria", dei quali il giudice Imposimato aveva toccato gli interessi».

In seguito, durante le indagini su Andreotti per l'omicidio di Mino Pecorelli, il procuratore della Repubblica di Perugia accertò che alla riunione, nel corso della quale si parlò dell'attentato alla mia persona, avevano partecipato due uomini dei servizi segreti militari italiani di cui Mancini fece i nomi: essi furono incriminati e rinviati a giudizio per favoreggiamento. In seguito i due mi avvicinarono dicendomi che loro «non c'entravano niente con quella riunione» e che «evidentemente c'era stato uno scambio di persone da parte di Mancini, altri due uomini del servizio erano coloro che avevano preso parte a quell'incontro in cui venne annunciata la condanna a morte». Ovviamente non fui in grado di stabilire chi fossero i due agenti dei servizi. Restava il fatto che c'era stato un summit tra agenti segreti e mafiosi per decidere di eliminare, per ordine della massoneria, un giudice che istruiva due processi "scottanti": quello sulla banda della Magliana e il processo per la strage di via Fani, il sequestro e l'assassinio di Moro. Nè io potevo occuparmi di una vicenda che mi riguardava in prima persona come obiettivo da colpire.

Ma nessuno - tranne Falcone, che seppe, mi sembra da Antonino Giuffrè, che Riina aveva avallato l'assassinio di mio fratello - si preoccupò di stabilire chi dei servizi avesse partecipato al summit in cui era stato annunciato l'imminente assassinio del giudice che in quel momento si stava occupando del caso Moro. Processo in cui, trenta anni dopo, venne alla luce il ruolo determinante della massoneria, della mafia e della politica.

In quel periodo non mi occupavo solo di sequestri di persona, ma anche del falso sequestro di Michele Sindona, altro uomo della P2, e dell'assassinio di Vittorio Bachelet, dei giudici Girolamo Tartaglione e Riccardo Palma e, naturalmente, del caso Moro; ed avrei accertato, dopo anni, che della gestione del sequestro Moro si erano occupati, nei 55 giorni della prigionia, i vertici dei servizi segreti affiliati alla P2 e legati alla banda della Magliana. Ma tutto questo all'epoca non lo sapevo: la scoperta delle liste di Gelli avvenne nella primavera del 1981. Ciò che è certo è che il capo del Sismi, Santovito, piduista, era nelle mani di uomini della Magliana, articolazione della mafia a Roma. E dunque il racconto di Mancini era vero in tutto e per tutto. Qualcuno voleva evitare che la mia istruttoria su Moro e quella sulla banda della Magliana mi portassero a scoprire il complotto politico-massonico che, con la strumentalizzazione di sanguinari ed ottusi brigatisti, aveva decretato l'assassinio di Moro per fini che nulla avevano a che vedere con la linea della fermezza.

Il disegno di costringermi a lasciare il processo sulla Magliana e quello sulla strage di via Fani riuscì, ma non secondo il piano dei congiurati. La mia uccisione non ebbe luogo per le precauzioni che riuscii a mettere in atto, ma nel 1983, nel pieno delle indagini su Moro, venne ucciso mio fratello Franco da uomini della mafia manovrati da Calò: gli stessi che avevano eseguito la vergognosa messinscena del 18 aprile 1978, ossia la morte di Moro nel lago della Duchessa. Era evidente come il Sismi, che si era servito del mafioso Antonio Chichiarelli per preparare il falso comunicato, erano tutt'uno con la mafia, della quale si servivano per compiere operazioni sporche di ogni genere, compresa quella del lago della Duchessa, che provocò una reazione violenta delle Br contro Moro, divenuto "pericoloso".

A distanza di 30 anni dal processo Moro e di 26 anni dall'assassinio di mio fratello Franco - assassinio che mi costrinse a lasciare la magistratura e tutte le mie inchieste - ho avuto la possibilità di scoprire quali fossero le ragioni del progetto criminale contro di me: impedirmi di conoscere il complotto contro Moro. Non era una trattativa tra Stato e mafia, ma un vero e proprio accordo tra servizi, mafia e massoneria, che, con la benedizione dei politici, sancì prima la eliminazione di Moro e poi la mia esecuzione: la quale fallì, ma si ritorse contro mio fratello Franco, il quale prima di morire, mi chiese di non abbandonare le indagini. Il risultato fu che dopo quel barbaro assassinio fui costretto ad abbandonare tutte le inchieste sulla mafia e sui legami tra mafia, massoneria e stragismo. E nel 1986 dovetti rifugiarmi alle Nazioni Unite.

Durante le indagini che io conducevo a Roma sul falso sequestro Sindona, Falcone a Palermo per associazione mafiosa, e Turone e Colombo a Milano per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli, venne fuori a Castiglion Fibocchi, nella villa di Gelli, l'elenco degli iscritti alla P2. Enorme fu la sorpresa degli inquirenti: comprendeva i capi dei servizi segreti italiani e del Cesis, l'organismo che coordinava i servizi, e di quelli che facevano parte del Comitato di crisi del Viminale. Quel comitato che era stato istituito da Cossiga con l'avallo di Andreotti. Dopo la scoperta, venne decisa dal ministro Virginio Rognoni l'epurazione degli uomini di Gelli dai servizi e dal ministero dell'interno; ma di fatto non fu così. La Loggia del Venerabile mantenne il controllo sui servizi segreti, come ebbe modo di accertare la Commissione parlamentare sulla P2; e le deviazioni continuarono, con la complicità dei vari governi che si susseguirono. La corruzione dei politici di governo, le intercettazioni abusive su avversari politici, giornalisti e magistrati, i ricatti fondati su notizie personali sono stati una costante della vita dei servizi (la vicenda Pollari-Pompa docet) senza che mai i responsabili abbiano pagato per le loro colpe.

Oggi è riesplosa sulla stampa, per pochi giorni, la storia legata alla morte di Borsellino, subito silenziata dai mass media. La magistratura di Caltanissetta ha riaperto un vecchio processo che collega la sua tragica morte a moventi inconfessabili legati a menti raffinate delle stesse istituzioni. L'ipotesi investigativa prospetta la possibilità che Borsellino sia rimasto schiacciato nell'ingranaggio micidiale messo in moto da Cosa Nostra e da una parte dello Stato in sintonia con la mafia, allo scopo di trattare la fine della violenta stagione stragista in cambio di concessioni ai mafiosi responsabili di crimini efferati come la strage di Capaci. Si trattava di una vergogna, un'offesa alla memoria di Falcone ed ai cinque poliziotti coraggiosi morti per proteggerlo. Salvatore Borsellino dice che le prove di questa ricostruzione erano nell'agenda rossa sparita del fratello Paolo, il quale, informato di questa infame proposta, probabilmente ha reagito con sdegno e rabbia: sapeva che lo Stato voleva scendere a patti con gli assassini. Di qui la decisione di accelerare la sua fine.

Ricordo che in quel tragico luglio del 1992, poco prima della strage di via D'Amelio, ero alla Camera dei deputati dove le forze contigue alla mafia erano ancora prevalenti e rifiutavano di approvare la norma voluta da Falcone, da me e da molti altri magistrati antimafia: la legge sui pentiti e il 41 bis. Nonostante la morte di Falcone, non c'era la maggioranza. Fu necessaria la morte di Borsellino per il suo varo. E oggi la si vuole abrogare.

L'aspetto più inquietante riguarda il ruolo di un ufficio situato a Palermo nei locali del Castello Utveggio, riconducibile ad attività sotto copertura del Sisde, entrato nelle indagini per la stage di via D'Amelio dopo la rivelazione della sua esistenza avvenuta durante il processo di Caltanissetta ad opera di Gioacchino Genchi. Al numero di quell'ufficio dei servizi giunse la telefonata partita dal cellulare di Gaetano Scotto, uno degli esecutori materiali della strage di via D'Amelio. Mi pare ce ne sia abbastanza per ritenere certo il coinvolgimento di apparati dello Stato.

fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/lo-stato-e-cosa-nostra/
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Il peggio è passato

di Rita Pani (APOLIDE)

Certo, metti che la tv a un tratto impazzisca e si metta a parlare di economia, di politiche sociali, di lavoro e sanità, di scuola o cultura; sarebbe un gran casino.

Metti che d’un tratto spariscano dalla tv tutti i reality show, che ormai sembrano aver sostituito l’istituto dell’affido ai servizi sociali per ex carcerati, troie ravvedute e ragazze con problemi di dipendenza da cocaina; sarebbe un gran casino.

Pare che in Italia il peggio – economicamente parlando – debba ancora arrivare, e sarà intorno alla seconda metà dell’anno prossimo. La disoccupazione arriverà a toccare punte che l’Italia toccò solo nel dopoguerra. Gli istituti europei di economia non riescono a stimare quale sia la reale situazione italiana: mancano i dati del governo. In Italia è più facile stimare la frequenza dei rapporti sessuali del premier: si hanno più notizie. Anzi, sembra che le cifre spese per questa sua attitudine maniacale possano persino incrementare il PIL.

In Italia i numeri sono sempre un problema. In Italia nemmeno la matematica è una scienza esatta. In Italia la matematica è un’opinione spesso di propaganda. La stampa farabutta, per esempio: se berlusconi è il monopolista dell’editoria, come possono essere due o tre giornali, la maggioranza di stampa farabutto/ comunista? Se su 6 televisioni di stato 5 sono in mano sua e la sesta è in via di demolizione, dove sta la maggioranza dei comunisti?

Le domande sono retoriche, le risposte impossibili. D’Altronde è impossibile anche sapere quali siano i dati reali della disoccupazione, i dati reali delle esportazioni illegali di capitali all’estero, ed è impossibile sapere chi si prepara a speculare con l’ennesimo condono salva ladri, pensato dal ministro per l’economia fantastica e creativa, il ragionier Ugo tremonti.

Ma chi se ne frega? L’autunno sembra essere arrivato con un po’ d’anticipo, il gas aumenterà come la benzina ad agosto, ma i palinsesti invernali aiuteranno l’italiota medio a riprendere appieno la sua vita, e torneranno anche le fiction basate sulla realtà irreale di questo universo parallelo in cui viviamo. Cazzo! Persino la prima fiction fortemente voluta dal governo padano abusivamente governante in Italia, che racconta le gesta del Barbarossa. L’ha voluta bossi in persona, mica cazzi! Girata in Romania, il popolo del carroccio sarà rappresentato dalle comparse Rom.

È la legge del contrappasso, o forse solo quella di Murphy.


fonte: http://guevina.blog.espresso.repubblica.it/resistenza/2009/09/il-peggio-%C3%A8-passato.html
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Il cordoglio e l’umana pietà per i militari italiani morti a Kabul sono incompatibili con la difesa della libertà di stampa?

di Paolo Flores d'Arcais

Lo sconcertante rinvio della manifestazione di sabato 19

Il cordoglio e l’umana pietà per i militari italiani morti a Kabul sono incompatibili con la difesa della libertà di stampa? Solo a chi coltiva a una follia del genere poteva venire in mente di spostare la manifestazione di sabato, quasi che essa, in quanto di denuncia dell’attuale governo (anzi regime) debba essere vissuta come ipso facto anti-nazionale, anziché in sommo grado patriottica, come in effetti era, poiché con l’obiettivo di salvare il paese dall’abiezione in cui il berlusconismo lo sta precipitando.
La verità è che da molti quella manifestazione era stata indetta controvoglia. Nella Federazione della Stampa convive di tutto, infatti, dai giornalisti-giornalisti agli aficionados del killeraggio mediatico contro gli oppositori del regime (o anche i sostenitori del governo che solo accennino alla fronda), passando per tutte le gradazioni del giornalismo d’establishment. Le cause milionarie (megamiliardarie, se calcolate in vecchie lire) con cui l’egocrazia vuole piegare ogni residuo di libertà critica non sono cominciate infatti con i recenti casi di l’Unità e la Repubblica. Ne sanno qualcosa Antonio Tabucchi, per il quale si sono mobilitati scrittori di tutto il mondo, o Gianni Barbacetto, per non parlare delle infinite cause intentate contro Marco Travaglio. Ma non risulta che fino ad oggi la Federazione della Stampa si sia mossa in loro difesa, chiamando a manifestare.
La verità è che la manifestazione avrebbero dovuto indirla i partiti dell’opposizione, dispiegando tutte le loro forze organizzative e comunicative, affidando poi ai tre giuristi dell’appello che sta sfiorando 400 mila adesioni, Cordero, Rodotà e Zagrebelsky, tre tra le figure più alte dell’Italia di oggi, ogni decisione sugli interventi dal palco e lo svolgimento della manifestazione.
Rinunciando alla manifestazione non si dimostra un maggior cordoglio per i soldati italiani uccisi a Kabul. Si confessa solo il timore per il linciaggio mediatico che il regime avrebbe scatenato proprio con questo aberrante pretesto. Si confessa cioè la propria inadeguatezza a contrastarlo e rovesciarlo, quel linciaggio, facendo appello alla ragione e alla passione civile di decine di milioni di italiani che sarebbero stati certamente in grado di capire, e di condannare con ancora più forte convinzione un regime che avesse cinicamente strumentalizzato i morti per oltraggiare una manifestazione di libertà.

fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/flores-darcais-il-cordoglio-e-l%E2%80%99umana-pieta-per-i-militari-italiani-morti-a-kabul-sono-incompatibili-con-la-difesa-della-liberta-di-stampa/
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Via da Kabul, dove e' sempre strage

di Pino Cabras

L'inutile guerra afghana in un solo colpo ha ucciso sei italiani. Non siamo abituati a fare i conti con questi prezzi, e perciò la notizia per giorni occuperà le prime pagine.

Potrebbe occupare assai meno spazio togliendo le tante cose inutili: la retorica, il cordoglio stereotipato, fino alle analisi sbagliate di questo o quell'esponente del Governo e del Partito Democratico.
Ci sarà invece poco spazio per l'unica riflessione che ora conta: come andarsene?

La notizia della strage di Kabul ha raggiunto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso della sua visita ufficiale in Giappone. Probabile che interromperà il viaggio per rendere onore ai caduti con un solenne funerale di Stato. Tutti si aspettano questo da lui, che di suo non è tipo da sottrarsi ai rituali di un mondo politico che piange molto ma pensa poco. Sarebbe un atto coraggioso se invece continuasse la visita a Tokyo. Lì si è appena insediato il nuovo governo, formato per la prima volta da un partito, il Partito Democratico (quello giapponese, che è un'altra cosa), il quale da tempo pone l'urgenza di cambiare totalmente approccio alla guerra afghana, persino a partire dalla sua giustificazione originaria, gli attentati dell'11 settembre 2001, le cui versioni ufficiali sono messe in dubbio dai suoi massimi esponenti. Un coraggio che dalle nostre parti non si è meritato neanche un trafiletto.

E così continua l'immane spreco, di vite, di risorse, di prospettive. Recentemente, su «Asia Times», il giornalista d'inchiesta Pepe Escobar ha fatto un'analisi spietata sulle prospettive della guerra in Afghanistan: «dal novembre del 2001 al dicembre del 2008 l'amministrazione Bush ha bruciato 179 miliardi in Afghanistan, la NATO 102 miliardi. L'ex capo della NATO Jaap de Hoop Scheffer disse che l'Occidente avrebbe mantenuto le proprie truppe in Asia Centrale per 25 anni. Il capo di Stato maggiore britannico, Generale David Richards, lo corresse: gli anni sarebbero stati 40. Potete contare sul fatto che nel 2050 i taliban – “cattivi”, in forma e immuni al surriscaldamento globale – combatteranno ancora contro Enduring Freedom.»

Non sappiamo se la guerra durerà sino ad allora, anche perché ignoriamo se sarà considerato ancora sostenibile continuarla.

Il generale Stanley McChrystal chiede altri 45mila soldati statunitensi da aggiungere ad altri 52mila americani, e ai 68mila mercenari presenti da marzo 2009. Non stiamo includendo nel conto decine di migliaia di soldati NATO. Una simile strategia implica che in breve tempo saranno impantanati in Afghanistan più americani di quanti fossero i sovietici nel pieno dell'occupazione di quel paese oltre vent'anni fa. Tra le promesse facili di Berlusconi ora abbiamo il suo sonoro «yes» a Barack Obama, quando questi gli ha chiesto di raddoppiare il contingente italiano, dopo otto anni di una “Guerra al Terrore” che finanche la maggioranza dei cittadini americani considera praticamente senza sbocchi, cioè persa.

Una strage, Kabul come Nassiriya, sveglierà invece la retorica, le piazze da intitolare ai “nostri martiri”, in un'ottica tutta provinciale che non coglie che da quelle parti di Nassirya ne succedono quattro al giorno. Servirà una grande operazione di verità sulla missione in Afghanistan. Una missione di guerra, che nessuno sforzo orwelliano né la trita ampollosità di Napolitano può più mascherare – ancora oggi - come una «missione internazionale per la pace e la stabilità».


fonte: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/19514/48/
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Onna Videocracy - Tutte le bugie dello speciale L'Aquila di Porta a Porta

Video Porta a Porta - Berlusconi sta male

Uno spettacolo "imperdibile" quello consumatosi ieri sera negli studi televisivi di Porta a Porta. La puntata esclusiva dedicata al "trionfo aquilano" del premier Silvio Berlusconi è stata in grado di monopolizzare l'attenzione dei media nei giorni scorsi ed altresì di comportare lo slittamento di due trasmissioni in programma per la stessa fascia oraria: Ballarò su Raitre e Matrix su Canale 5.
Un cambio di palinsesto così repentino che in questo paese non trova paragoni neanche in occasione del Festival di Sanremo, della finale dei Mondiali di calcio o di un attentato terroristico nel centro di New York.

Un pericoloso gioco mediatico e democratico che poteva essere sorretto solo dall'alibi della necessità di garantire a questo evento straordinario il massimo ascolto possibile.
13,47% lo share della serata. Annientato dalla contro-programmazione di Canale 5 e tallonato dal gradevole "L'ispettore Coliandro" in onda su Raidue. Uno dei peggiori indici d'ascolto nella storia di Raiuno.
Il 68,4% della popolazione italiana, fervida sostenitrice del Presidente Berlusconi, ieri sembra avergli voltato le spalle.

La trasmissione ha fornito l'occasione per parlare di tutto: l'inaugurazione di Onna, i rapporti di amore-odio con Gianfranco Fini, gli scontri politici con l'UDC di Casini, De Gasperi versus Berlusconi, "le tasse della minoranza comunista", il problema dell'informazione in Italia.
Si è parlato di tutto tranne che dell'Aquila, dei fondi stanziati dallo Stato per la ricostruzione, della sistemazione della popolazione aquilana che non godrà della lotteria delle C.A.S.E., delle tasse che gli aquilani pagheranno con tanto di arretrati dal primo gennaio, dei soldi sottratti al "bonus famiglia" per finanziare l'emergenza, delle responsabilità politiche (sempre più emergenti) sull'incuria a danno degli edifici strategici del paese, delle accuse alla Commissione "Grandi Rischi".

Su L'Aquila, all'atto pratico, si è detto ben poco. E quel poco è stato farcito, arricchito ed aggraziato da una sequela patetica di menzogne. Queste menzogne.


Minuto 5:56.
Silvio Berlusconi: "Era proprio ad Onna che noi volevamo si ricominciasse a guardare al futuro con speranza, riprendendo una nuova vita. Abbiamo deciso quindi di dare la precedenza a questo villaggio".

Era davvero forte la volontà del governo di far ripartire tutto proprio da Onna. Tant'è che il 17 maggio gli abitanti del piccolo paesino martoriato scoprivano che il governo e la Protezione Civile avevano deciso tassativamente di non aprire nessun cantiere ad Onna. I cittadini avrebbero dovuto prendere posto negli anni a seguire negli alberghi e negli edifici del piano CASE, lontano dalle loro case (o da ciò che ne rimaneva).
Solo dopo numerose ed accorate proteste, sostenute peraltro dagli enti locali, la Croce Rossa e la Provincia Autonoma di Trento si sono fatte avanti per presentare il progetto delle villette in legno inaugurate ieri. Un progetto che il vice di Bertolaso, Bernardo De Bernardinis, alla fine, si è trovato costretto ad approvare.


Minuto 9:40.
Silvio Berlusconi: "...per completare il tutto entro la fine di novembre, i primi di dicembre. Il totale di persone sfollate che saranno sotto un tetto con una villa o un appartamento completamente arredati e dotati di tutti i comfort alla fine saranno 34/35 mila".

Il piano C.A.S.E. ed il piano M.A.P. (i moduli abitativi in legno) presentati e resi operativi da Governo e Protezione Civile garantiscono una sistemazione per fine anno complessivamente per 21 mila persone. 14 mila persone in meno di quelle dichiarate dal premier, che invece, allo stato attuale delle cose, dovranno vivere per molti mesi (o più probabilmente per alcuni anni) negli alberghi dell'intera regione. Niente ville o appartamenti arredati.


Minuto 15:04.
Bruno Vespa: "Un parlamentare serio come Anna Finocchiaro, capogruppo del Partito Democratico al Senato, ci ha invitato a stare ai fatti. Lei (Berlusconi, ndr) ha dato questi numeri come fatti. Lei ha detto che entro la fine dell'anno circa 30 mila persone entreranno in case come queste (ovvero MAP e CASE, ndr). Lei lo conferma?"
Silvio Berlusconi: "Assolutamente".

Si ribadisce un'inesistente verità.


Minuto 17:23.
Bruno Vespa: "Lei (Guido Bertolaso, ndr) ha agiunto che con la fine dell'anno lei cesserà il suo compito. Questo significa che con la fine dell'anno l'emergenza sarà finita. Questo significa che nessuno starà più fuori di una casa?"
Guido Bertolaso: "Esattamente!"
Bruno vespa: "O ci sarà ancora gente negli alberghi?"
Guido Bertolaso: "Potrà anche essere"

Tutti avranno una villa o un condominio dove vivere. Però qualcuno continuerà a dormire vita natural durante in un albergo.
Ricorda la frase della Fattoria degli Animali, di George Orwell: "Tutti gli animali sono uguali. Ma alcuni sono più uguali degli altri".


Minuto 22:52.
Bruno Vespa, rivolto ai rappresentanti della Provincia e della Protezione Civile di Trento: "Per costruire le case avete impiegato 4 mesi. Per costruire il nostro asilo ne avete impiegati 2. Credo sia un record assoluto..."
Silvio Berlusconi: "Significa che è stato trovato un nuovo metodo di portare avanti i lavori di costruzione".

Ovverosia decidere di non costruire nulla e dare il nulla osta alla costruzione solo quando si mettono di traverso Croce Rossa, Provincia di Trento e cittadini di Onna.


Minuto 32:09.
Silvio Berlusconi: "In Umbria e Marche tutti gli interventi sono risultati incomprensibilmente più lunghi di quanto previsto..."
Bruno Vespa: "Però alla fine hanno ricostruito lì..."
Silvio Berlusconi: "Sì, con 4/5 anni di ritardo rispetto ai tempi di oggi che abbiamo imposto e che stiamo realizzando".

Non è possibile fare un solo paragone sui tempi reali, dal momento che a L'Aquila la fase di ricostruzione non è assolutamente partita. Le abitazioni in costruzione sono la scelta fatta dal governo in alternativa alle case in legno e alle case mobili.
L'unico paragone che possiamo fare è sui soldi stanziati e sui tempi previsti: in Umbria e Marche furono stanziati per la ricostruzione privata 3,5 miliardi. 10 anni di tempo. 20 mila sfollati.
L'Aquila vede destinarsi 3,1 miliardi. 23 anni di tempo. 60 mila sfollati.


Minuto 39:20.
Silvio Berlusconi: "Per tutta L'Aquila per la ricostruzione saranno necessari 5/10 anni".

La legge sulla "Ricostruzione post-terremoto" prevede una tempistica di stanziamento dei fondi pari a 23 anni. Per di più, come il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente ha ricordato, gli assegni mensili di 20 milioni di euro sono stati già decurtati a 10.


Minuto 1:20:09.
Bruno Vespa: "Il fatto che per la prima volta vengono date case in tempi così rapidi è un fatto eccezionale".

Sono trascorsi 162 giorni dal sisma da quando i primi fortunati hanno potuto mettere piede nelle prime case in legno.
Per il terremoto in Irpinia (celebre per la disorganizzazione e le speculazioni che gravitarono sulla ricostruzione) le prime case in legno furono consegnate 122 giorni dopo il sisma. Ed erano 50 più di quelle consegnate ieri, come ricorda bene Antonello Caporale su Repubblica di ieri.
Peccato non aver dato il via alla costruzione di case in legno e case mobili sin dal principio, al posto dei C.A.S.E.(R.M.O.N.I.). Ora il governo avrebbe potuto fregiarsi realmente di un primato assoluto di qualità.


PS: Voglio precisare di aver volutamente sorvolato sulle altre dichiarazioni come la conversione lira/euro (30 miliardi di lire corrispondono a 60 miliardi di euro, secondo il premier) e come quella sulla sinistra che in programma avrebbe la riattivazione dell'ICI da far gravare sull'87% delle famiglie italiane. Solo perché, a differenza di quanto fatto a Porta a Porta ieri, preferisco porre l'attenzione esclusivamente sui temi di reale interesse per il popolo italiano.
Fonte: http://alessandrotauro.blogspot.com/2009/09/onna-videocracy-tutte-le-bugie-dello.html
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Lodo Alfano: depositata memoria o avvertimento dall’avvocatura di Stato?

di Luca Rinaldi

“Se la Consulta dichiarerà illegittimo il lodo Alfano ci sarebbero danni a funzioni elettive, che non potrebbero essere esercitate con l’impegno dovuto, quando non si arrivi addirittura alle dimissioni. In ogni caso con danni in gran parte irreparabili. Talvolta la sola minaccia di un procedimento penale puo’ costringere alle dimissioni prima che intervenga una sentenza e anche quando i sospetti diffusi presso la pubblica opinione si sono poi dimostrati infondati”.(AGI)

Così si esprime l’avvocato di Stato, rappresentante della Presidenza del Consiglio, sulla eventualità che il Lodo Alfano, leggina che blocca i processi alle prime quattro cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, del Consiglio, di Camera e Senato), possa essere bocciato dalla Corte Costituzionale il prossimo 6 ottobre.

Nella memoria l’avvocato Glauco Nori cita anche il caso Lockheed che vide implicato, in un caso di corruzione internazionale, il Presidente della Repubblica Giovanni Leone, che diede le dimissioni ancor prima dell’emissione della sentenza. Eppure qui il caso sembra completamente diverso e di tutt’altra fattura.

Se Giovanni Leone si dimise ancor prima della sentenza, sotto pressioni del PCI, qui di sentenze a carico del Presidente del Consiglio ce ne sono, ed anche più di una, partendo da quelle cadute in prescrizione, passando per quelle amnistiate (falsa testimonianza sul caso P2 e sui terreni di Macherio con falso in bilancio), fino alle archiviazioni sulle stragi del 1992-’93 ed al concorso esterno in associazione mafiosa, dove Marcello Dell’Utri è stato dichiarato colpevole in primo grado. L’archiviazione non è sentenza di assoluzione, non esiste infatti “l’assoluzione per archiviazione” come spesso si sente dire.

Il Lodo Alfano ad oggi interviene sul processo Mills (corruzione in atti giudiziari) e la corruzione di alcuni senatori per sancire la caduta del Governo Prodi. Perciò abbiamo due fatti che potrebbero smentire la memoria di Nori: Berlusconi non si dimetterà mai prima della sentenza definitiva e forse nemmeno dopo, e l’andamento contrario dell’opinione pubblica non gli ha mai impedito di andare nella direzione desiderata, quindi anche il passaggio della memoria dove si dice che il parere contrario sul Lodo Alfano potrebbe creare “una forte corrente di opinione contraria, che rende quantomeno precarie le condizioni personali di serenita’ che secondo la Costituzione debbono essere assicurate all’interessato”, sarebbe smentita.

Questa più che una memoria ed un parere dell’avvocatura di Stato, pare un avvertimento diretto alla Corte Costituzionale per pronunciarsi positivamente sulla vergognosa immunità elargita dal Lodo Alfano. In attesa del 6 ottobre, aspettiamo l’uscita di altre missive a difesa dell’immunità pensata dal guardagingilli Angelino Jolie Alfano.

Per sancire l’incostituzionalità di questo provvedimento, basterebbe leggersi l’articolo 3, comma 1 della Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Senza dimenticare che le leggi costituzionali possono essere modificate da altre leggi costituzionali, cosa che il Lodo Alfano non è.

Fonte: http://www.thepopuli.it/2009/09/lodo-alfano-depositata-memoria-o-avvocatura-di-stato/
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Faccio impennare l'audience su RAI 3.

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Invito: questa sera tutti davanti la TV con RAI 3 ore 21,10 BALLARO', e vediamo se il popolo di internet riesce a fare più audience di Porta a Porta. Forza amici proviamoci, ne và della libertà di stampa
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Come ti nego i diritti di cittadinanza

di Domenico Gallo, da Liberazione

Unicuique suum: a ciascuno il suo. E’ questo il motto che potrebbe essere applicato al c.d. “pacchetto sicurezza”, approvato con la legge n. 94/2009 , entrata in vigore l’8 agosto.

Questa legge è un coacervo di misure discriminatorie e persecutorie nei confronti dei gruppi sociali più deboli. Se hanno suscitato qualche protesta le misure persecutorie più assurde nei confronti degli immigrati irregolari (come il reato di clandestinità, il divieto di matrimonio ed il divieto per le madri di riconoscere i propri figli), poca attenzione è stata rivolta alle norme discriminatorie riservate ad altri gruppi sociali. In realtà, per quanto possano apparire disomogenee le materie trattate, c’è un filo conduttore che organizza le disposizioni in materia di sicurezza pubblica. C’è una logica in questa follia: tutto gravita intorno al principio delle discriminazione dei soggetti deboli. Se gli immigrati (regolari o irregolari) sono particolarmente vessati, non per questo il legislatore leghista si è dimenticato dei Rom, dei senza casa, e dei poveri in genere, ed ha dato a ciascuno il suo.

Per quanto riguarda il popolo Rom, a parte le misure penali di aggravamento dei reati connessi alla povertà, nel pacchetto sicurezza vi è una specifica disposizione discriminatoria, passata quasi inosservata. Si tratta della norma relativa alle iscrizioni anagrafiche (art. 1, comma 18).

Questa norma, nella sua versione originaria, in pratica, impediva ai poveri di ottenere l’iscrizione nei registri dell’anagrafe, subordinando l’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intendeva fissare la propria residenza. In questo modo decine di migliaia di famiglie povere avrebbero perso – automaticamente - il diritto alla residenza. Si pensi, per es. alle migliaia di famiglie che ancora vivono nei “bassi” in una città come Napoli.

Ciò avrebbe comportato qualche problema con l’opinione pubblica, specie in quelle fasce sociali, più umili, che vivono ancora nel mito del berlusconismo.

Per questo la norma è stata cambiata alla Camera, con l’emendamento sul quale il Governo ha posto la fiducia.

Nella nuova versione i comuni non devono più accertare la sussistenza del requisito igienico sanitario dell’immobile, tuttavia “l’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica da parte dei competenti uffici comunali delle condizioni igienico sanitarie dell’immobile”.

Insomma ogni comune è libero – a sua discrezione – di non iscrivere nei registri anagrafici quelle persone che abitano in alloggi inadeguati. Quindi ogni comune è libero di scegliere quali poveri tenersi e quali buttare via.

In questo modo si è realizzata la quadratura del cerchio. Il requisito igienico sanitario dell’alloggio diventerà un ottimo strumento politico per selezionare le minoranze indesiderabili ed escluderle dal circuito della cittadinanza, senza mettere a rischio il consenso politico di cui gode l’attuale maggioranza.

Ci vuol poco a capire che questa minoranze indesiderabili per i cittadini del Bel Paese sono soprattutto, se non esclusivamente, i Rom. Chi vive in un campo nomadi è difficile che disponga di un alloggio dotato dei requisiti igienico-sanitari richiesti dalla norme vigenti. Conseguentemente costoro – a discrezione dei sindaci – possono perdere il diritto ad essere iscritti nell’anagrafe delle persone residenti.

Senonchè l’iscrizione nell’anagrafe delle persone residenti è presupposto indispensabile per l’esercizio dei diritti di cittadinanza. A partire dall’esercizio del diritto di voto, per finire all’iscrizione al Servizio Sanitario nazionale, alla scelta del medico di base ed all’iscrizione dei propri figli alla scuola dell’obbligo.

In conclusione, invece di rimuoverli, come impone l’art. 3 della Costituzione, la legge utilizza gli ostacoli di ordine economico e sociale come pretesto per limitare - di diritto - la libertà e l’eguaglianza delle persone ed escludere dalla cittadinanza quelle minoranze destinate ad essere discriminate.

fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/come-ti-nego-i-diritti-di-cittadinanza/
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Il miracolo dell'Aquila

E' un vero miracolo di efficienza quello dell'Aquila? Non sono possibili paragoni al mondo? Si sono abbattuti i costi e i tempi di reinsediamento? E' stata messa a frutto tutta l'esperienza accumulata in Italia nella gestione della fase della prima e della seconda emergenza? Sono domande utili a farsi. I dati storici e le comparazioni con gli altri eventi ci aiuteranno a stabilire la misura e la qualità della fatica realizzata.

Un avvertimento è d'obbligo: la comparazione è naturalmente limitata alla fase attuale dell'emergenza abruzzese. In Abruzzo la ricostruzione in cemento armato non è ancora iniziata; in Irpinia e in Molise non è invece mai finita producendo uno scandaloso spreco che Repubblica negli anni, non ha mai smesso di denunciare. Quindi ci fermiamo ad oggi. E puntiamo i fari unicamente sull'emergenza.

L'emergenza ha due fasi. Una prima, nelle ore immediatamente successive al sisma, e una seconda. Nella prima sono generalmente da considerarsi gli alloggiamenti in tende. Nella seconda la predisposizione di sistemi abitativi provvisori. I cosiddetti moduli. Essi possono avere due caratteristiche: essere del tipo "leggero" (containers e roulottes) e "pesanti" (casette in legno o in prefabbricato composto). I tempi di realizzazione di questi secondi, nella media nazionale stilata secondo i dati storici (terremoti del Friuli, di Campania e Basilicata, Umbria e Marche e infine Molise), sono di 211 giorni. Una media appunto: dalle prime consegne (in 62 giorni a San Giuliano di Puglia, alle ultime, con il completamento di tutto il piano di reinsediamento abitativo (360 giorni in Irpinia). Nel mezzo la progressiva e graduale sistemazione.

Se dunque volessivo davvero stilare una classifica delle prime case assegnate (m.a.p., moduli abitativi provvisori) con caratteristiche e in numero simili a quelli celebrati ad Onna, dovremmo segnalare questo ordine d'arrivo:

1) Molise (San Giuliano di Puglia), 30 moduli a 82 giorni dal sisma
2) Umbria, 30 moduli a 98 giorni dal sisma
3) Irpinia, 30 moduli a 105 giorni dal sisma
4) Abruzzo, 30 moduli a 116 giorni dal sisma

In effetti le prime case consegnate a L'Aquila datano 2 luglio, realizzate dalla provincia di Trento a Coppito e destinate al personale della Guardia di Finanza. I primi senzatetto ad essere ospitati abitano invece a San Demetrio e le hanno ricevute ("a tempo di record", ha scritto il Giornale) il 21 agosto. In estate infatti sono stati consegnati trenta moduli (21 a San Demetrio e 9 in località Stiffe).

Ritorniamo per un momento alla prima emergenza. Quel che segue è un raffronto tra il punto più alto dell'efficienza organizzativa (l'Abruzzo) e il punto più basso (l'Irpinia).

A L'Aquila sono state assistite circa 73mila persone nella settimana successiva al terremoto tra alberghi e tendopoli allestite. In quelle ore i temporaneamente sfollati (che hanno ricevuto solo cibo e cure) ammontano a più di centomila.

29 anni fa in Irpinia (l'area, ad esclusione del Friuli, più lontana da Roma, 340 chilometri dall'epicentro contro i 119 dell'Aquila) ma molto più grave per entità del danno e ampiezza geografica furono assistite 300mila persone circa. Duecentomila persone in tendopoli, ottantamila persone in roulotte, 20.900 persone in 451 alberghi. I temporaneamente sfollati (assistiti con cibo e cure sanitarie) ammontavano a circa 500mila. (Pubblicazione 18 marzo 1981, depositata alla Camera dei deputati).

I tempi di allestimento. 90 mila persone hanno trovato riparo in tendopoli entro sette giorni dal sisma (30 novembre-1 dicembre 1980). Altre 50mila entro 15 giorni dal sisma (5-8 dicembre 1980). Il resto della popolazione entro il 15 dicembre 1980.

I costi di reinsediamento. A L'Aquila si è deciso di saltare un passaggio che, nei precedenti storici, era ritenuto essenziale: la costituzione nella prima emergenza di roulottopoli e moduli abitativi in containers. La scelta ha avuto perciò un costo umano (la vita in tenda è durissima) ed economico.

L'assistenza completa per le persone ospitate soltanto in tendopoli è costata in sei mesi 114 milioni di euro. A ciò si devono aggiungere i costi in alberghi e in private abitazioni per il resto della popolazione. Proprio in questi giorni la Protezione civile sta rinegoziando con gli albergatori il prezzo del soggiorno (all inclusive) pro-capite: 50 euro a persona. Se questa cifra è esatta, per una famiglia di quattro persone si spendono circa 6mila euro al mese.

Il governo ha accettato questi costi e ha impegnato tutte le risorse disponibili (circa 700 milioni di euro) per la realizzazione delle C.a.s.e., abitazioni tecnologicamente avanzate ed ecocompatibili. Il loro completamento, previsto per fine dicembre 2009, permetterà di accogliere circa 4500 famiglie. Il costo a metro quadrato dell'abitazione (sono inclusi i costi di urbanizzazione primaria e secondaria) è di 2400 euro. Si deve ritenere che l'abitazione, sebbene durevole, sia comunque provvisoria perché gli assegnatari sono titolari di un distinto contributo per la ricostruzione in cemento della propria casa distrutta.

Sono circa tredicimila le famiglie ad oggi senzatetto. E molte di esse dunque devono essere ancora per molto tempo assistite altrove.

In Irpinia, quindi nel luogo dove più bassa è stata la capacità organizzativa e realizzativa, il piano di reinsediamento aggiornato al 30 giugno 1981 - in tempi dunque analoghi a quelli previsti per L'Aquila - prevedeva la installazione di 13.500 prefabbricati pesanti (simili a quelli consegnati a Onna e che oggi vengono chiamate case) nei 36 comuni del cratere e altri 10mila nei 76 comuni dell'area extraepicentrale. Il costo al metro quadro attualizzato (al netto però delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria che incidono per il 20-30 per cento) è di mille euro.

Al 15 novembre 1981, circa un anno dopo il sisma, il piano di reinsediamento, in ritardo sul cronoprogramma di circa 45 giorni, sono stati completati e consegnati, su 25586 prefabbricati, 18462 alloggi monoblocco con finanziamenti pubblici. A cui si aggiungono 2248 prefabbricati donati da enti vari e già consegnati.

http://www.repubblica.it/2006/a/rubriche/piccolaitalia/miracolo-l-aquila/miracolo-l-aquila.html

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lunedì 14 settembre 2009

Primarie dei cittadini 2.0 : Energia

L'otto gennaio 2006 scrivevo nel blog: "Fino ad oggi le primarie le hanno fatte i nostri dipendenti. E’ arrivato il momento che le primarie le facciano i datori di lavoro". Per alcuni mesi le proposte su cinque temi: Energia, Salute,Trasporti, Economia e Informazione suggerite da esperti mondiali furono discusse in Rete da migliaia di commentatori. Ne uscì un documento che portai a Prodi. Lo illustrai mentre pian piano Valium si addormentava. Poi mi addormentai anch'io. Era l'otto giugno 2006. Capii una cosa: i partiti erano morti, tutti, nessuno escluso. Il cittadino con l'elmetto che fa politica attiva e non il "politico" è nato quel giorno. Sono venuti quindi i Vday, le raccolte di firme per Parlamento Pulito e una Libera Informazione. Capii un'altra cosa, i cittadini non hanno voce, referendum e leggi popolari sono una presa per il culo. Seguirono le liste civiche a Cinque Stelle, la Carta di Firenze per l'amministrazione dei Comuni e la scelta di fondare un Movimento di Liberazione Nazionale. Il programma del Movimento nascerà dalle Primarie 2.0 con i vostri nuovi contributi. Il 4 ottobre sarà pubblicato sul blog il programma completo. Oggi partiamo dall'Energia.



ENERGIA
"Se venisse applicata rigorosamente la legge 10/91, per riscaldare gli edifici si consumerebbero 14 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato calpestabile all’anno. In realtà se ne consumano di più.
Dal 2002 la legge tedesca, e più di recente la normativa in vigore nella Provincia di Bolzano, fissano a 7 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato calpestabile all’anno il consumo massimo consentito nel riscaldamento ambienti. Meno della metà del consumo medio italiano.
Utilizzando l’etichettatura in vigore negli elettrodomestici, nella Provincia di Bolzano questo livello corrisponde alla classe C, mentre alla classe B corrisponde a un consumo non superiore a 5 litri di gasolio, o metri cubi di metano, e alla classe A un consumo non superiore a 3 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato all’anno.
Nel riscaldamento degli ambienti, una politica energetica finalizzata alla riduzione delle emissioni di CO2, anche per evitare le sanzioni economiche previste dal trattato di Kyoto nei confronti dei Paesi inadempienti, deve articolarsi nei seguenti punti:
- applicazione immediata della normativa, già prevista dalla legge 10/91 e prescritta dalla direttiva europea 76/93, sulla certificazione energetica degli edifici
- definizione della classe C della provincia di Bolzano come livello massimo di consumi per la concessione delle licenze edilizie relative sia alle nuove costruzioni, sia alle ristrutturazioni di edifici esistenti
- riduzione di almeno il 10 per cento in cinque anni dei consumi energetici del patrimonio edilizio degli enti pubblici, con sanzioni finanziare per gli inadempienti
- agevolazioni sulle anticipazioni bancarie e semplificazioni normative per i contratti di ristrutturazioni energetiche col metodo esco (energy service company), ovvero effettuate a spese di chi le realizza e ripagate dal risparmio economico che se ne ricava
- elaborazione di una normativa sul pagamento a consumo dell’energia termica nei condomini, come previsto dalla direttiva europea 76/93, già applicata da altri Paesi europei.
Il rendimento medio delle centrali termoelettriche dell’Enel si attesta intorno al 38%. Lo standard con cui si costruiscono le centrali di nuova generazione, i cicli combinati, è del 55/60%.
La co-generazione diffusa di energia elettrica e calore, con utilizzo del calore nel luogo di produzione e trasporto a distanza dell’energia elettrica, consente di utilizzare il potenziale energetico del combustibile fino al 97%. Le inefficienze e gli sprechi attuali nella produzione termoelettrica non sono accettabili né tecnologicamente, né economicamente, né moralmente, sia per gli effetti devastanti sugli ambienti, sia perché accelerano l’esaurimento delle risorse fossili, sia perché comportano un loro accaparramento da parte dei Paesi ricchi a danno dei Paesi poveri. Non è accettabile di per sé togliere il necessario a chi ne ha bisogno, ma se poi si spreca, è inconcepibile.
Per accrescere l’offerta di energia elettrica non è necessario costruire nuove centrali, di nessun tipo. La prima cosa da fare è accrescere l’efficienza e ridurre gli sprechi delle centrali esistenti, accrescendo al contempo l’efficienza con cui l’energia prodotta viene utilizzata dalle utenze (lampade, elettrodomestici, condizionatori e macchinari industriali). Solo in seguito, se l’offerta di energia sarà ancora carente, si potrà decidere di costruire nuovi impianti di generazione elettrica.
Nella produzione di energia elettrica e termica, una politica energetica finalizzata alla riduzione delle emissioni di CO2 anche accrescendo l’offerta, deve articolarsi nei seguenti punti:
- potenziamento e riduzione dell’impatto ambientale delle centrali termoelettriche esistenti
- incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica con tecnologie che utilizzano le fonti fossili nei modi più efficienti, come la co-generazione diffusa di energia elettrica e calore, a partire dagli edifici più energivori: ospedali, centri commerciali, industrie con processi che utilizzano calore tecnologico, centri sportivi ecc.
- estensione della possibilità di riversare in rete e di vendere l’energia elettrica anche agli impianti di micro-cogenerazione di taglia inferiore ai 20 kW
- incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica estendendo a tutte le fonti rinnovabili e alla micro-cogenerazione diffusa la normativa del conto energia, vincolandola ai kW riversati in rete nelle ore di punta ed escludendo i chilowattora prodotti nelle ore vuote
- applicazione rigorosa della normativa prevista dai decreti sui certificati di efficienza energetica, anche in considerazione dell’incentivazione alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che essi comportano
- eliminazione degli incentivi previsti dal CIP6 alla combustione dei rifiuti in base al loro inserimento, privo di fondamento tecnico-scientifico, tra le fonti rinnovabili
- legalizzazione e incentivazione della produzione di biocombustibili, vincolando all’incremento della sostanza organica nei suoli le produzioni agricole finalizzate a ciò
- incentivazione della produzione distribuita di energia termica con fonti rinnovabili, in particolare le biomasse vergini, in piccoli impianti finalizzati all’autoconsumo, con un controllo rigoroso del legno proveniente da raccolte differenziate ed escludendo dagli incentivi la distribuzione a distanza del calore per la sua inefficienza e il suo impatto ambientale
- incentivazione della produzione di biogas dalla fermentazione anaerobica dei rifiuti organici."

http://www.beppegrillo.it/
FONTE

Cara opposizione e cari sindacati, smettete di dormire

di Giuseppe Caliceti

Cara Opposizione e cari Sindacati Tutti della Scuola, per favore: non continuate a dormire. Non è più tempo. I precari della scuola stanno facendo di tutto e di più per protestare contro il più grande licenziamento di massa della storia della Repubblica italiana: 150mila docenti in tre anni, di cui quasi 60mila solo quest'anno. A Milano e Torino scendono in piazza e si incatenano davanti al provveditorato. A Palermo fanno lo sciopero della fame. A Napoli e Caserta salgono sui tetti. A Roma si mettono in mutande, non sono le hostess dell'Alitalia e allora per attirare l'attenzione dei media bloccano per ore le assegnazioni delle supplenze annue fino all'arrivo dei carabienieri. A Benevento Dario Franceschini sale sui tetti dell'ufficio scolastico provinciale insieme a loro e dice: «Lo Stato sta mettendo in atto il più grande licenziamento di massa della storia italiana nel settore in cui bisogna investire di più, ossia nell'educazione dei nostri figli». Ha usato le parole «licenziamento di massa». Per la prima volta. Anche se è deciso da oltre un anno.
Insomma, cara Opposizione e cari sindacati uniti tutti, fino ad ora dove eravate? In vacanza? In attesa di un'altra Onda da cavalcare? La protesta si allarga. Da Milano a Palermo, da Roma e Napoli. Da Campobasso alla Sardegna. Da Torino a Catania. Da Messina a Bologna. Sud. Nord. Est. Ovest. Isole comprese. Protesta unitaria. Striscioni e dialetti gridati in italiano corretto e anche in dialetto, così i Leghisti non si possono lamentare. Basta andare su www.retescuole.net per accorgersi delle proporzioni della protesta. Sulla rete è in atto un grande dibattito sulla scuola. C'è chi fa notare a Gelmini che, anche prima delle sue recenti dichiarazioni, l'indennità di disoccupazione esiste già da anni, come l'accesso alle supplenze brevi: attraverso le graduatorie di istituto. Domanda: ma chi paga i supplenti, signorina Gelmini, lo Stato o i comuni? Chi si interroga su che fare per avere più visibilità in un paese in cui l'informazione non è più informazione. C'è chi parla di Gelmini come di una calamità naturale e chi si rende conto che il disastro non coinvolge solo i precari, ma tutti i docenti che da anni, anzi decenni, lavorano su posti vacanti che non vengono posti in ruolo. C'è chi ricorda che lavora in scuole senza carta igienica e chi propone di bloccare autostrade, ferrovie e strade come gli agricoltori o i camionisti. Chi si accorge come l'informazione ha messo l'pinione pubblica contro i docenti visti come «lavativi» e «scansafatiche» per giustificare i tagli al bilancio. Chi invoca Napolitano e chi Obama: «Arruolerà legioni di insegnanti pagandoli meglio anche a costo di aumentare le tasse!».
Bene, questa è la realtà . Ma troppi media italiani non sono sintonizzati con la realtà . Città invisibili, docenti invisibili. Opposizione e cari sindacati uniti tutti, e voi? Il fatto è questo: migliaia di docenti e genitori non si sentono rappresentati dal governo, ma neppure da voi. Tremonti e Gelmini da oltre un anno parlano di quello che hanno in mente. E voi? Di fronte a questi dati allarmanti, anche solo per ragioni di puro opportunismo politico, come è possibile che non riusciate a mettere in moto un'opposizione più forte e più determinata su questo tema specifico? Come è possibile che anche sul tema scuola riusciate solo a giocare di rimbalzo dicendo che il governo sbaglia senza opporre alternative di segno completamente opposto? Già vi siete fatti superare a sinistra una volta dall'Onda; quest'anno replicate?
Cara Opposizione e cari sindacati tutti della scuola, vi ricordate come Cei ha difeso le scuole private cattoliche di fronte all'ipotesi ventilata di togliere un po' di fondi? Imparate da loro, se non avete idee. O aprite gli occhi: se vedete veramente anche voi il più grande licenziamento di massa della storia della nostro Repubblica, che poi avviene sulla formazione dei più giovani, muovetevi. E presto. O ancora non è abbastanza per mettere la difesa della scuola pubblica italiana come punto centrale di qualsiasi vostro programma di oggi e di domani? Per smetterla di parlare con un governo incapace e pericoloso che sta facendo male ogni giorno di più ai nostri bambini e ai nostri ragazzi? Non è abbastanza per mettere da parte i personalismi di corrente e di partito e organizzare una seria e determinata opposizione unitaria a oltranza? Cosa di peggio deve ancora accadere?

http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090906/pagina/02/pezzo/259198/
FONTE

I FAN SCRIVONO: "Delirio contagioso di psiconani... allora facciamo controinformazione"

di Raffaele Capoano

L'arroganza di questi personaggi è sorprendente; se fossero attori, macchiette da bar, nani da circo, animatori di navi da crociera andrebbe benissimo...sarebbero pure simpatici , il problema grosso è che sono politici e in più Ministri.
Lui riesce a dire cose che sembrano cucite su se stesso...Brunetta sfida le leggi della INFORMAZIONE e soprattutto della CONTROINFORMAZIONE; ; non ci credete? :

Renato Brunetta : di formazione socialista collabora, in qualità di consigliere economico, con i governi Craxi I, Craxi II, Amato e Ciampi. Già a 25 anni è co¬ordinatore della commissione sul lavoro voluta dall'allora mi¬nistro Gianni De Michelis; Ha curato insieme a Vittorio Feltri la collana Manuali di Conversazione Politica edita da Libero e Free Foundation.………..[da Wikipedia]

La carriera professionale è “folgorante”:
….. ottiene l’idoneità a professore associato nel 1981 con ben 3 (TRE) pubblicazioni, di cui una nell’ambito di lavori sul P.S.I. [ ….].
Ottiene la docenza senza partecipare ad ulteriori bandi concorsi o graduatoria (sanatoria ?)
Nel ’92 viene bocciato per il concorso ad Ordinario a Roma, ma solo “momentaneamente” e “localmente”, infatti lo diventa nel 1999 a Teramo, dove vince la cattedra insieme ad altri due colleghi un bando…per un posto.....[da http://espresso.repubblica.it/multimedia/home/367184]

[…] Sul sito internet dell?università di Tor Vergata, cliccando sul curriculum ufficiale del professor Renato Brunetta si legge che il ministro sarebbe diventato professore ordinario di economia del lavoro nel 1996. Ma la realtà, secondo quanto risulta cliccando sul sito dell?università di Teramo sarebbe diversa. Secondo i verbali del concorso universitario di Teramo che nel 1999 gli riconobbe l?idoneità di professore ordinario, Brunetta fino a tutto il 1999 era solo un professore associato.....
[da http://espresso.repubblica.it/dettaglio/che-furbetto-quel-brunetta/2049037//1]

Nell’attività parlamentare presenzia al 58% dei lavori in Aula, superando appena il minimo per ottenere le indannità previsti dei finanziamenti e ci va con RyanAir […..]
[da http://espresso.repubblica.it/multimedia/home/3671846]

NdR:…..(forse per far risparmiare la C.E.? No!)

[…] La produttività degli europarlamentari si misura dalle attività. In aula e in commissione. Anche in questo caso Brunetta non sembra primeggiare: in dieci anni ha compilato solo due relazioni, i cosiddetti rapporti di indirizzo, uno dei termometri principali per valutare l'efficienza degli eletti a Strasburgo. L'ultima è del 2000: nei successivi otto anni il carnet del ministro è desolatamente vuoto, fatta eccezione per le interrogazioni scritte, che sono - a detta di tutti - prassi assai poco impegnativa. Lui ne ha fatte 78. Un confronto? Il deputato Gianni Pittella, Pd, ne ha presentate 126.....
[da http://espresso.repubblica.it/dettaglio/che-furbetto-quel-brunetta/2049037//1]

Detto ciò , entrando nel merito del video-show:
1) notare che si lecca il dito dei 30-40 miliardi di finanzamento pubblico (....Freud)
2) cita sistemi di finanziamento pubblico creati, alimentati e "sfruttati", elettoralmente parlando, dai governi di circa 30-40 anni fa ( mi pare ci fossero spesso DC e proprio il "suo" PSI).
3) cita attorucoli, musicisti e sceneggiatori, definendoli "culturame", che non vende.... certo nei film "Panettone" a Natale, nei vari "Carnevale a..." "Estate in..." , ed altri simili esempi di cinema di qualità, non è che di spazi artistici ne restino molti una volta riempiti i ruoli femminili con la Melato, la Mezzogiorno, la Coltellese, la Capotondi, la Guaccero..... già per quest'anno sono previste la D'Addario e Noemi Letizia..... Per quanto riguarda il teatro di bbagaglino già ce n'è uno, che bisogno c'era del Brancaccio di Proietti, al massimo se lo dirige Costanzo.....
Per concludere farei rilevare al sig. Brunetta che quella che lui non concepisce si chiama "critica" che è compito proprio delle componenti artistiche, diversamente si chiamano "menestrelli della propaganda di regime"...... la cultura "organica" e funzionale al Potere politico.

http://www.facebook.com/note.php?note_id=132064790841&id;=1544864278&ref;=mf
FONTE